Tulsa fa i conti con la storia:
il piano risarcimenti, 100 anni dopo

Fino a poco più di dieci anni fa l’ipotesi di una compensazione per i discendenti delle vittime della schiavitù e dell’odio razziale era stata resa popolare da un articolato saggio pubblicato su The Atlantic nel luglio 2014. Per riassumerlo in breve, lo scrittore Ta-Nehisi Coates compie una lunga dissertazione sulle riparazioni agli afroamericani, non solo come compensazione per la schiavitù passata, ma anche per le successive generazioni colpite dalla segregazione e dalle politiche discriminatorie. Per Coates le ingiustizie provocate da schiavitù, segregazione e razzismo sistemico non sono semplicemente cicatrici del passato, ma ferite aperte che influenzano ancora oggi la vita di milioni di persone. Nel suo articolo, utilizza storie personali, come quella di Clyde Ross, un uomo che ha vissuto in prima persona la discriminazione nell’accesso alla proprietà immobiliare. Ross, non potendo ottenere un mutuo equo a causa del redlining (la pratica di negare servizi finanziari ai residenti di determinate aree basate sulla composizione razziale), è stato costretto a condizioni economiche sfavorevoli che hanno limitato la sua capacità di accumulare ricchezza.

Vicende vecchie i cui effetti a catena si ripercuotono però attraverso le generazioni. Le riparazioni, secondo Coates, non riguardano semplicemente la distribuzione di denaro, ma un approccio onesto alla Storia e il riconoscimento dei torti commessi verso una vera equità. Il punto che ha scatenato il dibattito però è proprio quello economico: a partire dal 2015 la compensazione per le vittime è diventata uno degli spauracchi usati nei forum e nelle chat di estrema destra per fomentare paura e odio razziale. Un sistema di compensazione che andrebbe applicato in casi limitati, diventa una tassa che verrà applicata dalla potenziale nuova amministrazione di Hillary Clinton “sui bianchi”. Una delle tante bufale diffusa dagli influencer mediatici di quella che allora si chiamava “Alt-Right” e che costituiva il primissimo nucleo del successivo Movimento Maga dei sostenitori di Donald Trump. Insomma, l’idea sembrava nulla più che l’ennesimo boomerang ideologico lanciato da un intellettuale di sinistra. Eppure, nonostante tutto, ha preso piede nel silenzio mediatico, evitando di finire nel tritacarne delle “culture wars”.

Di cosa si parla però a livello pratico? Prima di allora, il movimento per far ottenere una sorta di compensazione per i torti subiti in passato dagli afroamericani era confinato alle organizzazioni di advocacy per i diritti della popolazione afroamericana. Ad esempio, nel 1999, l’avvocato Randall Robinson, consulente legale dell’associazione Transafrica, stimò che la comunità afroamericana aveva perso circa 1.400 miliardi di dollari dalle prime discriminazioni subite. Prima di allora, il deputato John Conyers aveva tentato di introdurre ogni anno, a partire dal 1989, una Commissione per studiare l’effettiva possibilità di compensare i discendenti di chi aveva subito gli effetti del razzismo sistemico anche nel suo portafogli. Nessun successo.

Dove invece le cose hanno cominciato a muoversi è al livello inferiore, sia quello statale che quello cittadino, culminato nel “Project Greenwood” lanciato dalla città di Tulsa, teatro nel 1921 della più grande strage di massa perpetrata per motivi razziali. Un atto criminoso che comportò la distruzione di Greenwood, uno dei rarissimi quartieri borghesi a maggioranza afroamericana nell’intero Paese: all’epoca, su 11mila residenti, alcuni di essi avevano un patrimonio da un milione di dollari; sei famiglie possedevano un aereo privato. Greenwood veniva denominato la “Wall Street nera”. Oggi quel quartiere può essere ricreato sotto la guida del sindaco dem della città, Monroe Nichols, eletto nel 2024.

Il programma riguardante il cosiddetto “Project Greenwood” va ben al di là della ricostruzione e compensazione economica. Si compone di quattro pilastri. In primis, la ricerca genealogica, per identificare tutti i discendenti ancora in vita. Seconda cosa: costruire un progetto di memoria orale che raccolga tutte le testimonianze ancora esistenti che possano far chiarezza il più possibile su un evento fino a qualche anno fa semisconosciuto. Tre: restituire attraverso un’azione legale la verità storica. Purtroppo, in questo caso, i tribunali non sono riusciti a fare a giustizia e già nel 2022 la causa intentata dagli ultimi tre superstiti della strage è stata archiviata. Infine l’idea più ambiziosa: raccogliere duecento milioni di dollari per compensare i parenti identificati delle vittime con la cifra esatta, aggiornata all’attuale livello d’inflazione, che si stima sia stata distrutta. Un’idea ambiziosa che anche se non può realizzarsi fino in fondo, può comunque rovesciare uno degli stereotipi più persistenti sugli afroamericani: quello che riguarda le loro scarse capacità imprenditoriali, un pregiudizio che la riscoperta della storia del quartiere di Greenwood può seppellire per sempre.

Prima di Tulsa, altre città avevano tentato di instaurare un sistema di riparazioni: nel 2015, il consiglio municipale di Chicago ha istituito un fondo di risarcimento non per i discendenti degli schiavi, ma per chi ha subito violenza poliziesca dagli anni ’70 agli anni ’90: 5 milioni e 500mila dollari destinati a 57 vittime, quasi totalmente afroamericani, e altro denaro destinato a un memoriale. San Francisco invece si è spinta oltre, con una risoluzione votata dai consiglieri cittadini per creare un fondo di circa 5 milioni di dollari per garantire un reddito annuo a quei residenti lasciati indietro dall’ingiustizia razziale. Un’iniziativa però che non è stata attuata e difficilmente lo sarà ora che il nuovo sindaco Daniel Lurie è su posizioni centriste, ergo difficilmente prenderebbe posizioni così divisive. E del resto è questo il punto di chi si oppone a misure di questo genere: si alimenta il risentimento e la divisione. Un sondaggio del 2020, commissionato dal Washington Post, restituiva una spaccatura totale sul tema tra due Americhe che nonostante tutto si sentono ancora lontane: l’82 per cento degli afroamericani le sosteneva, contro un 75 per cento di bianchi che invece le avversava. Totale: un 63 per cento di dissenso.

La posizione contraria è stata riassunta dal senatore repubblicano Mitch McConnell del Kentucky, discendente di una famiglia di possessori di schiavi: “nessuno di noi viventi può dirsi responsabile”. Per questo al momento i primi, timidi, tentativi di procedere in questo senso, sia pur con clima culturale nazionale, sono sul piano delle amministrazioni locali, un livello di governo che in genere è relativamente immune alle divisioni mediatizzate della politica nazionale ed è più facile raggiungere un consenso di massima. Un’ipotesi controfattuale è stata quella della serie tv di fantascienza Watchmen del 2019, ambientata in un presente alternativo dove grazie a un gruppo di eroi mascherati gli Stati Uniti vincono la guerra del Vietnam. Nella fiction, durante la presidenza del democratico progressista Robert Redford viene introdotto un ampio programma di riparazioni per i discendenti delle vittime di violenza razziale che provoca un risentimento strisciante tra i bianchi, che a sua volta aiuta la creazione di numerose milizie suprematiste. Uno scenario fittizio che però lascia intravedere quali sarebbero le immense difficoltà di implementazione di un simile programma di ambiziosa giustizia sociale.

 

 

Foto di copertina: il murales in memoria del massacro di Greenwood © Sharon Mollerus, foto via Flickr.

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