Erano giorni molto caldi per Erdogan: sul fronte interno per l’avvicinarsi dell’anniversario al quale tiene di più, quello del tentato di golpe contro di lui e sul fronte internazionale per l’intrecciarsi delle manovre, sue e degli altri grandi attori coinvolti, in Siria e Libia. In questo quadro erdoganiano, il 10 luglio del 2020, il Consiglio di Stato turco ha annullato la decisione con cui, il 24 novembre del 1934, il presidente della Repubblica turca, Mustafa Kemal, aveva fatto di Santa Sofia un museo. Era passato quasi un secolo, e pochi minuti dopo il presidente turco, Erdogan, faceva di quel complesso monumentale nuovamente una moschea, come era stato dopo la conquista ottomana, dal 1453. Da quando fu edificata dall’imperatore Giustiniano, nel 537, Santa Sofia era stata la più grande cattedrale cristiana. Nel 1204, con la quarta crociata, fu profanata e convertita con la violenza dai crociati in cattedrale cattolica di rito latino, poi usata come epicentro del nuovo tentativo romano di imporre l’uniatismo, basato su Chiese orientali ma fedeli a Roma. Un tentativo che ebbe il suo apice con il famoso Concilio di Firenze, nel 1439. Sarebbe importante ricostruire il senso di quegli anni, come della tesissima celebrazione del 12 dicembre 1452 proprio a Santa Sofia, presente l’imperatore Costantino XI Paleologo e tanti delegati.
Dunque Santa Sofia ne ha viste tante, la sua è stata una storia agitata, nella quale non riesce a sorprendere neanche un ripensamento amministrativo giunto un secolo dopo. Non si può fingere però che sia normale che il 19 luglio di quest’anno il presidente Erdogan l’abbia visitata a sorpresa; doveva controllare di persona lo stato dei lavori per consentire la copertura dei mosaici durante le funzioni religiose, il cui inizio è previsto da venerdì 24 luglio.
Dunque si volta pagina. Non c’era, in sé, nulla di bello nell’aver dovuto fare di un luogo di culto un museo. La sensazione di uscita dal vissuto della vita di un luogo di culto trasformato in museo è evidente. Soprattutto se la storia è quella dolorosa e nota. Ma allora nel caso di Santa Sofia si può dire che proprio la coesistenza tra l’enormità e la valenza dell’edificio e la coesistenza al suo interno, per quasi cent’anni, di indimenticabili mosaici bizantini e medaglioni islamici davano a tutti la percezione di un’eccezione. La cattedrale e la sua cupola accogliendo accanto a quei capolavori d’arte cristiana simboli religiosi degli ex conquistatori trasmettevano l’idea di un qualcosa di più di un museo, si potrebbe dire di un messaggio nuovo per tutto il Mediterraneo tormentato da guerra anche nel nome di Dio. Quel museo diceva che gli assolutismi dei credenti possono essere superati, lo spazio può essere preservato per consentire un cammino rispettoso tanto della storia e della sua verità quanto della complessità.
Questa vicenda dunque andrebbe capita appieno per la sua enormità, perché rifacendo un secolo dopo di Santa Sofia una moschea Erdogan in realtà ha tentato di strappare il Documento sulla fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 da Francesco e dall’Imam di al-Azhar. In quel documento si afferma che “la libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano.”
Questo grandioso traguardo Erdogan ha tentato di cancellarlo, riproponendo un’epoca di crociate e conquiste, o riconquiste. Forse ha ragione chi vede nella sua scelta una priorità in chiave interna, recuperare consenso soffiando sul senso nazionalista dei turchi che gli stanno voltando le spalle per i problemi economici del quotidiano. Allora quel 45% di turchi che hanno osato dichiarare di non apprezzare, pur in assenza di una libera stampa, dimostrerebbe un quasi flop. Ma forse ha ragione chi vede un’altra priorità, inserirsi nella feroce guerra per la conquista dell’Islam, combattuta oggi da wahhabiti contro khomeinisti, con il suo Islam all’apparenza “neo-ottomano” ma in realtà anti-moderno come i due avversari.
Forse la verità, come a volte accade, sta nel mezzo, e il progetto “califfale” di Erdogan non avrebbe dato i risultati sperati visto che le sole voci ufficialmente di sostegno sono state quelle dei turchi ciprioti e di Hamas: non tantissimo. Ma gli europei cosa hanno visto nel “fatto” Santa Sofia? Le cancellerie europee sembrano averci visto poco, e questo probabilmente è l’aspetto che il leader turco aveva giustamente intuito. Così la decisione di Erdogan, complice la scarsa attenzione dell’Europa politica, rischia di riuscire proprio qui in Europa a centrare uno dei suoi intenti: rafforzare un cristianesimo anti-moderno, un cristianesimo crociato per rispondere a un Islam di conquista. È quello che non fecero i Sultani, che vollero regolarmente comprare dalle autorità cristiane Santa Sofia. Nessuno, certo, li obbligava né qualcuno può immaginare che un suddito dicesse al Sultano “il bene non è in vendita”. Quell’acquisto, allora, era anche un riconoscimento dell’altro.
La sconcertante decisione del tribunale amministrativo turco di vedere proprio in quell’atto di acquisto la causa di nullità del decreto di Mustafa Kemal detto Ataturk rende evidente la cultura binaria di Erdogan e di chi ne ha coperto l’intento: “noi lo abbiamo comprato, noi ne siamo i padroni”. Ma noi chi? L’ente religioso a cui Santa Sofia era stata affidata dal Sultano divenne ovviamente ente di Stato quando nacque la Turchia moderna. Erdogan avrebbe potuto fare un decreto presidenziale come aveva fatto il suo predecessore. Non lo ha fatto, ha voluto la sentenza del Consiglio di Stato per identificare la sua idea di Islam nazionale e nazionalista con quella dello Stato nazionale. L’enormità di quanto fatto da Erdogan sta soprattutto qui. Dunque per lui rimangono due problemi: sui simboli mostrati durante la sua visita, il complesso di Santa Sofia si chiama ancora così, con il nome greco, e il suo nome viene ancora scritto con caratteri latini.
Emerge di qui il carattere anti-ottomano della conquista erdoganiana di Santa Sofia. I sultani ragionavano in termini di eredi di un impero che si sentiva e pensava universale, e quindi capivano la complessità, non erano dei nazionalisti, tanto che proprio il Sultano andò a cercare l’uomo a cui far riaprire il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli prima e poi sempre il Sultano creò in città la prima sede arcivescovile armena in città, mai esistita prima.
Dunque sì, con la conquista erdoganiana di Santa Sofia l’Europa sarebbe chiamata a scoprire l’enormità del Documento sulla fratellanza, quello che Erdogan intende strappare, il Documento che gli europei, media inclusi, hanno pressoché ignorato dal giorno della sua firma ad Abu Dhabi. Certo, quel Documento non parla di antichi simboli di valore universale, ma sa benissimo che sin quando la cupola di Santa Sofia si leverà nel cielo di Istanbul non ci sarà conquista. E la coesistenza non può ridurre una religione a simbolo di una nazione e un gruppo etnico a padrone dell’unica religione di quella nazione.
Il colpo che l’Europa cristiana non ha ben capito è proprio quello nazionalista e antimoderno, il cuore cioè del nuovo corso erdoganiano. Come tutte le fedi, anche il cristianesimo non è una fede nei sassi, ma per gli uomini. Dunque non è “possedere” Santa Sofia il problema, ma il sapore antimoderno che rifarla moschea per ukaze presidenziale comporta.
È inutile parlare di sogni: il giorno della decisione del Consiglio di Stato turco Erdogan non ha sognato, ha mercanteggiato. Aveva bisogno della sua cattedra, o cattedrale, universale? E prendersela cosa gli costava? I giorni precedenti la mossa gli hanno detto che gli sarebbe costata poco; nulla sul tavolo americano, poco su quello russo. E su quello europeo? Probabilmente questo è stato il computo più problematico. Escludendo una ricaduta diplomatica forse ha calcolato che avrebbe dato la stura a sentimenti antimoderni: qualche crociato serve sempre a un Califfo.
Così il solo davvero addolorato per Santa Sofia appare Francesco, l’artefice del Documento che il nazionalizzatore dell’Islam sembra proprio voler strappare. Ma i suoi dotti dell’Islam neanche lo conoscono quel documento. È proprio difficile pensare che lo conoscano, visto che nessuna voce turca ha partecipato al grande dibattito teologico che è seguito a quella firma. L’Islam nazionalizzato di Turchia non parla al mondo, non parla del mondo. L’Islam nazionalizzato ripete quel che dice il Capo di Stato, che poi è anche il suo capo.
Ma nel cielo di Istanbul rimane la cupola di Santa Sofia, che non è una delle mille Sante cristiane, ma la Santa Sofia, cioè la Sapienza divina, quella sapienza che secondo il Documento di Abu Dhabi ci ha voluto diversi, nonostante Erdogan.
Dunque il vero messaggio che giunge da Istanbul per gli europei è capire il carattere antimoderno del disegno di Erdogan e della visione di Islam che lui si candida a rappresentare: capirlo renderebbe più facile capire che non è con altrettanta anti-modernità, ma con maggiore modernità che sarebbe importante rispondere.
Foto: Ozan Kose / AFP