A lei spetta un’impresa storica: non far scomparire dalla Knesset, il Parlamento israeliano, il partito che “fondò” lo Stato d’Israele: il Partito laburista. Il partito che fu, solo per citare alcuni dei suoi leader storici, di David Ben Gurion, Golda Meir, Abba Eban, Moshe Dayan, Yitzhak Rabin, Shimon Peres. Il partito-Stato che governò ininterrottamente, e da solo, Israele dalla sua fondazione, il 1948, al 1977, quando per la prima volta a vincere le elezioni fu il Likud di Menachem Begin.
I laburisti hanno visto precipitare le loro fortune elettorali negli ultimi anni, colpiti da uno spostamento a destra tra gli elettori israeliani, da turbolenze nel partito e dall’emergere di nuovi attori politici che hanno eroso la sua base. Da quando è entrato nel governo dopo le precedenti elezioni, il partito ha perso praticamente tutto il suo sostegno e nessun recente sondaggio d’opinione ha previsto che entri nella prossima Knesset. Ed è in questo cupo scenario che il glorioso ma devastato Labour ha deciso di affidare la sua sopravvivenza politico-parlamentare ad una donna coraggiosa, che chi scrive ha avuto modo di conoscere personalmente: Merav Michaeli. Giornalista, femminista, 54 anni, è l’unica parlamentare rimasta ai laburisti: Michaeli ha stravinto le primarie del partito.
Un grande risultato, ma una goccia in un mare di pessimismo. In neanche due mesi, dovrà dare uno scossone fortissimo ad un partito annichilito dagli ultimi disastri, motivare gli iscritti a impegnarsi in una campagna elettorale anomala, perché avviene nel pieno di una crisi pandemica tutt’altro che risolta.
«All’ultimo momento, abbiamo salvato questo movimento dall’essere cancellato. Capisco l’enormità dell’ora. Il partito laburista è ancora bloccato nel fango e io ho la missione di salvarlo e ricostruirlo», ha detto Michaeli subito dopo l’ufficializzazione dei risultati. Michaeli ha anche detto che permetterà a chiunque di presentare la propria candidatura per la lista elettorale del partito, ma non ha fatto menzione di una possibile corsa congiunta con altre fazioni di sinistra, scommettendo sul sulla ripresa della sua. «Il Partito Laburista è ancora bloccato nel fango e la mia missione è salvarlo e ricostruirlo», ha affermato dopo aver ottenuto il 77% dei voti, battendo Avi Shaked (19%).
Un sasso nello stagno
«Merav è una leader importante. Inizieremo immediatamente una discussione sulla costruzione di una grande casa per tutto il centro-sinistra. Ci uniremo per sconfiggere Netanyahu e portare il cambiamento nello Stato di Israele», ha scritto su Twitter il sindaco di Tel Aviv Ron Huldai, che ha recentemente lanciato il partito The Israelis. «Ora è il momento di agire e di unirsi rapidamente senza esitazione», gli ha fatto eco il leader del partito Tnufa, Ofer Shelah. Anche il leader dell’opposizione Yair Lapid, che guida il centrista Yesh Atid, si è congratulato con Michaeli, così come Nitzan Horowitz, capo del partito di sinistra Meretz.
Michaeli incassa gli apprezzamenti, registra le aperture, ma sa che stavolta il Labour si gioca le ultime fiches rimastegli al tavolo ingombro della politica israeliana. I rilevamenti di opinione successivi alla sua vittoria nelle primarie aprono un piccolo spiraglio alla speranza. Per la prima volta, infatti, alcuni sondaggi danno il Partito laburista poco sopra la soglia di sbarramento per restare alla Knesset.
«È durissima, ma dobbiamo fare di tutto e di più per provarci – dice la neo leader del Labour a Reset, che l’ha raggiunta telefonicamente nel suo ufficio in Parlamento –. Dobbiamo rimotivare i nostri iscritti, convincere i tantissimi che ci hanno lasciato che è ora di tornare a casa. E che il nuovo Labour può essere, grazie all’impegno di tutti, una casa accogliente per chi coltiva ancora quei valori di solidarietà, di giustizia sociale, di una pace nella sicurezza, di una democrazia inclusiva che rafforza l’identità ebraica. Valori e principi che sono stati l’essenza del pionierismo sionista e che oggi vanno rilanciati adattandoli all’oggi».
Michaeli non chiude le porte ad un’alleanza con il Meretz e The Israelis, ma annota: «Dobbiamo far tesoro delle dure lezioni che abbiamo ricevuto dagli elettori. Coalizioni raffazzonate all’ultimo momento sottraggono e non incrementano i consensi. Oggi è davvero in gioco uno dei fondamenti di una democrazia compiuta: l’alternanza al governo di forze diverse, che danno vita ad alleanze che non sono anti ma per qualcosa. Non basta essere contro Netanyahu per essere convincenti agli occhi degli israeliani».
E per essere convincenti, e alternativi alle destre, una delle prime decisioni di Michaeli è stata quella di chiedere al suo predecessore alla guida del partito Amir Peretz e a Itzik Shmuli di lasciare il governo di unità guidato da Netanyahu. «Se vogliono continuare come ministri, non faranno parte del partito», avverte Michaeli, accusandoli di «ingannare i nostri elettori aderendo ad un governo corrotto».
Una delle sue grandi bandiere è non far parte di alcun governo Netanyahu. «È inaccettabile che collaboriamo con un imputato per corruzione e uno dei responsabili di incitamento all’odio a sinistra e alla divisione nel Paese», dice.
«A tutti quelli che vi hanno ingannato e hanno preso il vostro voto, vi dico che è ora di tornare a casa», chiede Michaeli che ammette: «È un momento molto emozionante per me perché sono stato scelta a capo del partito guidato dai fondatori di Israele e perché siamo riusciti all’ultimo minuto a salvare questo movimento dall’essere cancellato dalla mappa politica».
Palestra femminile
Prima di entrare in politica nel 2012, Michaeli si è distinta come giornalista in una carriera segnata dalla sua agenda femminista e sociale. La sua fama è arrivata grazie ai suoi lavori come presentatrice televisiva e radiofonica.
Nel 1997 ha creato l’associazione “Aiuta le donne” per assistere le vittime di violenza di genere. Esattamente otto anni fa, Michaeli si candidò alle primarie del partito laburista e ne divenne deputato. Da allora, il suo lavoro parlamentare e pubblico si è concentrato fondamentalmente sulla difesa dei diritti delle donne e della comunità LGTB, sulla separazione tra religione e Stato e sul processo di pace con i palestinesi. Famoso è anche il suo partner: il presentatore e comico Lior Schleien.
Un trascorso femminista che la neo leader laburista rivendica con orgoglio. E che rilancia, sostenendo che è importante per Israele che ci sia una donna a capo di un partito. «So per esperienza che le donne mi dicono che voterebbero per me indipendentemente dalle loro opinioni su questioni chiave per far avanzare una donna», afferma decisa.
Gli auguri per la sua “missione impossibile” non sono però un atto di galanteria politica, ma il portato della consapevolezza che Israele continua ad aver bisogno di una sinistra che si batta contro le vecchie e nuove disuguaglianze, che non declini, come fa la destra, l’identità ebraica come fattore di esclusione ma, al contrario, come apertura, inclusione, rispetto dei diritti e del ruolo delle minoranze. Una sinistra che tragga dalla vittoria di Joe Biden stimoli per rilanciare sé stessa, il suo profilo democratico e progressista, in Israele. E non solo.