Alla vigilia di cruciali elezioni parlamentari e presidenziali dall’esito non affatto scontato, la sentenza di condanna a 2 anni e 7 mesi di reclusione con l’interdizione dai pubblici uffici per tutta la durata della pena del popolare sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, per sospetto insulto ai giudici del Consiglio supremo elettorale (YSK), ha rinvigorito l’opposizione e ha fornito ai loro leader l’opportunità di cementare la propria base e attrarre simpatie e consensi anche al di là del proprio bacino elettorale.
L’opposizione ha presentato la sua piattaforma elettorale dopo diverse riunioni per formare una coalizione denominata “Tavolo dei Sei”, costituita da sei partiti dell’opposizione, cioè dall’intera area anti Erdoğan, tranne l’HDP. I tre punti principali al centro del suo programma sono il ritorno a una Repubblica parlamentare rafforzata con premierato, il ripristino dello Stato di diritto e la riforma dell’economia per il superamento della crisi in corso.
Nel frattempo, un’altra accusa è stata mossa contro İmamoğlu: quella di aver assunto dei terroristi all’interno dell’amministrazione municipale dopo aver subito la condanna per insulto a pubblici ufficiali. “Il governo turco attacca sistematicamente la municipalità metropolitana di Istanbul, seguendo un calendario ben preciso, ovvero, man mano che si avvicina la scadenza elettorale”, è stata la risposta del sindaco alla nuova accusa.
Le voci diffuse in questi giorni da alcuni media su una sua possibile defenestrazione dall’amministrazione comunale hanno fatto precipitare l’indice della Borsa di Istanbul del 7 per cento, proprio mentre il presidente Erdoğan annunciava che la data delle elezioni presidenziali e parlamentari, previste per il 18 giugno, sarebbe stata anticipata (probabilmente tra fine aprile e inizio maggio) e mentre veniva diffusa la notizia che l’Alta corte aveva stabilito il congelamento temporaneo dei conti bancari del Partito democratico dei popoli (HDP) di sinistra libertaria e filocurdo, accusato d’aver utilizzato soldi del finanziamento pubblico per attività terroristiche.
Su questo partito, terza maggiore forza politica presente nel Parlamento turco, che ha già subito una pesante decimazione di 50 sindaci regolarmente eletti, defenestrati, e l’arresto di circa 7mila tra militanti e dirigenti, incombe la minaccia di chiusura da parte della Magistratura per presunto sostegno al partito curdo armato PKK (Partito del lavoratori del Kurdistan) e l’esclusione dalla vita politica di centinaia di suoi membri.
È stato il ministro dell’Interno in persona, Süleyman Soylu ad aver annunciato che era stata avviata un’altra indagine contro il sindaco metropolitano di Istanbul per sospette assunzioni nell’amministrazione della municipalità della megalopoli turca di “persone affiliate a organizzazioni terroristiche”. Soylu accusa il sindaco di aver assunto 1.668 persone che “hanno rapporti con organizzazioni armate” e cioè con il PKK e altri gruppi estremisti non meglio specificati, e per questo ha avviato una inchiesta.
Subito dopo essere entrato in carica nel 2019, il sindaco İmamoğlu aveva richiesto un “nulla osta di sicurezza” sulle persone da assumere, ma la richiesta fu respinta. E anche successivamente, nel 2021, quando il ministro dell’Interno mosse l’accusa per la prima volta, il Comune fece richiesta alle autorità competenti di ottenere informazioni dettagliate sul personale oggetto delle accuse di eversione e di terrorismo formulate da Soylu, ma anche questa volta le informazioni furono negate.
Soylu aveva collegato il personale incriminato a otto diverse organizzazioni terroristiche, alcune delle quali erano state classificate come “varie”. “Chi sono queste varie organizzazioni terroristiche?”, ha chiesto più volte il sindaco İmamoğlu e non avendo ricevuto alcuna risposta, è giunto alla conclusione che le indagini avviate contro di lui mostravano tutta la loro inconsistenza ed erano “chiaramente motivate da un calcolo politico”.
Inoltre quei magistrati che si erano rifiutati di procedere nelle indagini contro il sindaco decidendo di archiviarle perché pretestuose sono stati via via rimossi dal loro ufficio e sostituiti con persone vicine se non addirittura affiliate all’AKP al potere. È il caso del nuovo procuratore capo Arif Yıldırım che prima di assumere l’incarico di seguire il processo İmamoğlu era stato candidato nel 2018 al Parlamento nelle file del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) e aveva aperto ben 28 indagini contro İmamoğlu nei primi due anni del suo mandato.
Anche il procuratore capo della causa intentata contro İmamoğlu per l’accusa di insulto ai giudici del Consiglio supremo elettorale (YSK) nel 2019 era stato rimosso perché si era opposto alla condanna al carcere del sindaco e alla sua interdizione dall’attività politica per tutta la durata della pena. Fu proprio lo stesso giudice a rivelarlo ai giornalisti.
La febbre elettorale sta salendo nell’entourage del presidente Erdoğan mentre la Turchia è entrata nell’anno del centenario della fondazione della Repubblica. La posta in gioco è elevatissima: 62,4 milioni di elettori dovranno decidere se confermare per altri cinque anni il governo autocratico del presidente o se cambiare affidando la guida del paese a un candidato dell’opposizione.
Il peggioramento delle condizioni economiche del paese ha portato molti osservatori a ipotizzare, la scorsa estate, che Erdoğan si stesse avviando verso una possibile sconfitta elettorale poiché l’inflazione è galoppante – innescata in gran parte dalla sua stessa insistenza nella politica di riduzione dei tassi di interesse – ha portato ad un aumento notevole del costo della vita determinando un significativo impoverimento anche della classe media.
Negli ultimi mesi, tuttavia, Erdoğan e il suo Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) si sono mobilitati e la maggior parte dei sondaggisti ora prevede una corsa più serrata. Nelle ultime settimane il governo ha intrapreso la cosiddetta “corsa alla spesa pre-elettorale” nel tentativo di alleviare le notevoli difficoltà che devono affrontare gli elettori. Nella “spesa elettorale” il presidente ha inserito l’aumento del salario minimo del 55 per cento portandolo a 8.500 lire mensili (453 dollari) e l’aumento dei sussidi per carburante, elettricità e gas naturale. Inoltre è stata abolita una regola sull’età pensionabile, consentendo potenzialmente a più di 2 milioni di turchi di andare in pensione anticipatamente, mentre nel mese di dicembre i dipendenti pubblici in servizio e quelli in pensione hanno già ricevuto in busta paga un aumento del 30 per cento.
Intanto con sollievo per i consumatori l’Istituto di statistica turco (TÜIK) ha annunciato che il tasso d’inflazione è sceso al 64,3 per cento nel mese di dicembre dall’84,4 per cento di novembre. Tuttavia gli economisti indipendenti stimano che il tasso reale di inflazione sia del 137,6 per cento. L’inflazione a ottobre aveva fatto registrare il massimo storico degli ultimi 24 anni toccando la quota dell’85,5 per cento. Con questo ritmo inflattivo anche il considerevole aumento in busta paga appena elargito verrebbe completamente eroso e dunque per questo il leader turco intende anticipare le elezioni altrimenti sarebbe costretto a varare una ulteriore “spesa elettorale” che però le casse del fondo sovrano turco già a secco non potrebbero consentire. L’amministrazione dell’AKP sa benissimo che miglioramenti come l’aumento del salario minimo, il nuovo regolamento sul prepensionamento e ora l’aumento delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti pubblici perderanno il loro effetto in pochi mesi di fronte a una tale crescita mensile del costo della vita.
Gli strateghi dell’AKP cercano di studiare la data più vantaggiosa per lo svolgimento delle elezioni e quella preferita è condizionata non solo dall’esaurimento degli effimeri benefici della spesa elettorale, ma anche dal calendario delle vacanze estive. Infatti se non ci dovesse essere un chiaro vincitore, come è molto probabile che avvenga, nel voto presidenziale previsto per il 18 giugno, due settimane dopo si dovrà tenere un turno di ballottaggio tra i due primi candidati. Poiché le scuole si chiuderanno il 16 giugno, il secondo turno elettorale si svolgerebbe durante la pausa estiva scolastica e durante la festa religiosa del Kurban, che si festeggia dal 28 giugno al 1° luglio. In quei giorni molti elettori non si troverebbero nei loro collegi elettorali perché sarebbero o in vacanza o in visita ai parenti nelle altre città.
Nel frattempo, infuria il dibattito sull’ammissibilità di una terza candidatura alla presidenza di Erdoğan. Secondo la Costituzione turca, per la presidenza si prevedono al massimo due mandati. Erdoğan è stato eletto presidente nel 2014 e nel 2018 e dunque sarebbe per lui impossibile un terzo mandato. Ma secondo i suoi sostenitori andrebbe escluso il primo mandato perché avvenuto prima della riforma approvata nel 2017 con un referendum che ha introdotto il sistema presidenziale attuale.
Secondo alcuni costituzionalisti, un terzo mandato per Erdoğan sarebbe legittimo solo se il Parlamento decidesse di indire elezioni anticipate con una maggioranza dei tre quinti. Ma l’AKP e i suoi alleati non hanno la maggioranza dei tre quinti per indire le elezioni anticipate e dunque il Parlamento potrebbe essere sciolto solo dal presidente Erdoğan, ma se dovesse farlo lui, in questo caso, non potrebbe candidarsi per la terza volta.
Ad ogni modo il presidente turco sa una cosa, o due, sulla vittoria alle elezioni, ad esempio sa che il modo migliore per assicurarsi una vittoria è vincere prima della data delle elezioni.
La corsa elettorale in Turchia non ha affatto un esito scontato. La condanna definitiva di İmamoğlu non entrerà in vigore fino a quando non sarà confermata dalla Corte d’appello e in ogni caso il sindaco non andrà in prigione perché la pena è inferiore ai cinque anni. Naturalmente, Erdoğan ha altri assi nella manica e una eventuale interdizione dalla vita politica di İmamoğlu è solo uno di una serie di assi per modellare il campo di gioco politico a suo favore in vista delle elezioni. Dopo 20 anni al potere, e dopo essersi fatto molti nemici, il presidente turco ha molto da perdere.
La cosiddetta “legge sulla disinformazione” recentemente approvata dal Parlamento – che secondo i critici, ha il potenziale per limitare la libertà di parola e il flusso di informazioni sui social media – è un’altra mossa messa in atto dal presidente per mettere a tacere l’opposizione.
Ma il leader turco sta anche giocando abilmente anche nel campo geopolitico cercando di conseguire successi che spera rafforzino la sua immagine e il suo potere in patria.
Ha approfittato economicamente e geopoliticamente della guerra in Ucraina mantenendo la Turchia in una posizione di equidistanza tra Occidente e Russia, in quella che il leader turco ha definito come una politica “equilibrata”. Ma che più appropriatamente andrebbe definita come “diplomazia del pendolo”. La Turchia sta vendendo droni all’Ucraina e ha contribuito a garantire l’accordo sulle esportazioni di grano ucraino, ma non applica le sanzioni occidentali a Mosca e ha triplicato i suoi scambi commerciali con la Russia, mentre affluiscono capitali da fonti sconosciute alle casse della Banca centrale per un valore di 28 miliardi di dollari, afflusso questo che ha impedito una crisi della bilancia dei pagamenti e ha consentito al governo di erogare nuove sovvenzioni per i cittadini grazie alla strategia della “spesa elettorale”.
Il presidente turco spera anche di poter convincere Vladimir Putin a dare il suo via libera a una nuova incursione turca, anticurda, in Siria proprio in prossimità della scadenza elettorale, nella speranza che ciò possa demoralizzare o allontanare gli elettori curdi dal campo dell’opposizione creando un’atmosfera ipernazionalista. Putin potrebbe fare un bel regalo a Erdoğan dando un disco verde a questa possibilità per aiutare il suo prezioso amico e ricambiare i favori che sta ricevendo essendo la Turchia diventata il portone per il commercio russo nel mondo. Eppure, anche se il presidente turco rimane un abile tattico, ci sono segnali che abbia perso il contatto con la gente. Sta dando al suo principale rivale l’opportunità di percorrere la strada verso il potere politico come quella da lui percorsa nel 1998, quando era sindaco di Istanbul ed entrò in conflitto con il governo che lo destituì dal suo incarico e scontò quattro mesi di carcere. Gli elettori non hanno mai perdonato quella violazione della loro volontà e lo hanno premiato portandolo al governo nelle elezioni generali nel 2002. Ora sta dando a İmamoğlu l’opportunità di seguire una traiettoria simile.
Foto di copertina: Un macellaio al lavoro sotto il ritratto del presidente turco Recep Tayyip Erdogan a Piazza Taksim, Istanbul, 20 giugno 2018 (foto di Bulent Kilic/Afp).