Vedere quelle carte geografiche, è un pugno allo stomaco. Leggere quei numeri, un colpo al cuore per chiunque abbia creduto e si sia battuto per una pace giusta in Palestina. Una pace tra pari, fondata sulla legalità internazionale. Rivelate da Haaretz,. quelle carte geografiche materializzano un incubo chiamato annessione. Oltre ogni limite: un furto di Stato, l’istituzionalizzazione dell’apartheid, una rapina di Territori palestinesi occupati, il più grande sfregio a risoluzioni Onu. Questo è il “piano Netanyahu-Gantz” e del loro Governo dell’annessione.
Diamo i numeri
Il 23% della Cisgiordania: 40.000 ettari di terra palestinese privata. Verranno annessi 12 villaggi arabi con 13.500 abitanti. Gerico sarà ridotta a una enclave di 43.000 abitanti che non potranno uscire né entrare senza passare da checkpoint israeliani. Ci sarà un nuovo confine con 124 miglia in più e, con ogni probabilità, un nuovo Muro. È il piano “Netanyahu-Gantz” in pillole. Pillole avvelenate per i Palestinesi.
Sulla carta – rileva Haaretz – , il “Piano del secolo” di Donald Trump si basa sulla soluzione a due Stati e delinea un futuro lontano in cui ci sarà uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele. Ma in termini di territorio su cui questo Stato palestinese sarebbe stabilito, propone il territorio più limitato e non contiguo mai offerto ai palestinesi dalla comunità internazionale. Il principio guida dell’amministrazione, secondo Trump, è che “nessun palestinese o israeliano verrà sradicato dalle loro case”. Di conseguenza, la mappa che accompagna il piano consente a Israele di annettere tutti gli insediamenti esistenti, oltre alle aree circostanti e alle strade di accesso.
Secondo l’amministrazione Usa, Israele avrebbe annesso circa il 30% della Cisgiordania. Tuttavia, sulla base delle mappe presentate da Netanyahu e dall’amministrazione, gli esperti stimano che in realtà si aggirerebbe attorno al 23%. Ciò si aggiunge allo “scambio di territori e popolazioni” che appare nel piano nell’area del Negev e della Galilea, noto come “Il Triangolo”. Tuttavia, non è chiaro se questi rimarranno nel piano dopo essere stati così ampiamente contestati a gennaio.
È importante ricordare – rimarca ancora il quotidiano progressista di Tel Aviv – che una mappa finale e dettagliata non è ancora stata pubblicata. L’amministrazione Usa ha istituito un comitato israelo-americano congiunto, che ha lavorato sin dal rilascio del piano per tracciare confini più precisi. Secondo alti funzionari degli Stati Uniti, quella mappa è quasi pronta.
Inoltre, prima della pubblicazione del piano Trump, lo scorso anno il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato che gli Usa non definiscono più gli insediamenti come una violazione del diritto internazionale e che Israele è libero di definire il loro status giuridico e gli Stati Uniti lo riconoscerà.
Non solo. Come ha affermato l’ambasciatore americano a Gerusalemme David Friedman, ci sarebbe uno Stato palestinese solo “quando i palestinesi diventeranno canadesi”.
Secondo il piano Trump stesso e alti funzionari statunitensi, tra cui Pompeo, l’annessione israeliana dipende dall’accettazione dell’intero piano, in particolare dal suo accordo di condurre negoziati diretti con i palestinesi per almeno quattro anni. Durante questo periodo, a Israele viene chiesto di congelare tutte le costruzioni e le demolizioni nel territorio destinato allo stato palestinese, nonché possibilmente in altre aree. Il piano include anche l’istituzione di una capitale palestinese nei quartieri di Gerusalemme est e il rilascio di prigionieri palestinesi.
A tutte queste clausole si oppone con veemenza la leadership dei coloni, che vede il piano come un compromesso che pregiudica la loro visione del “Grande Israele”. Il piano include anche un lungo elenco di condizioni che i palestinesi devono soddisfare. Tuttavia, mentre Washington ha ripetutamente sottolineato che Israele deve accettare l’intero piano per annettersi i nuovi territori, il comitato che stabilisce i confini per l’annessione ha già svolto molto lavoro. In altre parole, sia Israele che gli Stati Uniti si stanno preparando a realizzare un’annessione unilaterale. L’argomento è che dal momento che questi territori saranno comunque israeliani in futuro, secondo il piano di Trump, e che i palestinesi non sono interessati ai negoziati, non vi è alcun impedimento ad annettere i territori in anticipo.
Decisivo, per ragioni politiche, è il fattore tempo. Annota Janiki Cingoli, già presidente del Centro italiano per la pace in Medio Oriente: “L’elemento decisivo sarà ancora una volta Trump, e il suo desiderio di galvanizzare l’elettorato anglicano USA, che costituisce il 30% dei votanti ed è la sua base elettorale più consistente. La disastrosa gestione della pandemia ha già fatto calare di alcuni punti il gradimento anche in questo settore, che pure resta in larga maggioranza favorevole all’attuale Presidente: se la partita con Joe Biden si dovesse rivelare troppo a rischio, in una fase in cui le conseguenze della crisi sanitaria si faranno drammatiche, non è escluso che Trump forzi Netanyahu in tale direzione, per guadagnare consensi in questa area chiave dei suoi votanti. E d’altra parte, la recente, strana visita del segretario di Stato Usa Mike Pompeo pare far intendere una pressione proprio in tale direzione….”.
Senza ritorno
Dal 1967, Israele ha intrapreso molte azioni in Cisgiordania che sono considerate “annessione strisciante” o “annessione di fatto” – ad esempio l’espansione di insediamenti e avamposti e il loro collegamento con Israele mediante infrastrutture, insieme a restrizioni e demolizioni delle costruzioni palestinesi nell’area C (il 60 per cento della Cisgiordania sotto il controllo militare israeliano). La mossa in discussione fornirebbe un quadro giuridico per la realtà sul campo, rendendola “de jure”, ma la approfondirebbe anche.
Innanzitutto, sarebbe possibile sostituire l’amministrazione militare con la legge e l’amministrazione israeliane. In linea di principio, oggi l’esercito è la massima autorità legale nei territori occupati, rispondendo al ministero della Difesa. Ciò è in parte fatto attraverso le leggi che esistevano nell’area prima dell’occupazione israeliana. Tuttavia, come parte della stessa “annessione strisciante”, la legge israeliana si applica sostanzialmente già ai coloni stessi (ma non ai palestinesi che vivono nelle stesse aree). È possibile che l’annessione israeliana fornisca una base legale per la situazione esistente, in cui esistono sistemi giuridici separati per israeliani e palestinesi, ma potrebbe anche includere l’applicazione della legge israeliana in molte aree in cui vivono attualmente i palestinesi. Il loro numero dipenderà dalla mappa finale.
“Quest’ultimo scenario – annota Noa Landau, firma di punta di Haaretz – solleva alcune difficili domande sullo status di questi palestinesi. Israele concederebbe loro la cittadinanza? Potrebbero esserci conseguenze anche per i proprietari palestinesi di terre annesse, che potrebbero perdere la proprietà privata Un altro problema è la Legge sui referendum, in base alla quale la consegna di terreni soggetti alla legge israeliana richiederebbe la maggioranza della Knesset di 80 legislatori o un referendum pubblico. Fino ad ora, la Cisgiordania non era inclusa in quella legge poiché la legge israeliana non si applica ufficialmente lì. Applicare la legge israeliana a tutta o parte della Cisgiordania renderebbe molto difficile fare future concessioni come parte degli accordi di pace, se mai ce ne fossero. Per queste e altre ragioni, la sinistra sta prendendo atto che l’annessione seppellirebbe sostanzialmente la soluzione dei due Stati e porterebbe a un unico Stato che metterebbe in pericolo l’identità ebraica d’Israele o sarebbe ufficialmente un regime di apartheid, con un sistema legale discriminatorio per i palestinesi”.
In morte del sionismo?
In questo caso, dice a Reset Zeev Sternhell, il più autorevole storico israeliano, “a morire sarebbe la democrazia e ciò che resta degli ideali originari del sionismo. Quel Piano distrugge ogni speranza di una pace giusta e duratura. È la legalizzazione di un regime di apartheid che vige nei Territori occupati palestinesi. È la legittimazione delle posizioni più oltranziste della destra israeliana. È un affronto al diritto internazionale. E potrei continuare a lungo nell’elencare le nefandezze di questa vergogna che Gantz ha ingoiato senza fare una piega”. E a chi vede proprio nel sionismo la radice ideologica e l’esperienza politica “fatta Stato” che è alla base dell’espansionismo israeliano, Sternhell ribatte: “No, non è così. Questa è una caricatura del sionismo o, comunque, ne è una traduzione politica strumentale, in alcuni casi funzionale ad ammantare di idealità positiva una pratica intollerabile. Il sionismo si fonda sui diritti naturali dei popoli all’autodeterminazione e all’autogoverno. Questi diritti naturali dei popoli valgono per tutti, inclusi i palestinesi. Come ebbi a dire in una nostra precedente conversazione, resto fermamente convinto che il sionismo ha il diritto di esistere solo se riconosce i diritti dei palestinesi. Chi vuole negare ai palestinesi l’esercizio di tali diritti non può rivendicarli per se stesso soltanto. Purtroppo, la realtà dei fatti, ultimo in ordine di tempo il moltiplicarsi dei piani di colonizzazione da parte del governo in carica, confermano quanto da me sostenuto in diversi saggi ed articoli, vale a dire che gli insediamenti realizzati dopo la guerra del ’67 oltre la Linea verde rappresentano la più grande catastrofe nella storia del sionismo, e questo perché hanno creato una situazione coloniale, proprio quello che il sionismo voleva evitare. Da questo punto di vista, per come è stata interpretata e per ciò che ha innescato, la Guerra dei Sei giorni è in rottura e non in continuazione con la Guerra del ’48. Quest’ultima fondò lo Stato d’Israele, quella del ’67 si trasformò, soprattutto per la destra ma non solo per essa, da risposta di difesa ad un segno “divino” di una missione superiore da compiere: quella di edificare la Grande Israele”.
Preparativi di guerra
In un recente briefing con alti ufficiali dell’Idf (le forze armate israeliane), il capo dello staff Aviv Kochavi ha dichiarato di aver allertato i comandanti dell’esercito in merito a una possibile escalation nei territori occupati prima di luglio. L’allerta è stata emessa a causa del piano di annessione. Lunedì, durante una riunione del gruppo parlamentare del Likud, Netanyahu ha annunciato che intende applicare la legge israeliana agli insediamenti e nella Valle del Giordano già dal 1° luglio. “Abbiamo una data prefissata e non la cambieremo”, ha ribadito il promo ministro.
Le parole di Kochavi si riferivano principalmente alla Cisgiordania, meno alla Striscia di Gaza. Finora, l’esercito non ha inviato rinforzi in Cisgiordania, nonostante un aumento del numero di tentativi di attacco nelle ultime due settimane. Verso luglio, l’esercito si sta preparando ad attuare un piano per affrontare un possibile scoppio di violenza. Questo piano include un significativo rafforzamento delle forze in Cisgiordania.
Il dado è tratto. Scrive Gideon Levy, icona vivente del giornalismo israeliano: “Non importa quale sarà il risultato del processo al primo ministro. Comunque andrà a finire, il suo risultato è completo: il processo è entrato nel cuore del discorso pubblico, non c’è quasi nessun altro argomento, tutto il resto è stato spinto in disparte e rimosso dall’agenda. Questo non è un risultato da poco: consentirà di perpetuare per generazioni occupazione, apartheid e falsa democrazia. La destra può dormire sonni tranquilli, la strada per continuare le sue ingiustizie e crimini è stata lastricata”.
Foto: ABIR SULTAN / POOL / AFP