“È stato Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti travolti in questi giorni dalle violente proteste contro il razzismo e contro la brutalità della polizia, a promuovere la discutibile legittimità di un passo tanto grave. Il suo Piano del Secolo, accolto con gioia dalla destra israeliana ma fermamente respinto dai palestinesi, dal mondo arabo e dalla Comunità europea, è stato peraltro elaborato per conquistare le simpatie degli evangelici americani, sostenitori di un allucinante progetto di ricostruzione del tempio sulle rovine della moschea musulmana in attesa di un ritorno di Gesù Cristo.
Questo piano scellerato mira a dividere lo stato destinato ai palestinesi (che rappresenta il quindici percento del territorio originale della Palestina) in tre distretti, analoghi ai Bantustan sudafricani dove i bianchi avevano concentrato una parte della popolazione nera concedendole un’indipendenza virtuale. I palestinesi, ovviamente, si oppongono a tale mossa e minacciano una sospensione del coordinamento tra le loro forze di sicurezza e l’esercito israeliano. I paesi europei, quindi, non solo hanno il permesso ma anche l’obbligo morale di dire: no, adesso basta. In fondo non farebbero che spalleggiare decine di alti ufficiali militari israeliani che si sono pronunciati contro tale inutile annessione la quale, forse, intende ‘afferrare per la coda’ gli ultimi mesi del mandato di Trump in vista della possibilità di una sua mancata rielezione”.
Più chiaro di così, Abraham B. Yehoshua, uno dei più grandi scrittori israeliani di sempre, non poteva esserlo, nel suo articolo di pochi giorni fa per La Stampa.
Reset, con articoli e interviste, ha raccontato, documentato, ciò che questo “Piano Trump-Netanyahu” rappresenta: la morte di una soluzione “a due Stati”, l’istituzionalizzazione dell’aparheid, il de profundis della legalità internazionale in Palestina. Yehoshua argomenta da par suo tutto ciò. E chiama in causa, pesantemente, l’Europa. Così: “La Comunità europea ha sempre sostenuto i palestinesi a parole e in parte anche con i fatti. Quando però si tratta di intraprendere azioni concrete contro iniziative israeliane, viene colta da una semi paralisi. I suoi rappresentanti politici rilasciano dichiarazioni di condanna, votano a favore di decisioni anti-israeliane in istituzioni internazionali, ma lasciano agli Stati Uniti, considerati il patrono e il padrino ufficiale dello stato ebraico, la responsabilità di inibire determinate iniziative. Negli Stati Uniti però, le lobby ebraiche ed evangelico cristiane operano con fermezza ed efficacia, forti anche di un radicato background biblico protestante del quale Israele è considerato un elemento importante. Ricordo che ogni volta che venivano costruiti nuovi insediamenti nei territori palestinesi (con nostra grande rabbia e delusione), il mio caro e compianto amico Amos Oz mi consolava dicendo che sarebbe arrivato il momento in cui gli addetti portuali di Rotterdam si sarebbero rifiutati di caricare merci su navi israeliane, costringendo così il nostro Paese a riconsiderare la sua politica espansionistica. Ovviamente quel giorno non è mai arrivato. E secondo me, indipendentemente dal suo operato politico, a Israele non sarà mai imposto un vero boicottaggio come quello messo in atto contro il Sudafrica. Il motivo è duplice: da una parte ci sono la memoria della Shoah e la responsabilità dell’Europa in quella tragedia, dall’altro l’antisemitismo serpeggiante nella società europea”.
Ora, però, l’Europa non può chiudere gli occhi e restare inerme di fronte a ciò che sta per accadere: “Ora – rimarca Yehoshua – che il governo israeliano, guidato da Netanyahu, vorrebbe attuare un’annessione territoriale immotivata da ragioni di sicurezza (perché quella zona è comunque sotto il controllo dell’esercito israeliano) e che lascerà immutato il già solido status degli insediamenti, ecco che questa sua intenzione appare puramente provocatoria. Una mossa che pregiudicherà per sempre la debole speranza di una soluzione di due stati. I paesi europei, quindi, non solo hanno il permesso ma anche l’obbligo morale di dire: no, adesso basta. In fondo non farebbero che spalleggiare decine di alti ufficiali militari israeliani che si sono pronunciati contro tale inutile annessione la quale, forse, intende ‘afferrare per la coda’ gli ultimi mesi del mandato di Trump in vista della possibilità di una sua mancata rielezione.
Occhi su Washington
Ed ora, cosa potrebbe accadere perché questo piano venga bloccato? Dice a Reset Joel Singer, l’avvocato che ha rappresentato Israele nella negoziazione degli Accordi di Oslo e che alla fine li ha redatti: “Si spera ancora che, all’ultimo momento, gli Stati Uniti – l’unica parte la cui approvazione è richiesta per procedere con l’annessione nell’ambito del patto di coalizione Likud-Blu e Bianco – affrontino le ripercussioni potenzialmente catastrofiche di un’annessione unilaterale del 30% della Cisgiordania, riconsiderino il loro via libera all’annessione e diano istruzioni a Netanyahu di mettere da parte l’annessione, impongano condizioni che Netanyahu non potrà accettare, o spingano Netanyahu a limitare l’annessione unilaterale al minimo. A parte questo, comincia a sembrare che l’inimmaginabile possa effettivamente materializzarsi molto presto”.
“Don” Bibi
Chemi Shalev è una delle icone del giornalismo israeliano. Senior columnist del quotidiano progressista di Tel Aviv, Haaretz, “Very Worried Israeli”, israeliano molto preoccupato, come egli s’autodefinisce nel suo account Twitter, è una delle prime letture di politici e governanti israeliani. Amato e odiato, ma mai e da nessuno ignorato. Di certo, le sue considerazioni sul neonato governo Netanyahu-Gantz sono andate per traverso ai due contraenti. “Dare credito dove è dovuto il credito. Anche prima che Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, insieme ai loro compari e alleati, avessero giurato alla Knesset – annota Shalev in un articolo su Haaretz – hanno raggiunto una delle missioni centrali del loro nuovo governo: hanno promesso l’unità e l’unità hanno fornito. L’opinione pubblica israeliana, infatti, non è mai stata così unanime nel condividere un tale senso collettivo di disgusto e repulsione. Sebbene i fan di Netanyahu siano senza dubbio soddisfatti del fatto che il loro leader abbia mantenuto il suo incarico, e mentre molti dei suoi avversari frustrati e scoraggiati si sono convinti che è il minore di tutti i mali, il pubblico considera in modo schiacciante il nuovo governo come un abominio. È una mutazione all’interno di una farsa avvolta nella parodia…”.
E ancora: “Il nuovo governo di Netanyahu non avrebbe potuto essere creato se non fosse per una rara confluenza di corruzione e vanità, senza legioni di politici pieni di ego ma totalmente privi di autocoscienza e senza un ambiente politico che consenta la contaminazione della democrazia, l’assalto al buon governo e la premeditata violazione dei resti di quella che era la luce guida di Israele – mamlachtiyut, la collocazione degli interessi dello stato sopra ogni altra cosa. L’establishment e il trucco del nuovo governo fanno eco alla scenetta cinquantenne di Monty Python ‘The Ministry of Silly Walks’, un precursore dei portafogli ridicolmente ridondanti inventati da Netanyahu e Gantz per i loro colleghi; la serie Purge in cui, in questo caso, gli unici sopravvissuti sono i cani da guardia sicofanici di Netanyahu; e, naturalmente, Padrino, Goodfellas, Scarface e altri del genere, dato che la costruzione mostruosa, come la maggior parte di tutto ciò che è accaduto nell’ultimo anno, è parte integrante di un’operazione di salvataggio volta a liberare il ”don” dai suoi problemi legali. Non si tratta solo dell’inflazione artificiale del governo, delle vuote trappole del potere o della volontaria ignoranza delle vere sfide del Paese, in un momento in cui oltre un milione di israeliani sono disoccupati e migliaia di piccole imprese stanno crollando. Per costruire il loro mostro frankensteiniano, Netanyahu e il suo nuovo groupie Gantz hanno minato le basi del governo facendo a pezzi i ministeri, strappando artificialmente divisioni e dipartimenti, generando innumerevoli e costosi uffici ministeriali, consulenti e autisti personali e istituendo una miriade di ministeri incaricati di nada, niente e gurnischt combinati – senza che nessuno si bloccasse e non potesse protestare. La metà del nuovo gabinetto è composta da politici alle prime armi di Kahol Lavan che, nonostante si vantino di integrità e trasparenza, hanno preso lussuriosamente metà dei portafogli del governo nonostante fornisse solo un quarto dei membri della nuova coalizione; e dai principali kowtower del Likud, scelti rigorosamente per il loro talento per i cerbiatti e per la loro disponibilità a servire come rottweiler di Netanyahu nel suo assalto allo stato di diritto. Non è un caso che quei Likudnik con un po’ di integrità e tracce persistenti di una spina dorsale morale siano stati umiliati, emarginati e gettati da parte. Mai i legislatori israeliani sono sembrati più distaccati dai loro elettori o ignari dei loro bisogni. L’esempio principale, con rare eccezioni, è stato cancellato dai loro libri di gioco. Le casse dello stato, per quanto riguarda i nuovi ministri, sono i loro piccoli soldi, destinati a soddisfare i loro bisogni, salvare il loro onore e soddisfare le vane aspirazioni”.
Sarà forse radical, provocatorio, ma Chemi Shalev non è un estremista, tanto meno un amico di Hamas. Le sue considerazioni danno conto, così come quelle di Yehoshua, di un passaggio cruciale nella storia d’Israele e del Medio Oriente. Una storia che non sembra avere un lieto fine.
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