La sua non è una esplicita dichiarazione di voto, ma il filo del suo ragionamento è alquanto indicativo: “Dal primo giorno del suo insediamento, il presidente Trump ha sostenuto e avallato la politica colonialista dei falchi israeliani. A un sostegno politico, i suoi più stretti consiglieri hanno aggiunto un di più ideologico, sposando la peggiore ideologia della destra radicale israeliana, quella del popolo eletto che ha una missione ‘divina’ da compiere. Il risultato è la distruzione della soluzione a ‘due Stati’ È difficile che il suo sfidante democratico possa fare di peggio”. A sostenerlo, in questa intervista esclusiva concessa a Reset, è una delle figure più rappresentative della dirigenza palestinese: Hanan Ashrawi.
È stata il volto e l’immagine internazionale della delegazione palestinese che avviò i negoziati di Oslo-Washington. La prima donna ad essere nominata portavoce della Lega Araba. Più volte ministra dell’Autorità nazionale palestinese, parlamentare, paladina dei diritti umani nei Territori palestinesi, tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, ricordiamo il Mahatma Gandhi International Award for Peace and Reconciliation e Sydney Peace Prize.
Il 3 novembre gli americani eleggeranno il nuovo inquilino della Casa Bianca. I palestinesi tifano Biden?
Non si tratta di “tifare” ma di ragionare. E di guardare ai quattro anni di presidenza Trump e alla sua azione politica in Palestina. Non si tratta di pregiudizi ideologici, nella storia vi sono stati presidenti repubblicani che hanno avuto una politica molto più equilibrati di alcuni presidenti democratici, ma di fare i conti con le scelte compiute. E nei quattro anni della sua presidenza, non c’è un atto dell’amministrazione Trump che non abbia favorito la destra israeliana. Dico la destra, perché Trump e i suoi consiglieri hanno sposato appieno non solo la politica ma l’ideologia della destra ultranazionalista israeliana. La destra che ha sempre perseguito il disegno della Grande Israele. E il cosiddetto “Piano del secolo” ne è il più evidente compendio.
E allora non resta che Biden…
Per formazione culturale e per esperienza politica, non sono una sostenitrice della logica del “male minore”. Ho avuto modo di conoscere personalmente Biden quando era vice presidente con il presidente Obama. So che conosce il dossier palestinese e che anche in campagna elettorale si è detto favorevole alla soluzione a due Stati. Certo, sono ancora parole. Ma anche le parole vanno pesate, soprattutto in politica estera. E quelle dello sfidante di Trump sono parole incoraggianti.
Resta il fatto che il presidente Trump può fregiarsi dei due storici accordi di pace fra Israele e gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein.
È abbastanza singolare definire “storici” accordi con due paesi che non sono mai entrati in guerra con Israele! Altra cosa è stata la pace fra Israele e l’Egitto a Camp David, quando presidente degli Stati Uniti era Jimmy Carter. Di solito la pace si fa con i nemici e non mi pare che i due paesi in questione abbiano dimostrato, soprattutto negli ultimi anni, una particolare ostilità verso Israele.
Ma gli emiratini sostengono che grazie a quell’accordo sono riusciti a bloccare il piano israeliano di annessione di parti della Cisgiordania.
Qui sconfiniamo nel ridicolo. Gli Emirati Arabi e il Bahrein vogliono fare la pace con Israele? Nessuno può impedirglielo. Ma ciò che non è loro consentito è giustificare questi accordi in nome e per conto dei palestinesi. Questo sì che è vergognoso. Chi ha dato loro la delega di parlare per i palestinesi? Nessuno. Io ho letto attentamente il testo di quegli accordi. Sulla questione palestinese è aria fritta. Non c’è una parola che una sullo status di Gerusalemme, non c’è un riferimento alle risoluzioni delle Nazioni Unite 242 e 338 fondate sul principio della “pace in cambio dei territori” che Israele ha occupato nel 1967. Quanto poi al blocco del piano di annessione, siamo alla propaganda più spicciola. Se Netanyahu si è fermato è perché deve fare i conti con una opinione pubblica interna inferocita per la sua conduzione fallimentare della “guerra” al coronavirus. Ma la cosa ancora più grave è non avere inteso quale fosse l’intenzione vera del primo ministro israeliano…
E quale sarebbe questa intenzione?
Sviare l’attenzione internazionale dal consolidamento del regime di apartheid in Cisgiordania. L’annessione di fatto è già compiuta. Ed è avvenuto con il sostegno totale dell’amministrazione Trump. La formalizzazione è un dettaglio. Penso alla cerimonia alla Casa Bianca: la teatralità, l’ottica accuratamente coreografata e le dichiarazioni vuote non possono coprire il fatto che ciò che l’amministrazione statunitense e Israele stanno facendo è manipolare le autentiche esigenze della pace per il bene di servire la candidatura alla rielezione di Trump e salvare il futuro politico e personale di Benjamin Netanyahu.
Cosa risponde a quanti, anche tra i critici di Netanyahu, sostengono che la dirigenza palestinese non riesce ad andare oltre ai reiterati “No”?
Lei non sa quante volte ho sentito ripetere questa affermazione! Ormai ho smesso di contarle. I palestinesi non perdono occasione per perdere l’occasione, e via declinando. Ma la verità storica è un’altra: con gli accordi di Oslo-Washington, Yasser Arafat non solo aveva riconosciuto l’esistenza e il diritto alla sicurezza d’Israele, ma aveva accettato di negoziare una pace fondata sul principio “due popoli, due Stati” sapendo che lo Stato palestinese sarebbe sorto su una parte della Cisgiordania storica. Se quel percorso si è interrotto è perché un estremista israeliano, non un kamikaze palestinese, ha assassinato Yitzhak Rabin. E se quegli accordi sono falliti è perché a guidare Israele, salvo brevi parentesi, è stato un politico come Netanyahu che aveva accusato Rabin di tradimento per aver firmato quegli accordi e stretto la mano di Arafat. Noi abbiamo sempre sostenuto che pace e colonizzazione fossero tra loro inconciliabili. Chi può darci torto? Basta prendere una cartina della Cisgiordania per rendersi conto che Israele ha operato per cancellare la soluzione a due Stati. Oggi in Cisgiordania vivono oltre 400mila coloni israeliani, i loro insediamenti sono diventati vere e proprie città. Su quale territorio di grazia dovrebbe sorgere uno Stato palestinese? Uno Stato è tale se ha una compattezza territoriale e una piena sovranità su tutto il territorio nazionale, se controlla i confini, le risorse idriche. Altrimenti è un bantustan spacciato per Stato! È questo che ci si chiede di accettare? Gli accordi spacciati per storici sono fondati sul principio “pace per pace” che è ben altra cosa di “pace in cambio dei territori”.
Quegli accordi seppelliscono l’Iniziativa di pace araba?
Assolutamente sì. Quell’Iniziativa è stata affossata dagli accordi siglati dal Bahrein e dagli Emirati Arabi Uniti. Quegli accordi hanno messo ai margini la Lega araba e vanificato la possibilità di una soluzione negoziale fondata sulla normalizzazione delle relazioni di tutti i paesi della Lega nell’ambito dell’edificazione di uno Stato di Palestina sui territori occupati nel ’67 e con Gerusalemme Est come capitale. Chi ha siglato quegli accordi lo ha messo nel conto. Negarlo è un’assurdità.
Ed ora cosa ne sarà della “causa palestinese”?
So bene quello che si pensa in Occidente, in Europa. I palestinesi dovevano negoziare il “Piano del secolo”, non dovevano rompere con gli Emirati Arabi e il Bahrein… La mia opinione è del tutto diversa, ma non è questo il cuore della mia risposta alla sua domanda. La “causa palestinese” esisterà comunque, perché esisterà il popolo palestinese. Perché il diritto di un popolo all’autodeterminazione non può essere soffocato all’infinito, perché non c’è muro che tenga alla “bomba demografica”. Noi siamo qui. Non abbiamo altra terra se non questa dove vivere e crescere i nostri figli. Resistere significa restare in vita, coltivare la nostra identità culturale, la nostra storia. Quello palestinese è un popolo orgoglioso delle proprie radici, che ha memoria di sé. Non si lascerà cancellare.
È un messaggio lanciato a Joe Biden? A neanche un mese dal 3 novembre, i sondaggi lo danno largamente in vantaggio su Trump…
Non siamo così sprovveduti da pensare che alla Casa Bianca possa mai insediarsi un presidente con la kefiah (il copricapo palestinese, ndr). Ci basta che a capo degli Stati Uniti d’America vi sia una persona che voglia davvero svolgere il ruolo di facilitatore di una pace giusta e duratura fra Israeliani e Palestinesi. Che sia arbitro imparziale e non un player di una delle due squadre in campo. Quello che è stato Donald Trump.
(Ha collaborato Osama Hamdan)