Biden-Bennett, intesa cercasi (sull’Iran) tra i due nuovi leader fragili

Non sarà come se lo era sognato. Perché gli eventi afghani tormentano il presidente americano più di quanto lui e i suoi consiglieri avevano previsto. Eppure, la prima volta di Naftali Bennett alla Casa Bianca, giovedì, è comunque una occasione a suo modo storica. A renderla tale è il “grande assente”, l’uomo che ha segnato per quindici anni la politica d’Israele: Benjamin Netanyahu. “Bibi l’americano” era diventato un habitué dello Studio Ovale. Del predecessore di Biden, Donald Trump, era fraterno amico oltre che sodale politico. Con Bennett si cambia musica. Non tanto perché il pensiero del primo Primo ministro dell’era post-Netanyahu si avvicini a quello del suo ospite americano. Bennett è un uomo di destra, ancora più a destra su certe questioni, vedi il rapporto con i coloni, dello stesso Netanyahu, il che è tutto dire.

Le sue convinzioni in tema di pace fanno irritare l’ala radical dei Democratici americani, quella che si riconosce in Bernie Sanders. Per essere chiari: al leader di Yamina (Destra) non passa per l’anticamera del cervello di abbracciare la soluzione a “due Stati”. Quando era al governo con il suo ripudiato mentore, Bennett ebbe parole di fuoco contro Netanyahu colpevole ai suoi occhi di negoziare una tregua con Hamas dopo l’ennesima guerra a Gaza. Tuttavia, un po’ perché non ha la personalità prorompente di “King Bibi” e un po’ perché deve tener conto di una variegata, per usare un eufemismo, maggioranza che sostiene il governo di cui è primo ministro “a staffetta” con il leader centrista e attuale ministro degli Esteri Yair Lapid, Bennett viene visto dai più stretti collaboratori di Biden come un interlocutore se non più malleabile di certo più propenso all’ascolto. Il che sarebbe già un passo in avanti rispetto al decennio passato.

Per coglierne la portata, è utile quanto scritto su Haaretz da Jonathan Lis: “L’incontro tra Bennett e Biden è un segnale importante per i leader mondiali che il nuovo primo ministro israeliano sta ricevendo un forte sostegno americano e un sostegno pari a quello che il suo predecessore ha ricevuto dalla Casa Bianca”, ha detto una fonte diplomatica. “C’è anche un messaggio importante per il pubblico israeliano sullo status di Bennett come primo Primo ministro nell’era post-Netanyahu”.

 

Teheran on my mind

La tempistica dell’incontro è scomoda per entrambe le parti: Biden è preoccupato per la crisi in Afghanistan, mentre Bennett sta lasciando Israele nel mezzo di un’altra ondata di coronavirus e delle crescenti tensioni a Gaza. La conversazione dei due leader affronterà una lunga lista di questioni, prima fra tutte la questione nucleare iraniana, la crisi economica dell’Autorità Palestinese, il conflitto con Hamas a Gaza e le conseguenze della condotta americana in Afghanistan per il futuro del Medio Oriente.

Una fonte diplomatica ha detto lunedì che il cuore della discussione tra i due sarà la questione nucleare iraniana, e ha condannato il modo in cui l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu l’ha gestita. “L’eredità che abbiamo ricevuto è molto difficile”, ha detto. “Non c’è alcun valore nel tornare all’accordo nucleare [del 2015]. L’Iran è ora al punto più avanzato del suo programma nucleare, almeno in termini di arricchimento [dell’uranio]. Il tasso di arricchimento dal 2018 è vertiginoso e preoccupante”. La fonte ha detto che Bennett avrebbe presentato a Biden una “strategia ordinata” per far fronte alla minaccia posta da Teheran. “Per noi la cosa più importante è la [questione] nucleare, ma anche l’aggressione regionale [dell’Iran] in Libano, Siria, Iraq, Yemen e Gaza, via mare, aria e terra”, ha detto.

La fonte ha aggiunto che anche se fino a poco tempo fa sembrava che gli Stati Uniti volessero tornare all’accordo nucleare, “da allora è passato del tempo, il presidente iraniano è cambiato e le cose sembrano meno chiare”. Ha detto che l’elezione di Ebrahim Raisi “segnala una direzione molto particolare”, e che il regime iraniano “è al suo punto più estremo dal 1979 [anno della rivoluzione islamica]”. La fonte ha aggiunto che anche se la tempistica della visita è stata un problema, gli Stati Uniti la considerano molto importante. Il suo scopo, ha detto, “era quello di riflettere il nuovo messaggio proveniente da Israele, di una connessione transfrontaliera con entrambe le parti della politica americana, attraverso il dialogo, l’ascolto e la mancanza di dogmatismo.” Ha aggiunto: “Negli ultimi mesi le due amministrazioni hanno costruito legami intimi e molto attenti, basati sulla comprensione reciproca delle sfide e delle priorità”.

Le anticipazioni del giornale progressista di Tel Aviv inquadrano bene il contesto dell’incontro. In continuità con il suo predecessore, Bennett insisterà molto sul pericolo iraniano. È lui stesso ad anticiparlo: Israele presenterà al presidente americano Biden un “piano ordinato formulato nei due mesi passati per frenare gli iraniani” nel nucleare e nella regione, dichiara il premier in partenza per Washington.

“Abbiamo ereditato una situazione non semplice: l’Iran si sta comportando in modo prepotente e aggressivo in tutta la regione. Dirò a Biden – ha aggiunto Bennett – che è tempo di fermare gli iraniani, di non dargli un’ancora di salvezza per rientrare in un accordo nucleare scaduto: non è più rilevante, anche per gli standard di quelli che una volta pensavano lo fosse”.

“L’Iran – ha poi proseguito il premier israeliano – sta avanzando rapidamente con l’arricchimento dell’uranio ed ha già significativamente ridotto il tempo necessario per accumulare materiale necessario per una singola bomba nucleare”. Bennett ha spiegato che la delegazione israeliana per Washington “sarà in formato ridotto a causa del coronavirus che è in crescita anche negli Usa. Ma l’occasione della visita è molto importante perché siamo ad un punto critico riguardo l’Iran”.

 

L’elefante nella stanza

Nessun accenno alla questione palestinese, tanto meno a come far ripartire un negoziato di pace finito da tempo su un binario morto. Ma di negoziato e di Palestina Biden sarà “costretto” a parlare, per non subire attacchi interni dall’ala “filo palestinese” dei Democratici. Nei mesi scorsi, i senatori Bernie Sanders, Elizabeth Warren, Chris Van Hollen e Chris Murphy hanno chiesto a Israele di fermare le azioni per cacciare i residenti palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est, sulla base delle rivendicazioni dei coloni ebrei, mentre i deputati alla Camera Alexandria Ocasio-Cortez, Gregory Meeks, Andy Levin, Pramila Jayapal e Ayanna Pressley hanno anche espresso il loro sgomento.

“La rimozione forzata dei residenti palestinesi di lunga data a Sheikh Jarrah è ripugnante e inaccettabile”, ha twittato Warren, dicendo che l’amministrazione deve chiarire a Israele che questi sfratti sono illegali. “Gli Stati Uniti devono parlare con forza contro la violenza degli estremisti israeliani alleati del governo a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, e chiarire che gli sfratti delle famiglie palestinesi non devono andare avanti”, le ha fatto eco Sanders. Mentre Ocasio-Cortez ha definito la situazione a Sheikh Jarrah “disumana” e ha chiesto che gli Stati Uniti mostrino una capacità e una volontà di leadership nella salvaguardia dei diritti umani. Un discorso che investe anche la Palestina. Questo Biden lo sa bene. E non potrà non farlo presente al suo interlocutore israeliano.

D’altro canto, Biden non vuol restare imprigionato nel “pantano” mediorientale. Biden ha altre priorità, anzitutto interne, e sul piano geostrategico è convinto, non discostandosi in questo dai suoi predecessori – Democratici e Repubblicani – che il futuro si gioca nel Sud Est asiatico e nel Pacifico. Con Israele non forzerà la mano ma non firmerà alcun assegno politico in bianco. Amico, sì, ma non stile Trump. E dovrà concedere qualcosa ai palestinesi, non solo l’apertura di un consolato ad hoc a Gerusalemme Est.

 

Foto: Menahem Kahana / AFP

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