Yassin al-Haj Saleh, classe 1961, è uno dei principali intellettuali siriani e un dissidente storico dal regime di Assad. Per “motivi politici”, ha trascorso sedici anni in carcere, alcuni dei quali nel penitenziario di massima sicurezza di Tadmur, cioè Palmira. Con l’inizio della Primavera siriana, si è subito schierato come oppositore del regime. Nel 2013 sua moglie Samira Khalil, attivista per i diritti umani con Rezan Zaitune, è stata sequestrata a Douma da gruppi islamisti, dopo essere fuggita da Damasco, dove era ricercata dal regime. Da quel momento, al-Haj Saleh è entrato in clandestinità. Dopo 21 mesi, ricercato dal regime e dagli islamisti, è riuscito a fuggire in Turchia e, successivamente, in Germania dove è ospitato dal prestigioso Wissenschaftskolleg di Berlino.
Non ha mai smesso di cercare sua moglie attraverso i suoi contatti e le sue Lettera a Samira sono uno dei capolavori della letteratura siriana contemporanea. Di valore internazionale è anche il suo saggio “Libertà”, pubblicato in italiano da Terra Somnia (2021). Al momento, al-Haj Saleh è a Parigi per consegnare il premio istituito in memoria di Samira e degli altri attivisti sequestrati. Durante la cerimonia, ha dichiarato che lui e gli altri siriani aspettano ancora il ritorno dei loro cari o, almeno, la verità sul loro destino. In caso contrario, chiede che siano svelati i nomi di chi li ha uccisi. Se Khalil non fosse viva, ha annunciato che la premiazione in futuro avrà luogo a Damasco, dove intende tornare in qualche forma.
Oltre alla sua lotta personale, è una voce da ascoltare sulla situazione siriana e con lui si è deciso di partire dalle minoranze siriane, pensando in particolare a quelle più rilevanti e più considerate oggi in pericolo: curdi, alauiti e cristiani.
Il complesso mosaico siriano è composto da minoranze etniche, come i curdi, circa il 10 per cento della popolazione, settarie, cioè di diverse denominazioni islamiche come gli alauiti, 12 per cento, i cristiani, che sono oggi ridotti al 3-5 per cento. “Certo che c’è paura per le tensioni etniche, religiose e settarie che andrebbero affrontate con onestà e risolte sulla base di una visione basata sulla pari cittadinanza e uguali diritti per tutti. Ma permettetemi di esprimere un certo scetticismo sulla dominante preoccupazione occidentale per il destino delle minoranze. Non abbiamo sentito queste voci quando la maggioranza arabo-sunnita, il 70 per cento della popolazione, veniva massacrata, perseguitata, torturata”.
Ricorda le azioni genocidarie del regime di Assad, definendolo un “regime settario, minoritario” che ha preso di mira quasi esclusivamente la maggioranza sunnita per 54 anni, dal golpe di Hafez al-Assad fino a oggi. Per questo, al-Haj Saleh ritiene dubbia l’onestà, l’eticità di chi pone soltanto la questione dei diritti delle minoranze in Siria, nella certezza che da cittadino lui crede nei diritti di tutti e per tutti, di ogni etnia, di ogni religione, anche di quelli senza religione, come lui. “Io sono ateo, ho il mio background, ma non sono un credente. Chiunque sia onesto in Occidente dovrebbe aiutarci, dovrebbe sostenerci nella ricerca di uguaglianza. Non pensateci sempre come cristiani, musulmani, o appartenenti a questa o quella setta. Per favore, per una volta pensate ai siriani come un popolo, una nazione”. Prosegue: “Vi prego, pensate a cosa serve alla Siria e non all’Occidente, che prospera e sta bene. La Siria è instabile, insicura e povera. Il mio appello è di pensare alla Siria, ai siriani tutti”.
Le notizie incalzano, soprattutto sul delicatissimo fronte curdo, dove si spera in un cessate il fuoco e in un accordo che fermi anche l’avanzata turca. Il tema però è ancor più delicato, basta ricordare che ai tempi di Assad padre, in nome dell’arabismo, ai curdi furono negati il passaporto e l’uso della loro lingua. Ma in quelle terre non vivono solo curdi, e la vera sfida, come sostiene Yassin al-Haj Saleh, è avviare un processo che garantisca pari diritti per tutti.
Rasserena invece la decisione di Teheran di riportare in patria i “coloni iraniani” che erano stati introdotti in Siria. Ma il quadro generale rimane estremamente fluido, con un’attualità che evolve troppo velocemente per consentire una lettura chiara: tra ideologie, rabbie profonde, paure e speranze, la situazione siriana resta mutevole e difficile da decifrare. In questo contesto, l’intervista torna a uno dei temi più inquietanti e disumanizzanti: gli orrori emersi dai penitenziari di massima sicurezza del regime, luoghi dove gli oppositori venivano frantumati nelle presse e sciolti nell’acido. Yassin al-Haj Saleh, ex prigioniero politico, riflette sull’impatto di queste atrocità sui siriani e sul ruolo dell’Europa. “No, non direi che gli europei non abbiano capito, direi piuttosto che non hanno voluto capire. Gli europei hanno mostrato apatia per 14 anni verso di noi”, scandisce. “Forse ora inorridiscono, ma noi ne abbiamo parlato sempre, anche prima dell’insurrezione. Ma loro volevano qualcuno su cui fare affidamento”, prosegue, “l’Europa è islamofobica e arabofobica: questa mentalità colonialista persiste. A loro non interessiamo davvero, e non li avrebbe preoccupati se Bashar al-Assad fosse rimasto al potere. Infatti erano pronti a normalizzare i rapporti con il regime”. “Non hanno mai condannato i bombardamenti iraniani, quelli russi, o i massacri di civili – scandisce – vorrei sentirli ammettere che c’è stata apatia nei confronti dei siriani, che non ci hanno ascoltato per decenni. Credo che l’Europa e l’Occidente non ci rispettino, e questo è inaccettabile: come esseri umani, non possiamo accettarlo”.
Mentre parla, le notizie incalzano. Governare l’ovvia sete di vendetta non sarà facile, e limitarsi a perseguire i carnefici – come annunciato dalle nuove autorità pubbliche – richiederà determinazione in un momento emotivamente così forte. A questo si aggiunge lo smarrimento degli ex sostenitori di Assad, che lo hanno visto fuggire senza lasciare neanche un messaggio registrato alla nazione, solo silenzio e un’attenzione rivolta esclusivamente ai suoi cari.
Così, dagli orrori del passato, il discorso si sposta inevitabilmente sul futuro e sul nuovo governo in formazione. La preoccupazione è forte, diffusa: sono tutti jihadisti, terroristi? “Ci sono i jihadisti, certamente, come ci sono persone religiosamente conservatrici. Ma, soprattutto molti di loro sono siriani sfollati, che hanno vissuto per anni nei campi profughi e ora sono tornati a liberare le loro terre. Tra quelli che erano jihadisti, si sono visti cambiamenti significativi negli ultimi tempi. È naturale essere scettici – io stesso lo sono – sulla profondità di questi cambiamenti, sul fatto che oggi possano davvero essere moderati. Ma penso che ci serva uno scetticismo sano, piuttosto che un insano e apatico scetticismo”. Aggiunge che categorizzare tutti nello stesso modo sarebbe un grave errore: “È sempre sbagliato”. “Io non so cosa accadrà in futuro, ma la Siria è fatta da milioni di persone e gli islamisti di ogni tipo, tutti insieme, al massimo rappresentano un terzo della popolazione. E sarà difficile finché, in Occidente, continueranno a essere considerati come la rappresentazione di tutta la Siria”. “Desta amarezza il silenzio europeo sull’occupazione israeliana di territori siriani – la fascia smilitarizzata al confine con il Golan – con annessi bombardamenti”.
Il federalismo come prospettiva per il futuro? “È vero che abbiamo bisogno di più autonomia, di autonomia territoriale, per ragioni economiche e per una migliore rappresentatività della popolazione. Tuttavia, mi chiedo se chi parla di federalismo conosca abbastanza la demografia e la geografia siriana. Sarebbe utile iniziare mettendo sul tavolo una mappa della Siria per comprendere meglio la situazione. I siriani, tutti, vogliono una Siria unita, con aree autonome, accompagnate magari da quella che molti chiamano ‘discriminazione positiva’ per le zone da sviluppare, come la Jezira. Oggi, il 90 per cento dei siriani vive sotto la soglia di povertà. Circa 7 milioni hanno passato anni nei campi profughi; molti stanno tornando dalla Turchia e dal Libano, e presto, immagino, potrebbero tornare anche dalla Giordania. Abbiamo bisogno di autonomia, sì, ma di un’autonomia reale, basata su criteri geografici e non etnici. Ho i miei dubbi che questa soluzione possa funzionare in Siria, ma non dovrebbero esserci tabù: tutto deve essere discusso”.
Immagine di copertina: lo scrittore e dissidente politico siriano Yassin al-Haj Saleh a Madrid, il 17 aprile 2018. (Foto di Javier Soriano / AFP)