Il 10 aprile c’è stato il decennale della tragedia all’aeroporto di Smolensk, in Russia, in cui persero la vita il presidente polacco Lech Kaczyński, la moglie e circa 90 esponenti della classe dirigente del paese, con lui in viaggio. Da Smolensk avrebbero dovuto recarsi nella vicina Katyn per commemorare, nel settantesimo anniversario, gli oltre 20mila polacchi giustiziati dai sovietici nel 1940. Erano stati fatti prigionieri l’anno prima, quando Mosca aveva spartito la Polonia con la Germania nazista.
L’aereo presidenziale, planando a Smolensk, colpì un albero e si schiantò. Nessun sopravvissuto. Due anni fa, in Piazza Piłsudski, nel cuore di Varsavia, è stato inaugurato un memoriale per le vittime del disastro. Ai suoi piedi, nel giorno del decimo anniversario, Jarosław Kaczyński, gemello del defunto presidente, ha deposto una corona di fiori.
Kaczyński è il leader di Diritto e Giustizia (PiS), il partito populista al potere dal 2015, e per molti è anche il vero padrone del Paese, benché sia solo un deputato. Con lui, il giorno del decennale, c’erano diversi dignitari del PiS. Né mascherina, né guanti, né distanza di sicurezza sociale: questo restituiscono le foto dell’evento. Un brutto segnale nei confronti dei cittadini, ha scritto in un editoriale Michał Szułdrzyński, vice direttore del quotidiano Rzeczpospolita. In un momento come questo, in cui a causa della pandemia viene chiesto alla popolazione di osservare molti divieti, tra cui visitare i propri cari al cimitero, Jarosław Kaczyński nel compiere un omaggio sia pure legittimo si pone al di sopra delle regole. Lo stato di diritto, ha sostenuto Szułdrzyński, “funziona solo se i governanti danno ai cittadini l’esempio, rispettando la legge”.
Rzeczpospolita è una testata conservatrice che aveva salutato tutto sommato positivamente la vittoria elettorale del PiS nell’ottobre 2015, ma ha sempre mantenuto un piglio critico. Si è intensificato nel corso del tempo, all’aumentare degli abusi di forza della maggioranza. In questi cinque anni si è messo in moto un processo di “presa dello stato” analogo per certi aspetti a quello attuato da Viktor Orbán in Ungheria. Non a caso uno dei motti elettorali del PiS nel 2015 era “portare Budapest a Varsavia”. La maggioranza ha occupato le aziende pubbliche, la radio-tv di stato e gli organi della giustizia andando oltre i limiti di un fisiologico spoil-system.
C’era una volta lo stato di diritto
Le forzature maggiori sono quelle sulla magistratura. Con nuove leggi sono stati modificati composizione e funzionamento del Tribunale costituzionale, del Consiglio nazionale giudiziario (l’organo di autogoverno delle toghe) e della Suprema corte, l’unico organo che sta vagamente resistendo a questo assedio. Chiaro lo svuotamento di indipendenza della giustizia, secondo la Commissione europea. C’è una procedura d’infrazione aperta, e qualche giorno fa la Corte di giustizia dell’Ue, con una sentenza, ha ordinato a Varsavia di fare un passo indietro su uno dei tanti aspetti controversi della questione giustizia e dello squilibrio creatosi nelle relazioni tra poteri.
Salvo qualche smarcamento, sulla giustizia e non solo il presidente della repubblica Andrzej Duda ha assecondato la linea del governo di Mateusz Morawiecki, che per molti resta sotto la tutela di Kaczyński. Il capo dello stato, 48 anni, cresciuto nelle file del PiS, si gioca la rielezione il 10 maggio. I sondaggi indicano che è il favorito.
In una fase delicatissima e inedita, con un virus insidioso che si diffonde facilmente (quasi 7mila contagiati e più di 200 morti in Polonia) tenere un’elezione è un rischio enorme. Eppure il PiS non pensa di rimandarla. Si dovrebbe votare ugualmente, ma in modo diverso da quello classico: per posta. Una legge che emenda il codice elettorale sta facendo la spola tra Sejm e Senato, la camera bassa e quella alta del Parlamento.
Nel sistema politico polacco la figura presidenziale è importante, perché con un veto può bloccare una legge. Per superarlo servono i tre quinti dei voti al Sejm: una maggioranza che il PiS non ha. Duda è favorito, ma se la tornata fosse rimandata di qualche mese le cose, forse, potrebbero cambiare. Se l’impatto economico del coronavirus si rivelasse più duro del previsto, minando il welfare massiccio messo in campo in questi anni dal PiS, strumento fondamentale del consenso, i candidati dell’opposizione potrebbero avere chance. Con un presidente non organico, per esempio la moderata Małgorzata Kidawa-Błońska, l’agenda illiberale del PiS perderebbe slancio. Il veto presidenziale non sarebbe aggirabile. Sono questi gli scenari, più o meno verosimili, che potrebbero ispirare il ragionamento di Kaczyński, un uomo che a detta di molti vive di potere per il potere.
Non c’è ancora una legge sul voto per corrispondenza, ma ciò nonostante le Poste stanno programmando il voto. E lo fanno con un nuovo direttore, l’ex vice ministro della difesa Tomasz Zdzikot, esponente PiS. Il precedente numero uno dell’azienda, Przemysław Sypniewski, scettico sulla possibilità di organizzare le elezioni in così breve tempo, si è dimesso. Perplessità su questo voto a ogni costo le ha espresse anche la Commissione elettorale centrale. Alcuni giuristi ritengono invece che emendare il codice elettorale a un mese dal voto sia incostituzionale, mentre le opposizioni liberale e di sinistra denunciano l’assurdità di questa elezione, che si svolgerà senza una classica campagna elettorale.
L’alternativa al voto per corrispondenza potrebbe essere una riforma costituzionale per estendere da cinque a sette anni il mandato presidenziale. La maggioranza ha messo nell’agenda dei lavori parlamentari anche questo provvedimento, ma per tempi e costruzione del consenso (per riformare la costituzione servono i voti dell’opposizione) la prospettiva sembra al momento poco realistica.
Follow the money
Il premier Mateusz Morawiecki, nel frattempo, ha messo a punto un ponderoso pacchetto di aiuti per l’economia che potrebbe valere il 15% del Pil, mentre la Banca centrale ha tagliato i tassi per dare ossigeno all’economia. All’orizzonte si palesa poi il timore che i fondi strutturali europei, leva vitale per l’economia polacca, possano ridursi. A Bruxelles si parla infatti di rimodulare il bilancio 2021-2027 per andare incontro ai Paesi più colpiti dalla pandemia. Varsavia è la prima beneficiaria di fondi (90 i miliardi ricevuti nel 2014-2020) e darà battaglia per conservare una fetta importante, anche perché sono il solo scudo Ue sul quale possa contare. La Polonia non è nell’Eurozona: niente bazooka Bce, né eurobond dunque.
Non sarà facile conservare la quota di fondi, ed è possibile che la loro assegnazione terrà conto anche della qualità della democrazia. L’Europa Centrale, già sotto osservazione, in queste settimane ha fatto ancora parlare di sé. In Ungheria ci sono i pieni poteri di Orbán, il cui effetto – va detto – è ancora tutto da valutare. In Polonia ecco invece la corsa senza freni verso un voto presidenziale che appare motivato da una logica abbastanza evidente: potere per il potere. A questo si aggiunge la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Ue.
I grandi d’Europa puniranno Varsavia (e Budapest)? Difficile dirlo, e incerto, oltre al se, è anche il quando. I negoziati sul bilancio si terranno non prima dell’autunno, sembra. Kaczyński può forzare il voto per corrispondenza, blindare Duda ma perdere fondi. Oppure può fermare tutto, rimandando il voto per avere più chance al tavolo europeo. Ma in questo caso perderebbe credibilità con la base, e non è detto che la battaglia per i fondi sia così cruciale per l’economia polacca. Potrebbe flettersi comunque, o magari risollevarsi con le proprie risorse. La partita è davvero piena di incognite.
Foto: Wojtek RADWANSKI / AFP