Da Reset-Dialogues on Civilizations
Il 26 ottobre i cittadini ucraini sono tornati alle urne per le elezioni parlamentari. Dopo le presidenziali del 25 maggio che hanno decretato la vittoria di Poroshenko, questo è l’ultimo atto di una fase di cambiamento politico che esattamente un anno fa si apriva con il Maidan, e la mobilitazione che avrebbe sancito la fine di Yanukovich. Il tassello che mancava a questo percorso di rinnovamento, per un paese segnato anche dalla guerra nell’Est degli ultimi sei mesi, era proprio la scelta di nuovi deputati, dato che nella Rada continuavano a sedere quelli della vecchia guardia, eletti nel 2012.
I partiti e i risultati
Questo voto ha ridimensionato i sondaggi che davano per scontata la vittoria del Blocco di Poroshenko (Block Petra Poroshenka) con uno stacco netto dagli altri partiti, e percentuali di preferenze attorno al 30%. Lo scrutinio ha invece rivelato un testa a testa serrato fra la formazione del presidente e quella del primo ministro Arseny Yatseniuk, il Fronte Popolare (Narodny Front), che hanno oscillato fra il 21 e il 22% fino alla fine, con un minimo vantaggio conquistato poi dal premier (22,49% contro 22,26%). E naturalmente differenti concentrazioni di preferenze a seconda delle aree del paese, con un maggior numero di voti per il Blocco di Poroshenko ad esempio nella sua regione di provenienza, l’Oblast di Vynnitsya, ed uno stacco più netto a favore di Yatseniuk nella sua regione natale, la Bucovina.
La vera novità di questa competizione elettorale però è stato il neonato partito Samopomich Union (Autoaiuto), guidato dal sindaco di Lviv, Andriy Sadovy, nazionalista moderato, sorto dalla sua esperienza politica di rinnovamento a livello locale, in un’area del paese, l’Occidente, che ha registrato il più alto tasso di affluenza alle urne, con punte del 70%. A spoglio in corso sembrava potesse diventare la terza forza del paese, ma poi si è assestato al 6,93% di preferenze, che comunque gli consentono di entrare in Parlamento.
Terzo con il 9,4% si colloca invece il Partito Radicale di Oleg Liashko, seguito dal Blocco di Opposizione (Opozytsiynyy blok), che raccoglie le forze politiche vicine all’ex governo Yanukovich, e che si ferma ad un 8,25%. Con il 7,61% torna in Parlamento anche Union Batkivshchyna della Tymoshenko, ma con numeri ben diversi dal 2012, quando aveva raggiunto il 21%. (Tutti i dati del voto)
Secondo l’Osce si è trattato di un voto per la gran parte regolare e conforme alle norme democratiche, come ha ribadito il coordinatore della missione elettorale Kent Harstedt: “il voto – ha dichiarato – è stato un momento decisivo per il futuro del paese, per gli organi del potere e per le elezioni. Ed è stato giudicato positivamente nel 99% dei seggi monitorati, anche se si sono osservate alcune irregolarità procedurali”.
Affluenza e crisi
L’affluenza non è stata certo alta (52,42%), ma bisogna considerare che ad abbassare la media ha contribuito la situazione del Donbass, visto che a Donetsk e Luhansk si è votato in 15 seggi su 32, e della Crimea, dove non si è votato affatto. Nelle zone dell’Est dove il controllo è stato ripreso dalle forze ucraine sono andati alle urne il 32% degli aventi diritto, mentre al sud, nella regione di Odessa, il 40%. Tenendo conto dell’attuale situazione di crisi, e del dato sull’affluenza del 2012, il 57%, quando aveva votato tutto il paese, i numeri di oggi non possono essere letti come un “crollo” di partecipazione. Oltretutto proprio nelle autoproclamate repubbliche i separatisti stanno preparando un altro appuntamento di voto per eleggere i propri rappresentanti il prossimo 2 novembre, con il riconoscimento già esplicitato dal Ministro degli Esteri russo Lavrov, a margine dei commenti sulle parlamentari ucraine.
Poroshenko vince o perde? Cambiamenti in atto ed estremismi ai margini
A guardare complessivamente il risultato, i primi due partiti, del premier e del presidente, sono arrivati quasi alle stesse percentuali, dato che conferma sostanzialmente la linea seguita finora dal paese: moderazione e trattativa per porre fine al conflitto nell’est, per il ripristino di una situazione di pace, senza dimenticare il diritto all’autodifesa dei propri confini (e dunque l’intervento militare e la missione ATO, Anti Terrorist Operation); e allo stesso tempo la messa a margine dei partiti estremisti, che non superano lo sbarramento del 5%, a cominciare dal famigerato Pravj Sector che si ferma a 1,8%, suggerisce una lettura più attenta del concetto di nazionalismo, inteso dalla maggioranza dei votanti come necessità di preservare l’unità territoriale e politica di un paese sotto attacco. Anche i conservatori di Svoboda, che inizialmente sembravano avere i numeri per conquistare comunque una presenza fra i 450 seggi, alla fine si sono fermati al 4,5%. Per la prima volta, a 23 anni dall’indipendenza, resta fuori dalla Rada anche il Partito Comunista.
Tutti gli interrogativi su eventuali alleanze di Poroshenko dopo il voto si sono sciolti perché la formazione della nuova coalizione vedrà impegnate le due forze principali in campo, e probabilmente includerà anche Samopomich; i colloqui intanto sono cominciati già all’indomani del voto, in attesa dell’ufficializzazione dei dati attesa il prossimo 10 novembre.
Il cambiamento dunque c’è, in questa espressione della democrazia ucraina. Ne è un segnale anche la percentuale espressa a favore della Patria di Tymoshenko, che dovrà accontentarsi di fare opposizione con numeri ristretti.
E così anche la rappresentanza della vecchia guardia, che ci sarà, ma ai minimi storici. La nuova Rada avrà ora la possibilità di procedere con le riforme, tenendo conto del conflitto in corso e dei rapporti con l’Europa. Proprio la cacciata di Yanukovich, considerato braccio destro del Cremlino, l’invasione russa della Crimea e poi la guerra nel Donbass hanno segnato per l’Ucraina un’ondata di patriottismo che prima dell’ultimo anno sarebbe stato forse impensabile, e che si è tradotto con questo voto in una presa di distanza dagli schemi politici del passato.
In ogni caso il Presidente ha dichiarato che considera il Fronte come alleato naturale per formare la coalizione di governo, e per porre le basi di quelle riforme che portino, entro il 2019, a formulare la domanda di ingresso nell’Unione Europea.
Se si considera che proprio il Blocco di Opposizione, appena un anno fa, faceva parte della coalizione di governo insieme al Partito Comunista e a quello delle Regioni, e l’ex presidente aveva vinto sulla base di uno stretto sodalizio con la Russia nel 2010, la trasformazione non è marginale. E anche la campagna putiniana circa la deriva estremista ucraina da arginare diventa più complicata da sostenere: il tema della russofobia dei leader potrebbe non reggere più, con gli estremisti fuori dai giochi, e nel frattempo per Mosca diventa ancora più complicato stringere alleanze con Kyev.
Ma come scrive il Financial Times, la nuova coalizione di governo avrà il suo bel da fare nell’Est, dove comunque il Blocco di Opposizione resta il primo partito. A Donetsk ha preso il 38,85% e a Luhansk il 36,59%. E il primo banco di prova sarà il voto del 2 novembre, che rimette in discussione quanto deciso a Minsk.