Turchia: elezioni cruciali per il cambiamento

Le elezioni in Turchia del 24 giugno, annunciate a sorpresa solo due mesi fa con la decisione di anticiparle di un anno e mezzo, promettono di essere quanto mai avvincenti. Lo sono già in genere tutti gli appuntamenti elettorali in Turchia dove regolarmente si misurano, da quindici anni a questa parte, la forza del partito AKP e del suo leader, oggi presidente della repubblica, Recep Tayyip Erdoğan, e le strategie dei partiti di opposizione per contrastarla. Ogni voto serve, nonostante tutto, a testare di fatto la tenuta democratica del paese.

Queste elezioni, come il referendum costituzionale dello scorso anno, si svolgono nello stato di emergenza decretato dopo il tentato golpe del 16 luglio 2016, in condizioni estremamente critiche per la libertà di espressione, come ha denunciato l’Associazione dei giornalisti turca e diverse organizzazioni internazionali. Durante la campagna elettorale non si sono fermati gli arresti né tantomeno i processi. Solo due giorni fa si è tenuta una nuova udienza per il presidente della sezione turca di Amnesty International, l’avvocato Taner Kiliç, noto difensore dei diritti umani, in custodia cautelare da un anno con l’accusa di affiliazione all’organizzazione Fetö e destinato a rimanere in carcere almeno fino alla prossima data, in novembre. Continuano anche i processi agli accademici colpevoli di aver firmato una petizione per la pace, due anni fa, in cui prendevano posizione contro l’intervento militare nella regione a maggioranza curda e accusati per questo di fiancheggiamento a organizzazione terroristica. Molti si trovano all’estero dove nel frattempo si è già votato nelle settimane scorse.

Queste consultazioni, a cui sono chiamati oltre 59 milioni di persone (la metà con meno di trent’anni) sono particolari e importanti. Intanto, per la prima volta dopo la riforma costituzionale si vota contemporaneamente per il presidente della repubblica e per il parlamento: viene infatti applicata la nuova elegge elettorale con la quale entra in vigore il regime presidenziale, fortemente voluto da Erdoğan. Secondo il sistema elettorale il presidente della repubblica, con una maggioranza forte in parlamento, potrebbe acquisire enormi poteri: di fatto la situazione che ora è governata con lo stato di emergenza potrebbe essere legittimata in un’ordinarietà che si prospetta inquietante per il rispetto dei diritti umani.

La popolazione turca, tuttavia, dimostra di essere stanca delle condizioni in cui vive il paese. La crisi economica, che ora ai suoi inizi si annuncia già molto pesante, aggrava il clima di pesantezza e di sconforto che si è instaurato dopo il tentato golpe. Durante questa campagna elettorale, in cui il dibattito pubblico nonostante il controllo dell’informazione è stato acceso e vivace, la decisa volontà di cambiamento ha generato negli ambienti dell’opposizione un’atmosfera di speranza e di fiducia.

L’anticipazione del voto non ha messo in difficoltà l’opposizione che invece ha dimostrato di saper usare la legge elettorale, che sembrava pensata per confermare un consolidamento di poteri,per elaborare nuove strategie. Altra importante novità introdotta è stata infatti la possibilità di formare delle alleanze tra partiti: un modo questo di aggirare lo sbarramento elettorale del 10% che finora ha rappresentato un grande ostacolo all’ingresso in parlamento per i partiti minori. Per ottenere seggi sarà infatti sufficiente che l’alleanza di cui fa parte un partito superi tale soglia. Due sono i blocchi che si presentano a questa tornata elettorale: l’Alleanza del popolo (Cumhur İttifakı) formata dall’AKP, dal partito del Movimento nazionalista (MHP) e il partito della Grande unità (BPP) e sul fronte opposto l’Alleanza Nazionale (Millet İttifakı) composto dal principale partito all’opposizione, il partito repubblicano del popolo (CHP), la nuova formazione ultranazionalista IYI, e altri due partiti minori, il Partito della Felicità (Saadet Partisi) e il Partito democratico (DP). Se l’alleanza tra il partito di Erdoğan e gli ultranazionalisti del Mhp non sorprende più perché si è consolidata subito dopo il tentato golpe e in particolare in occasione della riforma costituzionale, per la quale l’appoggio del Mhp all’Akp è stato determinante, l’alleanza dell’opposizione rappresenta un fattore interessante che ha movimentato uno scenario elettorale che altrimenti sarebbe potuto apparire molto più statico. Le quattro formazioni, diverse tra loro, hanno deciso di fare fronte unito per mettere in crisi il potere di Erdoğan e strappare seggi all’Akp in modo che non possa ottenere la maggioranza necessaria alla piena implementazione del regime presidenziale. Il Chp da sempre principale partito d’opposizione con una percentuale che da anni si attesta attorno al 25% ha dovuto fare i conti con la sua incapacità di rinnovarsi, di adeguare la tradizione kemalista alle istanze più liberali dell’elettorato della sinistra progressista, restio a sostenere una formazione che rappresenta la vecchia guardia di governo e l’autoritarismo militare. Dopo il successo della marcia per la giustizia, una manifestazione pacifica che ha attraversato il paese, il partito ha provato a cercare nuovi consensi e alla vigilia delle elezioni ha deciso di tendere una mano concreta perché il nuovo partito ultranazionalista, l’Iyi Parti di Meral Akşener, fondato da fuoriusciti del Mhp, potesse partecipare alle elezioni.

Di fatto l’alleanza che si è andata costituendo rappresenta un gruppo eterogeneo che ha però in comune i tratti di un marcato nazionalismo. L’opposizione, quindi, come l’alleanza di governo sembra puntare ai sentimenti dell’orgoglio nazionale e del patriottismo che nei tempi più recenti, in particolare dopo il fallito golpe e con le operazioni militari in Siria, sono stati risvegliati nella popolazione. Il carattere fortemente nazionalista della coalizione non ha permesso tra l’altro che potesse aderire il Partito Democratico dei Popoli (HDP) la cui base principale è costituita dalla popolazione curda. L’Hdp rappresentò la vera novità politica delle ultime elezioni politiche del 2015 quando per la prima volta un partito filocurdo, grazie al coinvolgimento della sinistra liberale, riuscì a superare la soglia elettorale. Con l’Hdp entrarono nella Grande Assemblea esponenti delle minoranze e dei movimenti di sinistra, sedette quindi la rappresentanza di un elettorato di sinistra, restio a sostenere il partito kemalista, fino ad allora rimasto ai margini della vita parlamentare. L’Hdp che ha dovuto rinnovare la sua leadership a causa dell’arresto di uno dei suoi leader, Selahattin Demirtaş, ora candidato alle presidenziali, punta nuovamente a superare lo sbarramento e, per quanto le previsioni non lo escludano, nell’attuale contesto non è del tutto scontato e gli esiti potrebbero essere determinanti per la redistribuzione dei seggi.

L’Alleanza nazionale con le sue diverse anime – laica kemalista, ultra nazionalista, islamista conservatrice – sembra rivolgersi a un elettorato variegato intenzionato a sfiduciare Erdoğan ma non per forza una politica nazionalista e conservatrice. Per quanto il Chp insista molto sul discorso democratico, sui diritti e i valori della giustizia sociale, questa coalizione appare fare leva soprattutto sul sentimento di stanchezza e pesantezza che attraversa la società turca a causa dello stato di emergenza, della crisi economica, della estrema polarizzazione. La Turchia deve tornare “a rivolgere il volto al sole” come afferma lo slogan del Buon Partito (IYI), lasciando intendere come l’oscurità sia l’effetto della politica di Erdoğan. L’alleanza punta inoltre a quanti si sentano traditi dalla parabola politica del presidente della repubblica e in questo il Partito della Felicità, nato dalla scissione di una formazione politica islamista che avrebbe visto nascere in opposizione l’Akp, spera probabilmente di conquistare l’elettorato religioso in un margine più ampio di quello che solitamente raggiunge, al di sotto dell’1%.

Ad ogni modo i quattro partiti che formano l’alleanza dell’opposizione non si sono accordati su un programma condiviso mentre in comune hanno l’obiettivo di far perdere la maggioranza a Erdoğan. In modo analogo non si sono accordati per presentare un unico candidato alle presidenziali. Sono infatti ben sei i nomi che concorrono alla massima carica della repubblica turca: oltre a Recep Tayyip Erdoğan (che si presenta a nome della coalizione) ci sono Muharrem Ince per il Chp, Meral Akşener, unica donna, leader dell’Iyi parti, Temel Karamollaoğlu per il Partito della Felicità, e Doğu Perinçek del Vatan Partisi. Tanto Muharrem Ince che Meral Akşener sono figure che sembrano poter mettere in dubbio la vittoria al primo turno di Erdoğan. Ma mentre Akşener, detta anche ‘la Lupa’, seppure potenzialmente la prima donna presidente della repubblica, è una figura già nota della storia repubblicana perché ministro dell’Interno negli anni ’90, Muharrem Ince invece appare come l’uomo nuovo, il ‘sangue fresco’ come lui stesso si definisce. Ex insegnante, rappresenta l’ala socialdemocratica del suo partito e si propone come un uomo semplice capace di parlare alla popolazione tutta. Si muove in un modo che ricorda Erdoğan ai suoi inizi, pronto a riscattare le persone umili e a garantire un futuro di benessere condiviso. Unico candidato ad aver fatto visita a Selahattin Demirtaş in carcere Ince sembra capace di ottenere consensi anche tra i curdi molto più di quanto non riesca il suo stesso partito e al contempo riesce in parte a rassicurare anche l’elettorato religioso. Nel corso della campagna elettorale ha mostrato di non temere il concorrente più forte, invitando Erdoğan a uno scontro televisivo in diretta, mai avvenuto, promettendo la fine dello stato di emergenza e l’indipendenza della Banca centrale, toccando quindi i punti più critici della politica del presidente.

Alla vigilia di queste elezioni il potere di Erdoğan che potrebbe essere confermato e rafforzato ulteriormente, in Turchia non appare però affatto indiscusso e per questo motivo, come non è scontato l’esito delle elezioni, sono molto diversi gli scenari che potrebbero presentarsi all’indomani del voto.

 

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