Da Reset-Dialogues on Civilizations
Gli eventi che a partire da lunedì 20 giugno hanno insanguinato la Turchia con il terribile attentato di Suruc in cui sono morti 32 giovani militanti curdinon sono altro che la punta dell’iceberg di una situazione da tempo in predicato di far salire alle stelle la tensione ad Ankara. L’operazione militare portata avanti dagli F1con il simultaneo attacco di basi logistiche Isis in territorio siriano è avvenuta quasi in contemporanea con una serie di retate effettuate da 5 mila agenti di polizia e antiterrorismo in sedici diverse provincie della Turchia. L’esito dell’attacco in territorio siriano è stato la morte di almeno 36 miliziani e la distruzione di basi logistiche del califfato, le retate sono invece sfociate in 297 arresti di individui sospettati di essere vicini all’Isis, al Pkk, ai brigatisti rossi del Dkhp-c o all’ideologo islamico Fetullah Gulen. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha annunciato di aver concluso una “ampia intesa” con il presidente Obama rispetto ad una strategia di collaborazione che va dalla costituzione di una no fly zone lunga 90 e ampia 40-50 chilometri, l’istituzione di una base Nato, consenso all’utilizzo delle basi aeree di Diyarbakir, Malatya e Batman. Il fine dichiarato di una collaborazione che si prospetta quantomeno a medio termine, è quello di rendere più efficace la lotta ai miliziani dello stato islamico. “Obama ha fiducia in un alleato importante come la Turchia” ha ricordato Erdogan.
La situazione però va al di là dei proclami e delle intese, essendo complicata dal fatto che gli attori in gioco, semplificando, sono 3: la Turchia, i curdi e l’Isis. Nell’ultimo anno questi tre attori si sono trovati a operare per il raggiungimento di interessi diversissimi tra loro. Ai primi interessa difendere il proprio territorio e rendere sicuro l’interno dei propri confini, i secondi vedono la grande occasione per diventare stato, l’Isis, a ondate, cerca di estendere quanto più possibile il territorio intorno alla propria capitale Raqqa.
Nonostante i momenti di tensione in questo anno non siano mancati per la prima volta, la Turchia, i curdi e il califfato si trovano al tutti contro tutti.
Turchia e Isis
Alle ore 13 del 23 luglio ha avuto luogo il primo conflitto a fuoco tra i soldati di Ankara e i miliziani dell’Isis, in prossimità del confine di Kilis in territorio siriano. Il casus belli è stato un attacco effettuato da parte dell’Isis nei confronti di un distaccamento militare turco che impediva loro di avvicinarsi al confine per varcarlo. I miliziani hanno aperto il fuoco, un soldato turco è morto e così la reazione di Ankara è consistito nei raid effettuati all’alba del 24. In realtà l’atteggiamento permissivo di Ankara, consistito nel “tollerare” il gran via vai che ha visto transitare alle proprie frontiere daghe stani e francesi, ceceni e balcanici ha iniziato a mutare da un paio di settimane, quando flussi di tagiki ed uiguri sono stati bloccati nel tentativo di recarsi a Raqqa e arresti di basisti (21 in carcere) sono stati effettuati in più parti del paese. I primi arresti di miliziani (ultimi un ceceno e un russo) sono stati effettuati a meno di 24 ore dal momento in cui al confine, per la prima volta, qualcuno ha premuto un grilletto verso la Turchia.
Fino a quel momento l’Isis in Turchia aveva palesato la propria longa manus in due occasioni: la prima l’attentato al comizio dei filo-curdi del Hdp a Diyarbakir, alla vigilia delle elezioni,4 morti.
La seconda la terribile esplosione che a Suruc lo scorso lunedi ha ucciso 32 giovani militanti curdi durante un meeting per la ricostruzione di Kobane, per mesi sotto assedio da parte del califfato.
In entrambi i casi obiettivo delle esplosioni sono stati curdi, i miliziani non hanno rivendicato, ma gli autori si sono rivelati due cittadini turchi, investigando nella vita dei quali sono venuti fuori legami con il califfato e il mondo dell’estremismo islamico.
Secondo il quotidiano Hurriyet l’esplosione di Suruc è stata valutata ad Ankara come un tentativo di forzare le trattative che vedono impegnati da un lato il partito dell’Hdp e il Pkk, dall’altro lo Stato turco nella ricerca si una soluzione al conflitto che li vede coinvolti, Ad Ankara però allo stesso modo non è sfuggito l’avvertimento “oggi è toccato ai curdi, domani potrebbe toccare a voi” anche perché, come già detto, qualcosa era già cambiato nell’atteggiamento di Ankara da qualche settimana, prima che gli eventi al confine precipitassero e Ankara mostrasse i muscoli all’alba del 24 luglio: 97 arrestati Isis solo a Istanbul, 37 dei quali non turchi, almeno 36 i miliziani uccisi al confine.
Isis e i curdi
Se i miliziani hanno da poco adottato la strategia di provocare Ankara attaccando i curdi in territorio turco, al confine sud miliziani e curdi combattono da quasi un anno.
L’assedio di Kobane, durato 4 mesi, ha visto Pyd e Ypg rispondere fieramente al califfato con l’aiuto peraltro dei peshmerga iracheni. Stessa dinamica per Tel Abyad, sempre spalleggiati dagli americani i curdi hanno sconfitto l’Isis e guadagnato gradualmente posizioni spingendosi fino ad appena 50 km dalla capitale del califfato, Raqqa.
Nella guerra siriana i curdi hanno trovato la loro grande occasione per diventare stato, per prendersi quell’indipendenza che la storia gli ha sempre negato e che ora forse si presenta come possibile, per l’ultima volta. Una chance che si presenta in un momento in cui mai come prima erano riusciti a consolidare la propria posizione e a ottenere riconoscimento.
I curdi turchi dopo che l’HDP con il 13% dei voti ha superato lo sbarramento e ottenuto 80 seggi, per la prima volta si vedono rappresentati in Parlamento.
Il KRG, Kurdistan federale iracheno, ha rappresentato la regione più sicura e stabile dell’Iraq del post Saddam fino all’arrivo dell’Isis, al quale si è sempre opposto con fermezza.
Il curdi siriani, con il Pyd avevano preso in mano l’amministrazione della regione nella quale sono la maggioranza già nel Post Assad e avevano reso il Kurdistan siriano la regione più stabile della Siria in guerra, se non altro fino all’arrivo del califfato. Le vittorie di Kobane e Tel Abyad hanno dato forza ai curdi e, come detto, il sogno di uno stato è tornato vivo e fino a ieri sembrava anche concreto.
Turchia e curdi
Ankara combatte contro il Pkk senz’altro, considerata anche la gravità degli ultimi eventi 3 poliziotti uccisi in 3 giorni a Diyarbakir e un militare ad Ardahan e ne ha approfittato per lanciare un’operazione antiterrorismo multilaterale, che come hanno detto all’unisono Davutoglu ed Erdogan “si prefigga di sconfiggere il terrore in qualsiasi sua forma, il terrore che non ha ideologia, razza o religione”, definendo qualsiasi distinguo rispetto alle organizzazioni terroristiche “superfluo”. Così il giro di vite dei raid dell’alba del 24 ha visto decine di arrestati con ‘l’accusa di essere legati al Pkk (2 ad Adana, 16 a Bursa e Izmir, più di 30 a Istanbul).
Un lungo periodo di tregua tra Pkk ed esercito curdo era però da considerarsi già terminato alla fine di giugno, quando gli scontri sono ripresi al confine iracheno, nella regione I Daglica e Uludere. L’aviazione turca è tornata a bombardare posizioni curde per la prima volta dopo due anni.
Scontri si sono verificati a cadenza pressoché quotidiana in tutte le maggiori città dell’area: Diyarbakir, Siirt, Cizre, Mardin Yuksekova, Sirnak, Silopi e hanno visto protagonista il movimento patriottico giovanile curdo (YDG-H) estensione urbana del Pkk.
Una tensione che potrebbe essere considerata inattesa, considerando l’ingresso dell’Hdp in parlamento lo scorso 7 giugno, ma che invece va considerata alla luce degli avvenimenti accaduti a ridosso della frontiera, ed hanno avuto come protagonisti i curdi siriani, il Pyd e Ypg, cugini del Pkk.
Il Pyd e il Ypg sono stati i protagonisti della resistenza curda che, con l’aiuto dell’aviazione americana, ha respinto l’Isis a Kobane e Tel Abyad.
A seguito della conquista di quest’ultima da parte dei curdi Ankara non ha lesinato accuse di “pulizia etnica nei confronti di popolazioni arabe e turcofone portate avanti dai curdi”, ed Erdogan ha messo bene in chiaro che “mai e poi mai avrebbe permesso la costituzione di uno stato curdo al confine sud”. Una prospettiva capace di rinfocolare le pretese di diritti, federalismo o addirittura indipendenza, dei 20 milioni di curdi in Turchia.
Poiché però Ankara non può opporsi al Pyd come si oppone al Pkk le tocca agire diversamente. La prima mossa è consistita in un dispiegamento massiccio di forze militari nell’area di confine divenuta teatro degli scontri. Per giorni si è parlato di un’invasione, ma nemmeno un proiettile è stato sparato fino a ieri.
Fino all’intesa raggiunta con Obama, nella quale risalta la costituzione di una no fly zone che comprenderebbe le città siriane di Jarablus e Mare, una striscia di terra che diverrebbe “buffer zone” per difendere la Turchia dalle infiltrazioni di miliziani e precludere il passaggio di foreign fighter, ma soprattutto di frustrare le ambizioni dei curdi, ostacolando il sogno di portare sotto il loro controllo una striscia di terra che dall’Iraq passando per la Siria si ricongiunga con Afrin e giunga poi fino al mare di Latakya.
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