Da Reset-Dialogues on Civilizations
Per capire l’atmosfera che ha caratterizzato l’estate in Tunisia dopo la strage del 26 giugno sulla spiaggia di Sousse rivendicata da Daesh, il sedicente stato islamico, bisogna spostarsi dal centro di Tunisi e viaggiare per le strade che conducono sia nei villaggi all’interno, sia sulla costa. Ai semafori, ai caselli autostradali, negli autogrill, alle stazioni di louage e a molti incroci si incontrano decine e decine di venditori, anche minorenni, di pane appena sfornato dalle cucine delle mamme o delle mogli, gomme da masticare, occhiali, ventagli o aquiloni made in Cina fino a camaleonti appena catturati per i più superstiziosi in cerca di fortuna e di amuleti contro il malocchio.
È diventato comune anche imbattersi in mercati illegali, nati spontaneamente, sui raccordi autostradali, di prima mattina, subito dopo la preghiera dell’alba.
“Siamo diventati tutti Mohamed Bouazizi!” dice un giovane rassegnato alla condizione di venditore ambulante abusivo. “Nessuno cerca più lavoro. Vanno tutti in strada, come me, e mettono un banchetto per vendere ciò che hanno. Si vive alla giornata e molte speranze stanno morendo” spiega mentre gli passa di fianco un venditore di mashmum, le piccole composizioni di gelsomini di cui andavano pazzi i turisti europei che dopo l’attentato del Bardo del 19 marzo e poi di quello di Sousse, sono sempre meno.
Tempi duri, dunque, per i giovani mercanti di mashmum in questa “estate lunga e dolorosa”, come la definisce Azza Filali, medico e scrittrice il cui romanzo “Ouatann. Ombre sul mare” sta per uscire in Italia per Fazi Editore. “L’attacco a Sousse – spiega Filali – ha causato il crollo della stagione turistica, salvata solo, in extremis, dall’afflusso di turisti algerini (400 mila dall’inizio di luglio) venuti a mostrare solidarietà al nostro paese. Inoltre, i tunisini si sono trasferiti in massa negli alberghi della costa. Ovviamente questo non ha assicurato le entrate in valuta estera del turismo europeo, ma ha almeno permesso al settore alberghiero di continuare lentamente a funzionare”.
L’estate, dunque, è trascorsa sottotono con la speranza di non essere cancellati del tutto dalla mappa del turismo internazionale, anche se, come osserva Hazem Trimeche, guida turistica professionista, “abbiamo perso i turisti, ma abbiamo guadagnato i viaggiatori, quelli più amanti della verità”.
Per fortuna “la Tunisia non è completamente esclusa dalla mappa del turismo internazionale” conferma Sonia Ayed, vicepresidente della Federazione tunisina delle agenzie di viaggio. “Belgio, Polonia, Inghilterra non hanno permesso ai loro tour operator di pianificare voli per la Tunisia – spiega, ma ci sono paesi come la Germania, la Russia e la Francia che continuano a vendere pacchetti per la Tunisia. Siamo cercando di risolvere la crisi attraverso una serie di azioni congiunte con i paesi con i quali abbiamo sempre lavorato, incontrando i capi dei Ministeri degli Affari Esteri per informarli delle misure di sicurezza prese dal governo tunisino”.
La crisi, però, non riguarda solo il turismo, ma anche il settore agricolo, quello industriale e gli investimenti esteri. “L’economia è in recessione con il -0,7% del PIL nel secondo trimestre dato che, insieme all’altissimo tasso di disoccupazione pari al 15,2%, ha creato un sentimento di abbattimento nei diversi strati sociali e soprattutto nelle regioni interne colpite duramente per la mediocre raccolta di cereali” – spiega Tarek Chaabouni, esponente del partito Nidaa Tounes.
“La Tunisia è in una situazione vicina al collasso, non solo per i problemi interni ma anche a causa del contesto regionale – aggiunge Chaabouni. La situazione libica ha un impatto enorme sulla nostra economia, difficilmente descrivibile a un osservatore esterno. Senza la Libia, l’economia tunisina funziona con un solo polmone. Il mercato libico per noi è uno sbocco facilmente raggiungibile per terra, con tante merci di media qualità, poco adatte ad altri mercati, dai biscotti ai mobili fino al cemento, trasportati da carovane di camion”.
Le preoccupazioni per il futuro dilagano in tutti gli ambienti e mentre nei palazzi istituzionali, tra i partiti e tra le associazioni si cercano soluzioni per superare la crisi, sui giornali si consuma ancora il dibattito aperto all’indomani della strage di Sousse su stato di emergenza, legge anti-terrorismo e libertà limitate. Per le strade, invece, si moltiplicano i clochard, figura quasi inesistente prima della rivoluzione del 2011, e si incontrano sempre più profughi siriani, soprattutto donne con i loro bambini tra le braccia che, belle e composte, con pudore chiedono l’elemosina davanti ai caffè e i ristoranti più esclusivi a Tunisi.
Nonostante nessuno abbia rinunciato a sposarsi – l’estate è il mese dei matrimoni – e a organizzare grandi feste e cortei con tamburi e sonagli, “nell’aria si percepisce una grande tristezza e tanta rabbia” come osserva Maria Ponce De Leon, docente alla facoltà di lingue dell’Università di Monastir a Moknine e quindi a contatto con giovani provenienti da ogni zona della Tunisia, in particolare dalle regioni più disagiate. “I giovani sono rimasti con i cuori e i sogni infranti. Loro che si preparavano e speravano di lavorare nel turismo sono rimasti senza niente. Già da prima, le possibilità di lavoro erano molto ridotte e il turismo era una delle uniche possibilità di un avviamento professionale – racconta la docente. Noto che dopo l’euforia della rivoluzione, un senso di delusione e rassegnazione pervade i miei studenti. Sono delusi dalla politica che è lontana dalla loro realtà e che non cerca il loro consenso, né cerca di affrontare i problemi del paese. Sembra che non sia cambiato niente in questi 4 anni, anzi forse la situazione è peggiorata. La corruzione divampa. Si allarga il divario tra ricchi e poveri. La disoccupazione è aumentata, e non ci sono molte opportunità che attendono i giovani al compimento dei loro studi. Tanto è vero, mi dicono: “Perché dobbiamo perdere il tempo a studiare se non c’è lavoro e non c’è futuro?”.
Sembra non riuscirci neanche l’élite a immaginare il futuro, “troppo impegnata a interpretare il passato e a fare il bilancio dello stato post-coloniale”, come sottolinea Chaabouni. Oppure, come osserva Fadhel Jaïbi, direttore del Teatro Nazionale di Tunisia, impegnata a capire “perché la rivoluzione, per molti aspetti, invece di portare speranza, ha generato paure inedite, angosce, depressioni, gesti di disperazione, violenze molteplici e quotidiane ovunque e atti che sfociano in crimini atroci”. Il suo ultimo spettacolo, “Violence(s), presentato in anteprima mondiale al Teatro Piccolo di Milano il 4 e 5 settembre, indaga proprio questo tema ponendo la lacerante questione: annientarsi (imbarcandosi per il Mediterraneo o partendo per il jihad) o annientare l’Altro? E perché?
Atti di violenza e uccisioni si registrano di continuo in Tunisia, soprattutto nei piccoli centri e soprattutto all’interno delle famiglie. “Fuori dalla capitale c’è un deserto culturale: mancano teatri, cinema, impianti sportivi e luoghi di incontro” fa notare la professoressa De Leon. “A Moknine, gli studenti trascorrono l’anno accademico tra l’istituto e la casa dello studente. Internet e Facebook sono i primi passatempi. Fortunatamente l’università comincia a organizzare delle attività accademiche e sociali e vengono accolte con entusiasmo”.
In agosto, a Mahdia, è stato organizzato un “villaggio” in cui gli studenti che studiano italiano sono stati invitati ad approfondire la lingua con docenti specializzati. Tra loro c’era Ilaria Addeo, insegnante all’Istituto Italiano di cultura a Tunisi, che racconta che da una serie di interviste effettuate da un gruppo di studenti è emerso che i tunisini oggi “dopo il timore di Dio hanno quello del terrorismo”. E si teme di più l’instabilità della Libia, piuttosto che l’arrivo di nuovi attacchi di Daesh.
“Quando, rientrata da Mahdia, ho parlato con il proprietario di casa per proporgli di far occupare la mia stanza, nel periodo in cui non sarò a Tunisi, da un conoscente libico, persona di tutto rispetto che in questa fase ha spostato la attività dalla Libia, la sua reazione mi ha sconvolta – racconta Ilaria Addeo. Era intimorito e preoccupato di ospitare una persona pericolosa e, dulcis in fundo, mi ha detto: “’Se si fosse trattato di un europeo non ci sarebbero stati problemi’”.
Il caos della vicina Libia, dunque, spaventa i tunisini che vivono con un occhio sempre rivolto verso l’ex paese di Gheddafi, scongiurando ulteriori pericoli per la giovane democrazia da proteggere e da far crescere. La legge anti-terrorismo, se pur ampiamente criticata, ha istituzionalizzato la posizione dello Stato contro il terrorismo, i controlli sono stati intensificati e anche i servizi segreti sono più attivi.
Il Ministero dell’Interno ha comunicato che, a sei mesi dalla strage del Bardo, sono stati effettuati numerosi arresti, sono state smantellate 16 cellule terroristiche, tra cui gruppi dormienti e altri composti da istigatori al jihad e sono state oscurate 191 pagine internet che incitavano all’odio, all’estremismo islamico e al jihad (213 gli arresti).
“I miglioramenti della vita dei tunisini ci sono ma non si vedono, perché sono nel campo dei diritti, libertà di stampa e libertà individuali, e nella nuova Costituzione” fa notare il regista Mourad Ben Cheikh e, a conferma della sua dichiarazione, arriva la candidatura a miglior inchiesta giornalistica di un lavoro della tunisina Hanane Zbiss dedicato all’educazione delle scuole coraniche al Global Shining Light Award in Norvegia a ottobre.
“Oggi si parla di costituzionalità di una legge, prima questo problema non veniva proprio posto” sottolinea il regista ricordando tra le “libertà invisibili” quelle relative alla libertà di coscienza. “La Tunisia è l’unico paese del mondo arabo ad aver considerato nella Costituzione la libertà di coscienza – specifica. È un primato, anche se ci vorrà tempo per radicarla nella pratica”.
“Assistiamo oggi a continui bracci di ferro – aggiunge Ben Cheikh. Nel campo economico, oggi i sindacati possono esprimere pienamente il loro punto di vista, entrano spesso in un confronto diretto con i poteri economici e politici. La battaglia può anche sembrare selvaggia perché forse mancano ancora gli strumenti della discussione, una pratica non ancora radicata nelle menti. Ma sono strumenti che si possono acquisire, non scordiamoci che è il quartetto formato da sindacati (UGTT), patronato (UTICA), lega per i diritti umani (LTDH) e ordine degli avvocati ha imbastito il tavolo del dialogo nazionale che ha portato alla dissoluzione del primo governo islamista in Tunisia. La prossima grande tappa politica è fare del dialogo la prima e ultima stazione del confronto politico”.
Intanto il dibattito nazionale nelle ultime settimane è concentrato sulla proposta del governo di una “legge di riconciliazione economica e finanziaria” che prevede un condono per uomini d’affari e alti funzionari implicati in processi per corruzione, evasione, frode e altre pratiche illegali in connivenza con il regime di Ben Ali. Secondo la proposta, gli indagati potranno presentare le loro scuse e versare una somma di denaro in cambio della caduta delle accuse nei loro confronti.
Per il governo il provvedimento è una misura necessaria per la ripresa economica del paese, ma i movimenti sociali tunisini sono contrari e si sono mobilitati perché “sostengono che i processi giudiziari debbano proseguire in modo da permettere la confisca delle fortune ammassate grazie ai legami con la dittatura, in modo da poter usare tali risorse per investimenti pubblici di sviluppo nelle aree più svantaggiate del paese”. Non potendo manifestare a causa dei limiti imposti dallo stato di emergenza, è stata messa in campo una campagna di contestazione per fermare la legge su media e social network.
La battaglia è aperta e i tentativi di cortei e manifestazioni pubbliche non mancano, mentre nel paese si continua a sperare e a pregare nella ripresa dell’economia, nel ritorno degli investimenti stranieri e nella ripresa del turismo.
“Flus, flus! Soldi, soldi!” ripetono tutti strofinando indice e pollice, soprattutto quando incontrano carretti pieni di fieno che, per un’antica credenza popolare, sono portatori di ricchezza e vanno salutati con il gesto che chiama il denaro. “Flus flus!”
Vai a www.resetdoc.org
Interessantissimo. Una lettura approfondita della realtà tunisina, ricco di informazioni. Lo consiglierò ad altri.
Buongiorno,
ho letto attentamente l’articolo, e devo dire che sono un pò contrariato. Si parla della Tunisia come un paese in decadenza, pieno di vagabondi, abbandonato a se stesso…io non voglio dilungarmi, ma forse sarebbe meglio guardarsi un pò indietro e vedere com’era una volta. Comunque io vivo in Tunisia da 3 anni, ho sposato una Tunisina e lavoro qui tranquillamente. Sono un italiano 100%. Non vedo più clochard che in stazione centrale a Milano o nei vari parchi italiani, non vedo meno delinquenza in giro per le strade…per non parlare della rassegnazione per il futuro perchè in Italia, almeno parlo di 3 anni fa, noi giovani non arrivavamo a pensare che non di fosse un domani. Qui in Tunisia stanno cercando di far crescere una mentalità che in Italia è cresciuta in 30/40 anni. Qui il processo è cominciato dopo la fine della rivoluzione del 2011. La Tunisia è sempre stata in mano a assolutismi; ora noi come eravamo negli anni 50? 60? fino agli inizi degli anni 90 gettavamo ancora dappertutto ( e che ci lo fa ancora ) la sporcizia in giro. Non dico che in Tunisia non ci siano problemi, ma che non vadano enfatizzati o malriportati per fare terrorismo mediatico…
Grazie
altro che flus flus ci vuole ben altro
E un malchance chi ha colpito la tunisia facendo i primi passi verso la democrazia in italia in francia in amercica , dappertutto la democrazia si paga con il sangue e il sedecente EI per guadagnare terreno e discepoli impediva tutte le tentative verso la libertà o la democrazia dunque è ovvio che siano queste attachi
nostra colpa reside nel fatto che abbbiamo malestimato le forze del male e la gravità dello “schiaffo” e percio l’abbiamo pagata pesantemente quest’estate e speriamo reprendere velocemente bensi se vede troppo difficile pero la via di 1000 passi la dobbiamo iniziare e siamo convinti che in fin dei conti il terrorismo lo vinceremo da soli o con l’aiuto dei nostri fratelli e amici