L’87 per cento dei tunisini sostiene il presidente della Repubblica Kaïs Saïed nella sua decisione di ‘congelare’ per 30 giorni i lavori del Parlamento, costringere alle dimissioni il primo ministro Hichem Mechichi, sospendere l’immunità dei deputati. Questo secondo il sondaggio Emrhod Consulting, commissionato da Attessia Tv e Business News, ed effettuato su di un panel di cittadini maggiorenni tra il 26 e il 28 luglio in 24 governatorati.
A leggere bene i dati emersi, però, si scopre che, se il 46 per cento dei tunisini non si dice preoccupato per il futuro del Paese, è di opinione opposta il 42 per cento delle persone interpellate per l’indagine. Come dire: la polarizzazione della società tunisina è portata agli estremi dalla mossa presidenziale del 25 luglio. Come un elastico che potrebbe rompersi da un momento all’altro.
La decisione presidenziale ha colto di sorpresa molti, ma non tutti: “Per come stavano andando le cose, con un degrado progressivo della situazione da due anni a questa parte, me lo aspettavo: ormai le sedute parlamentari erano una farsa, i deputati non riuscivano più a parlare, dalla violenza verbale si era giunti a quella fisica”, spiega Amel Grami, accademica e attivista tunisina. Nelle ultime settimane, poi, le immagini dell’Assemblea del popolo (il Parlamento tunisino è monocamerale) svuotata dei suoi membri parlavano da sole: “Sulla scena rimanevano solo i sostenitori di Abir Moussi (i deputati membri del partito Desturiano Libero, erede della tradizione del Rassemblement Constitutionnel Démocratique di Zine el-Abidine Ben Ali) e il clan degli islamisti di Ennahda. E il presidente dell’Assemblea, Rached Ghannouchi (fondatore e ancora leader de facto di Ennahda) non riusciva a garantire il regolare svolgimento dei lavori. Avrebbe dovuto dimettersi a favore di qualcuno di più forte e capace. Quello del presidente non è un putsch, era necessario”.
Che non si potesse più andare avanti così è convinto anche Omar Fassatoui, ricercatore associato presso la facoltà di Scienze Politiche di Aix Marseille: “Gli islamisti lavorano con in testa l’agenda dei Fratelli musulmani, cioè secondo uno schema e secondo interessi che non sono quelli nazionali”. In questo momento i cittadini imputano alla loro classe dirigente, in particolare al partito che ha goduto della maggioranza di consensi dal 2012 ad oggi (in tandem con i liberali di Nidaa Tounès per gli anni 2014-2018, quelli del compromesso storico fra islamisti e modernisti) che “non hanno risolto niente, hanno ricevuto soldi dal Qatar e non hanno fatto niente”.
Sullo sfondo, una situazione sanitaria drammatica: le autorità stimano che nelle province più colpite dalla variante Delta del Covid-19 sia attualmente infetto il 50 per cento della popolazione. Gli ospedali sono saturi sia in terapia intensiva sia nei reparti ordinari, convertiti ad aree Covid per l’emergenza. Mancano le bombole di ossigeno. La campagna vaccinale ha raggiunto poco più del 7 percento dei 12 milioni di abitanti.
L’intervento a gamba tesa del presidente Saïed, costituzionalista e docente universitario eletto nel settembre 2019, solleva numerosi dubbi di legittimità. Esso si basa sull’articolo 80 della Costituzione del 2014, quella scritta da un’Assemblea costituente a maggioranza islamista, ma anche con il supporto della componente modernista.
Nelle ultime settimane, la presidenza aveva lasciato filtrare sugli organi di stampa la propria insoddisfazione per una Carta inadeguata a rispondere alla crisi attuale: “Essa prevede la possibilità di sciogliere il Parlamento e andare ad elezioni anticipate, ma non è stato possibile”, argomenta Grami, aggiungendo che “ci sono stati due tentativi, ma la compravendita di voti nell’Assemblea li ha vanificati”.
Da qui la scelta di mettere fra parentesi la democrazia per un mese, assai rischiosa: l’articolo 80 prevede infatti che la Corte costituzionale intervenga una volta congelata l’Assemblea del popolo. Ma la politica tunisina non è ancora riuscita a partorire quest’organo di garanzia, nei lunghi anni post-rivoluzionari: il pericolo di una svolta autoritaria è reale, in assenza di un sistema di controllo e contenimento.
Saïed ha concentrato nelle proprie mani il potere esecutivo (dovrà scegliere un nuovo premier incaricato di formare la compagine di governo), quello giuridico (ha licenziato pure il procuratore generale e assunto l’incarico ad interim) e quello legislativo (nessun deputato è autorizzato a entrare in Parlamento, il cui immobile è presidiato dall’esercito).
Nel frattempo, sono stati accompagnati alla porta i ministri di Interni, Difesa e Giustizia, tutti i collaboratori più stretti del premier Mechichi, i vertici di agenzie nazionali e società partecipate dallo Stato (vedi Tunisair), il numero uno dei servizi segreti, il direttore della tv di Stato.
Ma la resa dei conti con il fronte islamista è solo all’inizio. Da metà luglio – ma lo apprendiamo ora – i magistrati hanno messo gli occhi su presunti finanziamenti occulti ricevuti da Ennahda, Qalb Tounès (“Al cuore della Tunisia”, partito populista fondato dal tycoon dei media Nabil Karoui, a sua volta coinvolto in indagini per riciclaggio internazionale negli ultimi anni) e Aich Tounsi (“Amo la Tunisia”, movimento politico che ha partecipato alle elezioni del 2019 classificandosi quinto) durante la campagna elettorale del 2019 e a seguire.
Dossier delicati che evidentemente i servizi segreti tunisini avevano pronti da tempo e che la presidenza ha deciso di impugnare adesso.
È probabile che presto i giudici si occuperanno delle amministrazioni locali a traino islamista, come le immagini circolate sui social lasciano intuire: “Nonostante il coprifuoco, molti ragazzi sono usciti lo stesso e hanno filmato in alcune municipalità rette da Ennahda i funzionari che cercavano di liberarsi di documenti e materiale di archivio. È importante che niente vada perduto e la giustizia faccia chiarezza sui crimini commessi dagli islamisti ai danni dello Stato”, puntualizza Grami.
La situazione è in divenire, le indiscrezioni di stampa sono continue e contraddittorie non solo riguardo alle intenzioni che il presidente Saïed avrebbe per i 30 giorni di “stato di eccezione” (non di emergenza), ma anche sulle dinamiche del forzato dimissionamento del premier Mechichi: riportando le parole di fonti accreditate vicine all’ex primo ministro, il sito informativo britannico Middle East Eye ha riferito che Mechichi sarebbe stato accompagnato da agenti della sicurezza tunisina a Cartagine, perché convocato dal presidente.
Lì, gli sarebbe stato chiesto di dimettersi, come già avvenuto più volte nelle ultime settimane. All’ennesimo rifiuto, sarebbero intervenute “persone non tunisine”, che lo avrebbero aggredito fisicamente. Il premier avrebbe riportato “ferite importanti”.
Chi erano gli uomini intervenuti? “Ufficiali della sicurezza egiziana”, mentre quelli tunisini sarebbero rimasti fuori dal palazzo presidenziale.
Secondo una fonte citata da Middle East Eye, gli ‘specialisti’ inviati dal presidente Abdel Fattah al-Sisi sarebbero giunti a Tunisi giorni prima, per sostenere e consigliare il presidente-giurista, la cui amicizia con il collega egiziano non è una novità per i media panarabi.
Rached Ghannouchi, anche lui convocato a Cartagine, sarebbe sfuggito all’agguato perché appena dimesso dall’ospedale e quindi assente ‘giustificato’. Ghannouchi è stato ricoverato dopo aver contratto il Covid-19.
“Smentisco categoricamente di essere stato aggredito”, ha scritto in una nota il 47enne ex primo ministro, mai apparso in pubblico da domenica 25 luglio in poi. Una circostanza certamente non rassicurante: “Aveva ferite sul volto ed è questo il motivo per cui non si è fatto vedere”, hanno spiegato a MEE le fonti vicine all’ex esecutivo, protette da anonimato, aggiungendo ulteriori dettagli: “Militari egiziani e uomini della sicurezza sono stati inviati in Tunisia con il pieno sostegno di Mohammed bin Zayed”, principe ereditario di Abu Dhabi.
La Tunisia, dunque, come nuovo ring regionale per gli eterni fronti avversari ‘Qatar-Turchia’ contro ‘Egitto-Emirati’?
Il presidente della Repubblica respinge ogni accusa di intromissioni straniere, nonché di autoritarismo e anti-costituzionalità, formulate anche da voci illustri della scena politica internazionale, come quella di Yadh Ben Achour: “Il ricorso all’articolo 80 è un semplice alibi che può ingannare solo gli ingenui”, ha dichiarato il giurista il 27 luglio scorso a La Presse de Tunisie.
Già all’inizio di giugno, peraltro, Ben Achour si era espresso sulla condotta di Saïd parlando di “colpo di Stato permanente contro la Costituzione”.
Commenta Aymen Boughanmi, accademico dell’università di Kairouan, politologo: “Mi sembra che il termine ‘grave violazione della Costituzione’ sarebbe più appropriato, per il momento, del termine colpo di stato. E quando dico ‘per il momento’, intendo dire che se lo slancio (del presidente) non sarà contenuto, la paura si farà sentire e torneremo al punto di partenza”.
Un punto di partenza che potrebbe spazzare via dieci anni di processo democratico tunisino e mettere la parola fine sulle primavere arabe una volta per tutte.
Foto: Il presidente tunisino Kais Saied annuncia la dissoluzione del Parlamento e del governo-Mechichi – 25/7/2021 (Fethi Belaid / AFP)