Da Reset-Dialogues on Civilizations
Tunisi – Un coro di voci unite nella manifestazione per la Palestina ha chiuso sabato la 13ma edizione del Forum Sociale Mondiale, tenuto per la seconda volta a Tunisi, dal 23 al 28 Marzo. Possiamo dirlo: questa kermesse di Organizzazioni e Movimenti della società civile si conclude come un successo. Innanzitutto per la larghissima partecipazione: tutte le associazioni registrate hanno scelto di confermare la propria presenza, nonostante la paura e l’incertezza provocate dalla strage del Bardo di pochi giorni prima. E anche i semplici cittadini tunisini sono stati numerosissimi. Oltre 3000 associazioni da 120 Paesi hanno dedicato l’evento alla solidarietà con il popolo tunisino e alla ferma condanna del terrorismo, dando a questo tema largo spazio nei dibattiti, indagandone le cause complesse e proponendo soluzioni.
Un confronto aperto tra esperti dei cinque continenti, la condivisione di esperienze e “buone pratiche”, la formulazione di conclusioni e istanze da portare all’attenzione dell’opinione pubblica, delle Istituzioni politiche e delle organizzazioni economiche. Funziona così il Forum, anche con riferimento alle altre tematiche: libertà di informazione, economie solidali, donne, giovani e lavoro, clima e ambiente, violenza, fondamentalismo e bisogno di pace. In Iraq, in Siria, Yemen e Palestina fino al Sahara Occidentale dove il popolo Sahrawi è ancora in attesa di una patria. Un processo nato in Brasile come alternativa altermondialista al vertice economico di Davos, che si plasma e si sposta di anno in anno seguendo le nuove esigenze ed emergenze. A sud del Mediterraneo quest’anno, nel tentativo di riflettere insieme sulla complessità del mondo arabo di oggi, e accompagnare il passaggio delicato delle Primavere da ribellioni a sistemi politici stabili e liberali.
La Tunisia, che delle rivoluzioni arabe è stata cuore pulsante e storia di successo, si è fatta trovare pronta, con una rete di organizzazioni nate anche sotto l’impulso della precedente edizione, oggi pienamente autonome nell’appropriazione del processo del Forum. Proprio questi attivisti tunisini che nel 2014 hanno saputo difendere con i denti le conquiste ottenute, reclamando la laicità della Costituzione e facendo pressione sulle le forze islamiste che allora erano al governo – spiega Raffaella Chiodo dell’UISP Unione Italiana Sport per Tutti – chiedono oggi a noi cugini del nord del Mediterraneo di continuare a visitare la loro terra meravigliosa e accogliente. Chiedono al mondo di incrementare gli scambi, di identificarsi nello sforzo di difesa di quella che possiamo considerare la democrazia più progressista del mondo islamico. D’altra parte, è proprio la Tunisia liberale che i terroristi hanno voluto colpire lo scorzo 18 Marzo; per lo stesso motivo la salvaguardia della stabilità della Tunisia è evidentemente vitale per l’intera regione.
Lo shock della popolazione per l’attentato si è tradotto in una maggiore presa di coscienza del problema, a livello politico e civile, e determinazione ad arginare con ogni mezzo la minaccia fondamentalista. In questi giorni gli arresti di terroristi, o presunti tali, si contano numerosi, e il Governo ha approvato una legge speciale antiterrorismo, ora al vaglio del Parlamento. Ma al di là delle operazioni militari, al di là dell’unità nazionale che tutte le forze politiche – il partito islamista Ennhadha compreso – hanno dichiarato, in nome del comune rifiuto della violenza stragista, i tunisini insistono: bisogna agire sulle debolezze sociali ed economiche. Il tasso di disoccupazione è elevato, gli stipendi dei dipendenti pubblici troppo bassi. I prezzi dei beni alimentari sono volati alle stelle dopo il 2011, e questo colpisce soprattutto le famiglie medio benestanti. “L’invasione del made in China è arrivata anche in Tunisia, e la percentuale degli scambi illegali è in aumento vertiginoso, con un tasso passato dal 20% all’epoca di Ben Ali a oltre il 50% oggi, concernente soprattutto prodotti alimentari tunisini sovvenzionati dallo Stato scambiati con combustibili fossili provenienti dalla Libia”, secondo Ltaief Salem, segretario di sezione del principale sindacato locale UGTT.
Insomma, l’orgoglio per le libertà conquistate con la rivoluzione è un sentimento diffuso e condiviso; eppure si riconosce che il sistema autoritario e clientelista dell’epoca di Ben Ali era una base più solida per l’economia, favoriva l’occupazione, e non danneggiava la classe media.
Disoccupazione e mancanza di prospettive sono il primo fattore che spinge i giovanissimi a guardare alla militanza nelle organizzazioni salafite come alternativa attraente. C’è inoltre la diffusione dell’slam politico nelle istituzioni, nelle amministrazioni e nelle moschee a infervorire gli animi di molti cittadini. Secondo qualcuno, Ennhadha avrebbe inizialmente visto di buon occhio questa ramificazione, senza quindi intervenire con decisione al fine di arginare il fenomeno della radicalizzazione, per il lungo periodo nel quale il partito ha detenuto potere, tra il 2011 e il 2014. E in effetti una scrematura di tutte le poltrone più radicali sta interessando solo in questi giorni tutti gli organi del potere. Hanno capito, i politici tunisini di ogni colore e provenienza, che la rivoluzione dei gelsomini è ancora in pericolo.
Meno possono fare sulla scena internazionale. La crisi politica della vicina Libia, la diffusa circolazione di armi e combattenti in Algeria, la guerra in Siria ed Iraq: la Tunisia è chiaramente vittima della ventata di caos e violenza che attraversa e destabilizza l’intero mondo arabo. L’urgenza è palese e il mondo intero è chiamato a fare la sua parte: il Forum dei difensori dei diritti umani e la gente comune, ma soprattutto le grandi potenze e le alleanze politico-militari, in grado di decidere la sorte di migliaia di civili e intere popolazioni. Già i giornali parlano dell’accordo triangolare tra Francia, Arabia Saudita e Tunisia, finalizzato all’acquisto di armi francesi da parte della Tunisia con denaro saudita. La speranza è tuttavia che non si punti solo alle armi ma a una vera eradicazione del problema. E che l’immensa marcia internazionale contro il terrorismo, che ha attraversato ieri le strade di Tunisi e alla quale hanno partecipato alcuni capi di Stato e di Governo, tra cui il nostro Matteo Renzi e il Presidente francese François Hollande, non assuma solo un significato di alleanza militare. Un forte vento proveniente – dicono – dal Nord del Mediterraneo soffia in questi giorni su Tunisi. Che esso possa portar via solo le nuvole, ma non il messaggio pacifista del Forum delle alternative.
Immagine: Il manifesto ufficiale della manifestazione del 29 a cui, insieme a settantamila persone, hanno partecipato il Premier Renzi e la Presidente della Camera Laura Boldrini