L’estate in Tunisia è stata caratterizzata da un fervido dibattito tra parti politiche e società civile che avuto al centro i diritti delle donne e che ha mostrato ancora una volta il desiderio di democrazia e la capacità di trovare compromessi che hanno contraddistinto la vita del paese in questi anni. Tra gli obiettivi raggiunti che marcano un passo avanti nel processo di modernizzazione della società tunisina, c’è stata la riforma di legge sulla violenza sulle donne approvata lo scorso 26 luglio, una tappa importante nel percorso tanto ambito da molti tunisini: giungere alla parità di genere stabilita dall’art. 46 della Costituzione del 2014.
Un punto centrale della trasformazione che la riforma mette in atto è il passaggio della violenza da questione privata a questione di Stato. La nuova legge, infatti, passa nelle mani dello Stato, in quanto Garante Supremo dei cittadini, anche le denunce fatte e poi ritirate da donne spaventate o minacciate, oltre ad aumentare le pene per gli stupratori in casa e negli spazi pubblici, fino a punire lo “stupro incestuoso” con l’ergastolo. Tra i promotori delle modifiche di legge, in prima linea ci sono state le associazioni femminili tra cui la più longeva, l’Associazione tunisina delle donne democratiche (ATFD), di cui è membro l’imprenditrice culturale Zeyneb Farhat, attivista per i diritti delle donne, direttrice dello spazio El Teatro di Tunisi e cofondatrice dell’associazione Zanoobya che si occupa di promozione culturale nelle zone rurali del paese. Zeyneb, come la maggior parte delle tunisine, mira a non disperdere la grande eredità lasciata dal presidente Habib Burghiba con il moderno Codice di Stato Personale del 1956 che ha segnato la strada al presente e al futuro delle donne tunisine.
Madame Farhat, cosa pensa della recente riforma di legge sulla violenza sulle donne?
Come membro dell’ATFD, posso dire che questa legge è frutto del lavoro ventennale dell’associazione, ovviamente insieme ai nostri partner. Inoltre, essendo la legge imbevuta di valori civici, posso solo applaudirla perché assicura e rassicura che la donna tunisina è un cittadino a tutti gli effetti.
Oltre alla legge, cosa è necessario per modificare i comportamenti violenti registrati nei tunisini?
Sì, la legge è importante perché è un paravento giuridico ed è vero che può spaventare le persone che usano la violenza e farle riflettere prima di brutti gesti, ma a mio parere questa legge non può essere efficace se non accompagnata da riforme orizzontali e programmi socio-educativi, come riprendere i libri scolastici e includere testi educativi che condannino la violenza in generale e soprattutto contro le donne; far comprendere la legge in modo che non sia verticalmente imposta dallo Stato, ma percepita come un’alternativa per raggiungere la felicità della famiglia; spiegarla con tutti i mezzi di comunicazione e artistici e pensare a formati speciali per educare il pubblico giovane che oggi è maggiormente a rischio ad assorbire modelli di violenza.
E’ stata ben accolta la modifica dell’art. 227 bis del codice penale, il cosiddetto “articolo della vergogna”, che permetteva al violentatore di sfuggire alla pena sposando la vittima. Pensa che questa modifica farà diminuire gli stupri?
L’articolo 227 bis era un insulto, umiliante, alle donne violentate e una scappatoia legale per gli stupratori. Abbiamo dovuto affrontare casi sfortunati nel centro di ascolto dell’ATFD in cui lo stupratore si impegnava a rimanere sposato almeno due anni con la ragazza violentata. In questo modo alla fine la vittima si trovava abbandonata con uno o due figli senza risorse finanziarie e in più mantenendo lo stigma negativo del suo ambiente sociale. Anche se la punizione per lo stupratore ora è chiara, faccio notare che però sarà difficile da attenuare negli ambienti rurali. Prendiamo ad esempio l’ambiente scolastico rurale dove l’alunno, sia maschio sia femmina, deve percorrere circa 10 km a piedi da casa a scuola e proprio durante questo tragitto si registrano spesso violenze su minori. Con l’associazione Zanoobya, attraverso la Progetto KRI, abbiamo fornito loro un mezzo di trasporto, una karrita trainata da un mulo con 7 panche, uno spazio dove mettere gli zaini pesanti e un telone per coprirsi da venti e piogge, guidata da una donna che in cambio ha ricevuto 12 pecore. Questa esperienza è solo una piccola soluzione, ma è necessario prevedere l’educazione sessuale nelle scuole e più dibattiti nei luoghi pubblici, dai mercati ai Cafè. Infine, la parte più difficile, è agire sulla cultura dei genitori che preferiscono la soluzione matrimoniale per liberarsi dello scandalo di una figlia abusata. Si deve spiegare loro che la figlia è vittima e non una svergognata.
Con il nuovo emendamento viene spostata l’età del consenso da 13 a 16 anni e viene considerato “stupro” qualsiasi rapporto sessuale tra un adulto e una minore di 16 anni. Un bel passo in avanti?
Siamo realistici, in adolescenza il giovane vive una rivoluzione esistenziale, sfidando i valori tra cui Dio, e una rivoluzione ormonale. Fare sesso a 16 anni per me è giusto, ma è essenziale avere un’educazione sessuale per evitare gravidanze indesiderate, infezioni come l’AIDS. Esistono strutture educative presso i Commissariati degli uffici regionali del Consiglio nazionale della pianificazione familiare, ma si sono indeboliti dopo la resistenza religiosa portata avanti dal partito islamico Nahdha che ha preso il potere dal 2011 al 2014. Il grande lavoro di prevenzione si è perso nel nulla. Attendiamo un intervento a riguardo della politica.
Un’altra “rivoluzione” è stata l’introduzione del concetto di violenza morale e di conseguenza di sanzioni per questo tipo di reato. Che ne pensa?
La violenza è fisica e morale, migliaia di studi condotti da ricercatori, psichiatri e sociologi l’hanno dimostrato da tempo. Dice bene un proverbio tunisino: “la perseveranza trafigge il marmo” (Eddwem ynokob errkham)!
Il 13 agosto presidente tunisino Beji Caid Essebsi ha annunciato la volontà di una nuova riforma rompendo due tabù: dare la parità tra uomo e donna in tema di eredità e permettere anche alle donne di sposare un non musulmano senza obbligarlo alla conversione. Perché la Tunisia punta sempre così tanto sull’emancipazione delle donne?
Per la parità nell’eredità, la nostra associazione ATFD lavora da 1997. Ci sono due scuole nel mondo musulmano: la Scuola coranica, per la quale solo il libro sacro è un riferimento “giusto”, e un’altra scuola che prende in considerazione le gesta del profeta Mohammed e i suoi hadith, che sono molto controversi al punto da mettere in discussione la veridicità delle sue parole. Nel mio spazio El teatro ho istituito un incontro artistico con pannelli sul palco su temi religiosi, legali ed economici dedicato al dibattito sull’eredità e workshop di scrittura che hanno portato a un’opera teatrale molto apprezzata. Il dramma dei nostri giorni è l’ignoranza totale del testo sacro del Corano scritto con un linguaggio letterario molto aguzzo e quindi l’ignoranza di quei predicatori che non comprendono nulla della nozione di “El Ijtihad” (interpretazioni) nella comprensione del Corano. Infatti, solo sul piano della linguistica, nel Corano non esistono praticamente prescrizioni che vietano l’uguaglianza della successione. Si dice che “il profeta consiglia di dare metà dell’eredità alle donne” e non che è obbligatorio “dare solo metà dell’eredità alle donne”. Partendo dal principio che prima del Profeta la donna non aveva diritto a nessuna eredità, stabilire di concederne la metà della quota è già una rivoluzione in sé. Ma, come società civile, oggi sosteniamo anche che la Costituzione tunisina del gennaio 2014 ha in vigore il principio della totale uguaglianza tra cittadini e cittadine, dunque il diritto all’uguaglianza all’eredità è una richiesta lecita.
Che pensa delle dure reazioni al discorso di Essebsi anche in Egitto, dove il vice capo di Al-Azhar ha definito “una decisione che si allontana dalla religione”?
Gli Imam, sia tunisini sia egiziani, urlano come i lupi e gridano alla blasfemia perché andrebbe toccati i privilegi finanziari del maschio, ma non tutti. Va sottolineato che molti, anche egiziani, hanno accolto bene questo disegno di legge e hanno espresso la loro ammirazione per la Tunisia. Tutti sanno che questo percorso è irrinunciabile e che ancora una volta la Tunisia cerca più che può di adattarsi alle società contemporanee in cui la cultura dei diritti umani e delle pari opportunità è la strada migliore per un “mondo migliore possibile”.
Negli anni ha registrato impedimenti o discriminazioni di genere nel suo mondo di lavoro?
Per fortuna, non ricordo di aver avuto qualche problema nell’esercizio delle mie funzioni come direttore dello spazio El teatro o direttore di produzione delle nostre creazioni rappresentate in Tunisia e nel mondo, dall’India al Cile, dall’Argentina al Brasile, dall’Italia al Libano, dalla Siria alla Palestina, all’Algeria. Le donne tunisine hanno invaso il mondo del lavoro culturale fin dagli anni ’70 e hanno imposto il rispetto per le professioni del settore.
Quanto l’accesso al mondo del lavoro ha aiutato le donne tunisine a essere le più libere del mondo arabo-musulmano?
È certo ed evidente che essere indipendenti economicamente grazie alla propria professione dà una certa libertà nelle scelte individuali. Per le donne tunisine, dopo dall’indipendenza nel 1956, l’accesso all’istruzione è stato un obbligo voluto dallo Stato che ha dedicato a questo quasi il 40% del bilancio nazionale, con obbligo di scolarizzazione fino a 16 anni per tutti i cittadini. Nel frattempo, nel mese di aprile del 1972, c’è stata una scelta politica che ha portato alla creazione di poli industriali che hanno dato vita a una classe operaia femminile certamente non privilegiata, ma che ha contribuito al reddito familiare. Il Codice dello Statuto Personale pubblicato il 13 agosto 1956 ha dato diritti ma anche doveri ai cittadini e ha cambiato il volto sociale della Tunisia vietando la poligamia. Bisogna sottolineare che il Codice di Statuto Personale è stato progettato principalmente per creare una nuova unità familiare non tradizionalista, ma ne ha beneficiato molto di più l’intero sistema tunisino. Da qui la distanza culturale tra le tunisine e le altre donne della regione araba e musulmana.