Tratta degli esseri umani, tutta la strada da compiere

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Un mese prima della Giornata Europea dedicata alle vittime della tratta, il 18 ottobre, il Greta, Group of Experts on Action against Trafficking in Human Beings, ha diffuso il primo rapporto sull’Italia. Nonostante il 28 marzo scorso sia entrato in vigore un Decreto legislativo che recepisce la Direttiva Europea 2011/36, relativa alla prevenzione e repressione del traffico di esseri umani, il nostro paese è ancora all’inizio in materia, e deve riassestare il tiro. Per la mancanza di leggi e programmi nazionali più incisivi, per la scarsa attenzione e sensibilizzazione al tema, per la lentezza della giustizia (solo 23 condanne fra il 2010 e il 2011 per altrettanti “trafficanti” di persone).

È vero che il quadro normativo italiano si è evoluto alla luce degli impegni internazionali, con il D. Lgs 24/2014 che ha modificato le disposizioni penali in materia di tratta e riduzione in schiavitù e ha previsto l’adozione di un piano nazionale in materia con la costituzione di un fondo di risarcimento per le vittime. Ma nonostante il coinvolgimento del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, e di associazioni, sindacati e Ong a vari livelli, quello che emerge dal monitoraggio europeo è che manca una percezione collettiva del fenomeno, soprattutto nella società civile.

Le autorità italiane sono in fase di redazione di un piano nazionale strategico, mentre al momento le uniche iniziative sono state portate avanti a livello locale e regionale. Cosa positiva, secondo il rapporto Greta, ma insufficiente per la mancanza di linee guida, priorità e obiettivi definiti e comuni. L’Italia si è sempre indirizzata al contrasto della tratta a scopo sessuale, mentre ha prestato meno attenzione allo sfruttamento del lavoro, che risulta in aumento. A peggiorare la situazione concorre la percezione negativa e criminale dell’immigrazione irregolare, che ha avuto conseguenze dirette sulle vittime di tratta, adulti e minori. L’invito degli osservatori di Greta è che l’Italia si attivi al più presto non solo sul fronte della repressione dei trafficanti, dove pure c’è molto ma migliorare, ma sul fronte della domanda. Dove c’è domanda di manodopera a basso costo e senza diritti, ad esempio, è più facile che ci sia traffico di persone, e conseguente riduzione in schiavitù. E dove non c’è sensibilizzazione, le misure repressive possono portare alla criminalizzazione delle stesse vittime. Basti pensare a tutti i cittadini stranieri impiegati nei campi come lavoratori stagionali (Rapporto Amnesty del 2012).

Il riconoscimento di buone pratiche a livello locale non può sopperire alla mancanza di un quadro di riferimento nazionale, dove il primo scoglio è l’assenza di un meccanismo di identificazione coerente della persona.

Nel febbraio 2013, Greta, come previsto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa, ha trasmesso all’Italia un questionario di valutazione sull’ attuazione del documento sottoscritto, con un termine massimo di risposta fissato al 1 giugno dello stesso anno. A dicembre gli osservatori sono stati in Italia, dove hanno visitato un centro per le vittime di tratta a Lecce ed altre case rifugio ad Adelfia, Martinsicuro e Padova, oltre al Centro di Identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. I delegati hanno incontrato funzionari dei ministeri delle Pari Opportunità e degli Esteri, istituzioni locali in Abruzzo, Puglia, Campania e Veneto, e rappresentanti di Ong, organizzazioni religiose, sindacati e avvocati, oltre a membri dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e l’UNHCR, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

I numeri della tratta in Italia

Come emerge dal rapporto, l’Italia è paese di transito e di destinazione per le vittime di tratta. Ma non ci sono dati sul numero totale di persone coinvolte, perché gli unici numeri certi sono quelli di coloro che hanno beneficiato dei programmi di assistenza: 1955 nel 2011, 1650 nel 2012 e 925 nel 2013, in gran parte donne. Oltre a 63 minori nel 2011, 420 nel 2012 e 650 nel 2013.

La forma di sfruttamento prevalente è quella sessuale (1359 vittime nel 2011, 1067 nel 2012 e 570 nel 2013); al secondo posto per numero di vittime c’è lo sfruttamento del lavoro (377 vittime nel 2011, 296 nel 2012 e 163 nel 2013). Sono state poi identificate 127 vittime di accattonaggio forzato nel 2011, 116 nel 2012 e 72 nel 2013, 31 vittime di servitù domestica nel 2011 e 25 nel 2012. Sei i casi di traffico di organi in due anni. I principali paesi di origine delle vittime di tratta sono la Nigeria, la Romania, il Marocco e la Cina.

Il quadro politico italiano in materia di tratta

L’Italia come membro Ue è vincolata alla Direttiva europea 2011/36 sulla prevenzione e repressione della tratta, alla 2004/81/CE sui permessi di soggiorno per le vittime di tratta, e alla 2004/80/CE per l’indennizzo delle vittime di reato, oltre alla 2012/29/UE sulle norme minime di assistenza a protezione.

Nel 1998 con il Decreto Legislativo 286/19989, art. 18, è stato previsto il rilascio di un permesso di soggiorno speciale per le vittime di tratta, per consentire loro di prendere parte a progetti di integrazione.

Nel 2003 la legge 228 ha introdotto alcune modifiche al Codice Penale negli articoli 600 (esecuzione o possesso di una persona in condizioni di schiavitù o servitù), 601 (tratta di persone) e 602 (acquisto e alienazione di schiavi), in linea con il Protocollo di Palermo.

Il Decreto Legislativo del 4 marzo di attuazione alla direttiva 2011/36/Ue è entrato in vigore lo scorso 28 marzo, e parte dal principio di valutazione individuale della vittima, della sua specifica situazione di minore, anziano, disabile, donna in stato di gravidanza o con figli minori, persona con disturbi psichici, o che abbia subito torture, stupri o violenze psicologiche. Parla della formazione da realizzare all’interno delle amministrazioni competenti in materia, del diritto all’indennizzo delle vittime, corrisposto in 1500 euro per ognuna, e delle modalità di richiesta della somma, ribadisce le competenze del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e le modifiche già apportate al decreto legislativo del 98, nell’art.18. sulla condizione dello straniero in Italia.

Gli accordi bilaterali

Con la Romania era stato avviato un progetto fra il 2008 e il 2012 che aveva coinvolto i ministeri di Bucarest, 10 regioni italiane e alcune Ong, e che prevedeva un piano di protezione e inserimento sociale delle vittime. Un secondo accordo con il paese si chiama Ita.Ro e si basa sull’investigazione congiunta del fenomeno, cosa che ha permesso di arrestate,  dal 2006 ad oggi, 3mila e 200 trafficanti.

Con la Nigeria, il primo paese di provenienza per le vittime di tratta che arrivano in Italia, è stato siglato un primo accordo nel 2003, dalla Direzione Distrettuale Antimafia, un secondo nel 2009 dall’Interpol e un terzo nel 2010 dalla DDA e dalla Nigeria National Agency for Prohibition of Trafficking in Persons (NAPTIP). Programmi anti tratta sono stati predisposti dal Ministero degli Esteri anche in Marocco, Senegal, Afghanistan, Cambogia, Vietnam e Laos.

Le mancanze dell’Italia

Non esiste ad oggi una strategia nazionale applicata su tutto il territorio, che includa percorsi di prevenzione del fenomeno. Ci sono stati progetti di sensibilizzazione realizzati a livello locale, come in Emilia Romagna, dove sono state coinvolte anche le scuole, apprezzati dal Greta, ma ritenuti comunque insufficienti. Un altro elemento che manca all’Italia è un’autority indipendente che possa monitorare il fenomeno e ne studi le implicazioni sociali anche rispetto al fenomeno migratorio; esistono già percorsi di formazione sul tema per i funzionari di Veneto, Abruzzo e Campania, per i giudici e i pubblici ministeri, in collaborazione con il Consiglio Superiore della Magistratura, ma dovrebbero essere estesi, a livello nazionale, a tutti i professionisti che potrebbero entrare in contatto con persone vittime di tratta, dunque ispettori del lavoro, personale di polizia, assistenti sociali.

Non c’è un approccio, secondo Greta, basato sulla centralità dei diritti umani, e sul concetto di tratta come violazione della dignità e libertà fondamentale della persona. La protezione deve comprendere anche la responsabilizzazione delle stesse vittime, in un contesto “partecipativo e non discriminatorio”, come pure misure specifiche in campo socio-economico per evitare che il circuito della tratta si inneschi rapidamente nei canali di ricerca della manodopera. Non esistono in Italia norme specifiche per chi “fa uso” dei servizi forniti da persone vittime di tratta. Per questo le autorità italiane devono lavorare per garantire una via d’uscita alle vittime dalle condizioni di sfruttamento, con un’attenzione particolare ai bambini, che secondo i dati di Save the Children sono stati quasi 22mila ad essere identificati nel nostro paese come vittime di tratta, dal 2000 al 2012.

L’unico fronte di sfruttamento sul quale concretamente si è visto un tentativo di ridurre la domanda è quello sessuale, ma anche in questo caso non si è mai andati oltre alle ordinanze comunali anti prostituzione, che hanno spostato il fenomeno in luoghi chiusi o in altre zone cittadine prima non frequentate, con la conseguente perdita di contatto con le vittime. Per quanto riguarda il lavoro, oggi si condannano i caporali, ma non i datori di lavoro che se ne servono per reclutare e schiavizzare la mano d’opera.

Come ha sottolineato anche l’Asgi, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, la Direttiva Europea è stata recepita solo formalmente dal Governo italiano che “si è limitato a introdurre norme, tra loro slegate, che ne modificano altre già in vigore nel nostro ordinamento, senza ambire alla creazione di una disciplina di sistema”, con l’introduzione ad esempio della non punibilità per un reato commesso sotto costrizione, e della garanzia di tutela a prescindere dalla collaborazione.

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