Articolo pubblicato su Hürriyet Daily News il 26 settembre 2015
Siamo nel bel mezzo di uno dei periodi più contraddittori della storia: ci sono due correnti che si muovono in direzioni opposte e trascinano gli Stati di qua o di là a seconda dei loro diversi fini. I rifugiati si accalcano alle porte degli Stati europei, essi stanno premendo ai confini e allo stesso tempo li confondono. Anche le guerre e il terrorismo – pensiamo in particolare all’ISIS, ovverosia lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria – stanno erodendo le frontiere in Medio Oriente.
In risposta a questa dinamica gli Stati europei hanno cominciato ad aggrapparsi più affannosamente che mai ai propri confini nazionali. E, dopotutto, anche in Medio Oriente, a fronte di Stati che si stanno dissolvendo, altri nuovi Stati prendono vita. Insomma: stanno emergendo anche nuovi confini.
Come possiamo interpretare questo paradosso? I confini stanno sparendo dalle cartine geografiche e dalla storia? O, al contrario, si stanno rafforzando?
I rifugiati stanno rendendo insensati i confini degli Stati Europei giacché l’Europa non riesce a risolvere una crisi di questa portata. Per tutta risposta, i controlli alle frontiere in Germania e Austria stanno aumentando, mentre in Europa dell’Est si erigono nuovi muri a difesa dei confini, in particolare in Ungheria. Gli Stati membri del Trattato di Schengen ne stanno mettendo in discussione le conquiste che sino ad oggi hanno consentito la libertà di movimento tra di essi.
Questa reazione si accompagna ad un rafforzamento dei nazionalismi che nel Vecchio Continente sono in crescita già da qualche tempo. Insomma, la crisi dei migranti tocca l’Europa nel suo punto più vulnerabile, quello del crescente nazionalismo.
Inoltre, in questa circostanza la crisi dei migranti sta mettendo a rischio la più nobile conquista storica dell’Europa, che è quella dell’integrazione.
L’Unione Europea è stata fondata in base al principio secondo cui occorresse rimuovere gli impedimenti fisici tra gli Stati membri, con particolare riguardo per i confini. Negli ultimi vent’anni, 26 paesi hanno consentito la libera circolazione grazie al Trattato di Schengen. In questi giorni, il Ministro degli affari economici tedesco Sigmar Gabriel ha avvertito: “Un’Europa che rafforza i controlli è un’Europa che subìsce un regresso drammatico non solo dal punto di vista politico, ma anche nella sua mentalità”.
Infatti, nel momento in cui l’Europa torna a rafforzare i propri confini, essa rimette altresì in questione la propria identità. Sussiste un ragionevole e diffuso sospetto secondo cui i controlli alle frontiere che adesso sono misure temporanee stiano per tornare ad essere permanenti. In altre parole: a tempo debito l’ordine di Schengen potrebbe essere abbandonato. Pertanto, non stupisce molto che Marine Le Pen, la leader del Front National, il movimento di estrema destra francese, abbia recentemente twittato: “Bye, bye Schengen!”.
Le dinamiche che caratterizzano il Medio Oriente sono abbastanza simili. L’ISIS ha di fatto eroso il confine tra la Siria e l’Iraq. La regione del Kurdistan nel Nord dell’Iraq è sempre più lontana dal controllo di Baghdad. Di fatto, la Siria è oggi divisa in tre parti: Se non bastasse, i confini in questa regione sono ulteriormente confusi dalle migrazioni ‘interne’.
Le frontiere sembrano perdere ogni significato giacché i vecchi confini su cui la Francia e la Gran Bretagna si erano accordate nel lontano 1916 col Trattato di Sykes-Picot si stanno gradualmente erodendo. Se la Siria si sta dissolvendo, stanno invece prendendo vita tre diversi Stati, di cui uno Sunnita, uno Alevita e uno Curdo. Anche il Nord dell’Iraq è sottoposto a queste dinamiche.
In breve, gli Stati non spariscono, ma al contrario si moltiplicano. Quanto più i confini si sfumano, tanto più i popoli sembrano stringersi intorno a essi.
In ogni caso, vi è una grande sfida cui gli Stati sono attualmente esposti: sebbene essi mantengano la propria esistenza e rilevanza, nondimeno essi perdono controllo sul loro territorio perché essi non sono più in grado di esercitare la principale delle funzioni per cui sono sorti, vale a dire la protezione della propria popolazione dalle minacce esterne tra cui il terrore, la violenza ed il radicalismo.
E allora come devono fare gli Stati a confrontarsi con questa nuova realtà?
Ekmeleddin Ihsanoglu, già Segretario generale dell’OIC (Organizzazione per la Cooperazione Islamica) nel periodo 2004-2014, ha suggerito una “panacea” in un suo recente intervento su Turkish Policy Quarterly. Secondo Ihsanoglu, gli Stati mediorientali devono smetterla di limitarsi a imitare il sistema statuale europeo, che si è costituito in seguito alla Pace di Vestfalia nel corso del XVI secolo: “Piuttosto sarebbe meglio seguire il modello degli accordi che gli Stati Europei hanno stretto dopo la Seconda Guerra Mondiale” ha messo in luce Ihsanoglu, riferendosi all’Unione Europea. Insomma, a dire di Ihsanoglu, occorre che i confini siano resi più flessibili anziché più resistenti; essi dovrebbero divenire linee di connessione e cooperazione e non già linee di separazione e conflitto. Egli ha compreso come l’integrazione apporti non soltanto vantaggi sul piano dello sviluppo economico, ma come al contempo questo processo svolga un’azione di prevenzione della rivalità e della conflittualità.
Sembra che gli Stati dell’Ex Jugoslavia abbiano ben compreso la lezione: se è vero che negli anni Novanta la disgregazione della Jugoslavia causò circa centoquarantamila morti e la successiva costituzione di sette nuovi Stati, oggi tutti questi Stati stanno tentando di perseguire una comune strada di integrazione sotto l’egida delle istituzioni dell’Unione Europea.
È abbastanza chiaro: difendi i confini e vai avanti.
Traduzione dall’inglese di Mattia Baglieri
Vai a www.resetdoc.org