Quinn Slobodian su distopie tecno-feudali e nuova destra globale

Quinn Slobodian

Stiamo assistendo all’ascesa di un nuovo ordine mondiale, guidato non dai governi, ma da eserciti privati, magnati della tecnologia e feudi aziendali? Quello che sembra un racconto distopico potrebbe in realtà riflettere il sogno di una frangia anarcocapitalista oggi sempre più vicina ai centri del potere, soprattutto nelle fila della nuova destra in ascesa. Ma si tratta davvero di una svolta “tecno-feudale” o di qualcosa di più frammentato e caotico? Per capire meglio le forze in gioco – le loro ambizioni, strategie e contraddizioni – Reset ha intervistato con lo storico Quinn Slobodian, autore di Crack-Up Capitalism: Market Radicals and the Dream of a World without Democracy.

 

L’ordine politico ed economico globale è entrato in un periodo di profonda crisi. La globalizzazione neoliberale degli anni ’90 è finita?

La premessa fondamentale del neoliberalismo è che la libertà economica è prioritaria a quella politica. Nel corso del XX secolo, ciò ha significato per lo più conciliare i diritti del capitale con l’estensione del suffragio universale e della democrazia rappresentativa: per molti anni, l’ordine economico multilaterale che è risultato da questa tendenza è stato spesso definito “globalizzazione neoliberale”.

Negli ultimi decenni del secolo, però, hanno cominciato ad affermarsi modelli non democratici di capitalismo. La Cina, innanzitutto, ma anche gli Stati del Golfo, come Dubai e l’Arabia Saudita, hanno dimostrato che un capitalismo autocratico può essere più efficace di qualsiasi tentativo di contenere e disciplinare la democrazia.

Durante l’amministrazione Biden si è cercato di superare quel tipo di globalizzazione neoliberale da sinistra. Ma oggi è impossibile ignorare che il progetto di Trump lo sta ridefinendo da destra. Sembra infatti avvicinarsi sempre più ai modelli capitalistici autocratici di Russia, Arabia Saudita e Cina, senza più sentire il bisogno di fare gesti anche solo simbolici verso le norme liberali democratiche, per non parlare della governance multilaterale.

Le categorie tradizionali come “neoliberalismo” potrebbero ormai essere poco più utili, per interpretare questi cambiamenti, delle etichette “fascismo” o “populismo.”

 

Accanto a termini come “neoliberalismo”, sentiamo sempre più spesso parlare di “anarcocapitalismo” e “libertarismo”. Sono queste lenti utili per comprendere le trasformazioni odierne?

Per molto tempo l’anarcocapitalismo è rimasto un’ideologia marginale all’interno del più ampio quadro neoliberale. La maggior parte degli intellettuali neoliberali riteneva che lo Stato svolgesse un ruolo essenziale nella tutela dei diritti del capitale, nel mantenimento dell’ordine pubblico, nell’applicazione dei contratti e nella creazione di mercati competitivi. Pensatori come Friedrich Hayek arrivavano persino a sostenere la necessità di una rete di sicurezza sociale rudimentale. Un piccolo gruppo di radicali – tra cui Murray Rothbard, Milton Friedman e suo figlio David Friedman – promuoveva però un’alternativa più estrema: eliminare del tutto lo Stato e sostituirlo con fornitori di servizi privati. Pur attivi nei circoli intellettuali libertari, questi pensatori sono stati spesso liquidati come estremisti privi di un progetto praticabile per realizzare la loro visione nel panorama politico moderno.

Negli ultimi anni, tuttavia, la fusione tra ottimismo tecnologico e libertarismo estremo ha portato un numero crescente di persone a credere che una forma di governance completamente privatizzata possa diventare realtà. Tra le figure chiave di questo movimento figurano Hans-Hermann Hoppe, allievo di Rothbard che ha esercitato un’influenza sulla cosiddetta “Nuova Destra”, e Curtis Yarvin, che, pur non essendo un libertario, propone di sostituire gli Stati-nazione con una forma di monarchia aziendale.

 

Anarcocapitalismo e libertarismo – un tempo correnti marginali all’interno del pensiero neoliberale – stanno diventando sempre più influenti, soprattutto nell’estrema destra statunitense. Quali altre forze ideologiche la stanno plasmando oggi?

Per comprendere l’evoluzione dell’estrema destra negli Stati Uniti, dobbiamo riconoscerla come una convergenza dinamica di ideologie politiche che, fino a poco tempo fa, erano lontane dal potere. Ciò è evidente nel modo in cui Elon Musk ha preso il controllo di istituzioni chiave, fondendo elementi del managerialismo – la convinzione che lo Stato debba essere gestito come un’azienda per ottenere efficienza – con la narrazione dei think tank cristiano-conservatori, in particolare della Heritage Foundation, che vede lo Stato amministrativo come una forza parassitaria impegnata a imporre politiche che istituirebbero una sorta di dittatura immaginaria della “sinistra radicale marxista”, fatta di fluidità di genere, diritti riproduttivi e critica antirazzista all’eccezionalismo americano.

Questo movimento incorpora anche un’ala “accelerazionista”, influenzata dall’anarcocapitalismo e da altre ideologie diffuse online, che prevede lo smantellamento totale dello Stato. Tutte queste tendenze si possono già intravedere in azione persino in un progetto come DOGE. Per allargare il discorso all’intero gabinetto Trump, ci sono ceppi di nazional-conservatorismo nativista, che ruota attorno alla comunità etnica del “sangue e suolo” e all’odio per gli immigrati non bianchi. Ci sono anche operatori di Wall Street della vecchia guardia e nuovi arrivati del mondo cripto, in cerca di modi per accaparrarsi una fetta della torta trumpiana. Se a questo si aggiunge l’ala più tecno-sviluppista di Sam Altman e altri che si concentrano sull’intelligenza artificiale, si ottiene un miscuglio davvero tossico. E la possibilità di ricondurre tutto questo a un singolo “ismo” o a un’ideologia coerente sembra alquanto remota.

 

In tutto il mondo, l’estrema destra sembra essere un insieme eterogeneo di correnti e prospettive. Ma c’è una direzione comune?

I movimenti dell’estrema destra a livello globale riflettono combinazioni diverse di idee. Alcuni tendono ad abbracciare lo Stato come garante dell’ordine, mentre altri esaltano una visione di competizione sociale darwiniana, spietata e senza Stato. Per ora sembrano agire in modo tattico più che ideologico, adattando le loro strategie al mutare delle condizioni. In Europa, ad esempio, l’estrema destra è passata dal sostenere la secessione e l’uscita dall’Unione Europea al tentativo di cooptare le istituzioni per i propri scopi. Più che cercare un’unica matrice ideologica nei testi di pensatori specifici, è più utile esaminare il rapporto in evoluzione tra i partiti di estrema destra, lo Stato e le forze extraparlamentari che mobilitano il consenso, intimidiscono gli oppositori e operano al di fuori dei limiti della legalità.

 

Il sostegno delle Big Tech all’estrema destra, soprattutto negli Stati Uniti, è diventato sempre più visibile. Alcuni sostengono che le élite tecnologiche sono i veri governanti del Paese, se non del mondo. Viviamo in un’epoca “tecno-feudale”?

Ci sono valide interpretazioni del neo- o tecno-feudalesimo che circolano sia a destra che a sinistra. È vero che i settori più redditizi dell’economia statunitense si basano più sulla rendita che sulla produzione. È anche vero che il sistema di finanziamento delle campagne elettorali ha reso l’influenza di un piccolo gruppo di individui ricchi sproporzionatamente potente rispetto ai voti del pubblico in generale. Queste dinamiche assomigliano ad aspetti dei primi ordini politici moderni o premoderni.

Ma è interessante notare che figure come Steve Bannon abbiano adottato un’interpretazione tecno-feudale per attaccare le élite della Silicon Valley che si contendono il favore di Trump. Anche solo per questo vale la pena chiedersi quanto queste letture descrivano la realtà e quanto invece la confondano.

 

Il “Neo-medievalismo” era il sogno di alcuni anarcocapitalisti: non sono quindi ancora riusciti a realizzarlo?

Alcuni anarcocapitalisti immaginavano un mosaico frammentato di microstati in competizione per le risorse. Ma nella realtà, negli Stati Uniti come altrove, esistono ancora strati di società civile e strutture giuridiche che impediscono il pieno realizzarsi di questo scenario. È invece più probabile che ci si trovi a fare i conti con forme intermedie di disorganizzazione politica, decentramento e lotta geoeconomica senza esclusione di colpi, al di sotto di un vero e proprio “Neo-medievalismo”. Si pensi alla mossa degli Stati Uniti sulla Groenlandia e Panama: si tratta di un passo verso un futuristico governo privatizzato per enclave o di un ritorno alla diplomazia delle cannoniere e all’annessione territoriale del XIX secolo? È probabile che prenda spunto da entrambi.

Allo stesso tempo, uno dei principali ostacoli al confronto con l’estrema destra è l’incapacità del discorso politico tradizionale di riconoscere la fusione di vecchie e nuove ideologie in gioco. Abbiamo bisogno di nuovi apparati concettuali in grado di cogliere sia la crescente influenza del potere privato sia la radicale incertezza che incombe sul futuro della governance.

 

 

Immagine di copertina: alcuni manifestanti durante le proteste anti Trump “Hands Off!”, “Giù le mani” a Huntington Beach, California, il 5 aprile 2025. (Foto di Frederic J. Brown / AFP)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *