Con Krzysztof Michalski è scomparso, a 64 anni, il promotore di uno dei più dinamici centri di cultura europea. Era polacco di Varsavia, ma aveva un centro di gravità a Vienna, nell’Istituto delle scienze umane, di cui era il fondatore e il rettore, e divideva la sua vita tra queste due città e una terza, Boston, dove insegnava filosofia.
Nel suo curriculum accademico non se ne parla, ma la stagione che lo ha reso noto a tutto il mondo, nonostante la grande discrezione con la quale circondava il tema, è stata quella che lo ha visto a fianco di Giovanni Paolo II come organizzatore e regista dei seminari filosofici di Castelgandolfo, che il Papa volle per diversi anni e che furono improntati a una grande apertura pluralista verso una ricerca filosofica disinibita, alla quale partecipavano anche non credenti come Leszek Kolakowski. I temi fondamentali di quegli incontri erano la cultura della libertà, l’analisi critica del marxismo, l’ermeneutica gadameriana (e Gadamer partecipò personalmente agli incontri fino a che ne fu fisicamente in grado), la conoscenza reciproca e il dialogo tra le culture. Il confronto tra le diverse prospettive della cultura umana dal confucianesimo all’Islam, dal buddhismo fino al secolarismo delle contemporanee democrazie liberali impegnò questi seminari negli anni Novanta.
Maturò in quelle circostanze il libro basato sulle conversazioni che Wojtyla ebbe con i due «amici» polacchi, un sacerdote Josef Tischner e, il filosofo Michalski. Metto «amici» tra virgolette perché Krzysztof, nonostante l’evidenza della loro frequentazione e una certa complicità di conterranei, se ne scansava sempre accuratamente. Chi non esitava a sottolinearla era Gadamer, che negli ultimi anni della sua vita aveva tratto dalla esperienza di Castelgandolfo un ulteriore impulso ad attribuire una funzione di grande portata al dialogo tra le religioni. L’opera, Memoria e Identità (Rizzoli), l’ultimo libro di Giovanni Paolo II, era dedicata a una riflessione di filosofia, o teologia, della storia, imperniata sul Novecento, il nazismo, il comunismo e la democrazia, e sarebbe stata pubblicata solo diversi anni dopo, nel 2003, perché il Papa la volle rendere pubblica a maggiore distanza dalla caduta del Muro di Berlino.
La vita di Michalski, che, laureato a Varsavia, ha continuato gli studi e poi il lavoro scientifico in Germania e in Inghilterra e poi a Vienna, ha seguito una parabola che è coincisa con la liberazione dal comunismo dell’Est Europa e ha accompagnato l’emergere della classe dirigente degli Havel, dei Michnik, che avrebbe guidato quei paesi ad entrare nell’Unione europea. Negli anni del dibattito sull’allargamento dell’Unione guidò il Gruppo di riflessione sulla dimensione spirituale e culturale dell’Europa e produsse ricerche sulla «Condizioni della solidarietà europea» e sulla «Religione in Europa». Una parte di questi lavori è stata pubblicata da Reset nel volume Europa laica e puzzle religioso (2005, Libri di Reset-Marsilio, a cura dello stesso Michalski e Nina zu Fürstenberg).
Krzysztof ha pubblicato negli anni lavori filosofici di rilievo su Husserl, Heidegger e su Nietzsche, (su quest’ultimo in inglese The Flame of Eternity, Princeton 2011) ed ha dedicato molte energie all’Istituto di Vienna, consolidandone la fisionomia di centro della riflessione politica e filosofica dedicato alle istituzioni europee, ai problemi della democrazia, al rapporto religione-politica, al pluralismo culturale. Nel 2004 ha ottenuto in Germania il premio Theodor Heuss, con una laudatio di Kurt Biedenkopf. Prima di lui l’avevano avuto Ralf Dahrendorf, Hans-Dietrich Genscher, Günter Grass, Jürgen Habermas, Vaclav Havel, Helmut Schmidt e Carl Friedrich von Weizsaecker. Michalski è stato un protagonista del dialogo Est Ovest nel senso più ampio. Con lui scompare un amico di Reset-Dialogues on Civilizations, l’associazione nata nel 2004 con obiettivi che con Michalski avevamo in comune; perdiamo un membro autorevole e un consigliere prezioso del nostro comitato scientifico.