Da Reset-Dialogues on Civilizations
SARAJEVO – Il corpo del ragazzo che il 28 giugno di un secolo fa mise fine alle vite dell’arciduca Francesco Ferdinando e della sua consorte Sofia, dando l’avvio all’escalation che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, oggi giace a Ciglane, sobborgo nel centro di Sarajevo. È all’interno di una piccola cappella che non viene segnalata, nemmeno dalle guide turistiche. Una scritta, in cirillico, recita: “beato colui che vive per sempre, perché non è nato invano”.
Fu un soldato cecoslovacco, che assistette alla sepoltura del corpo, a rivelare alle autorità di Belgrado dove erano state interrate le spoglie di Gavrilo Princip. Dopo averlo arrestato, gli austriaci lo avevano rinchiuso a Theresienstadt, in Repubblica Ceca: troppo giovane per essere condannato a morte (Princip aveva diciannove anni) venne lasciato a morire in carcere, di stenti e tubercolosi. Spirò quando la guerra stava per volgere al termine e le autorità asburgiche, impaurite all’idea che il nazionalismo jugoslavo potesse fare del luogo una meta di pellegrinaggio, seppellirono il cadavere in uno spiazzo anonimo. Ma nel 1920, quando i territori occupati dall’impero austriaco confluirono a formare il Regno di serbi, croati e sloveni (stara Jugoslavija, la vecchia Jugoslavia, o prva Jugoslavija, la prima, come la chiamano qui) i resti di Gavrilo furono riesumati e trasportati a Sarajevo, dove vennero sepolti con cerimonia solenne.
Un destino beffardo, quello di Princip. Serbo nato nel paesino bosniaco di Obljaj, quando ancora questo faceva parte del territorio controllato dagli Asburgo. Una località sperduta, ai margini della geografia e della storia, che Gavrilo lasciò per trasferirsi, come studente, a Sarajevo e Belgrado, prima di prendere la decisione di tornare sui propri passi e di compiere, la mattina del 28 giugno 1914, l’assassinio che rappresentò lo spartiacque della storia del novecento. “Il delitto politico perfetto”, lo definì all’epoca Sir Edward Grey; perfetto proprio perché “le sue reali motivazioni, e le sue dinamiche, rimarranno per sempre sconosciute”. E quindi inevitabilmente controverso.
È vero ancora oggi, a cent’anni di distanza, mentre l’Europa si appresta a commemorare nella capitale bosniaca il centennale dall’inizio della prima guerra mondiale. Attorno alla figura di Princip continuano a scontrarsi ideologie e interpretazioni della storia speculari. Durante la prima Jugoslavia, il governo di Belgrado fece erigere un monumento nei pressi dell’incrocio dove risuonarono i colpi di pistola, acclamando Princip come patriota. Una placca commemorativa venne posta nel luogo dell’attentato e vi rimase fino al 1940: Hitler, dopo avere invaso i Balcani e occupato Sarajevo, se la fece consegnare come regalo di compleanno.
Negli ultimi cent’anni, il destino dell’attentatore è stato legato a quello della Jugoslavia. E qui occorre chiarire una delle contraddizioni più gravi della costruzione jugoslava, che poi è il dilemma attorno al quale ruota anche la figura di Princip. Quando l’erede al trono degli Asburgo viene ucciso, il territorio che successivamente è assegnato alla sovranità di Belgrado è suddiviso tra Austria-Ungheria (che controlla anche la Bosnia Erzegovina) e Regno di Serbia. Per gran parte dei sostenitori dell’unità degli slavi del sud, è la Serbia l’unica speranza di realizzare uno stato unitario, in cui “Croati, Serbi e Sloveni” possano convivere indipendenti: alla Serbia in tanti cominciano a guardare, letteralmente, come al Piemonte jugoslavo. A Belgrado circolano anche fogli nazionalisti chiamati proprio ‘Pijemont’ (Il Piemonte).
Fintanto che una Jugoslavia è esistita, Gavrilo e la sua memoria hanno avuto una propria patria. Anche per Tito il giovane Princip è un ‘narodni heroji’, un eroe del popolo. Sul luogo dell’attentato ricompaiono le targhe e viene aperto un museo ad egli dedicato. Il vicino ponte, che oggi si chiama semplicemente ponte latino, viene ribattezzato principov most, il ponte di Princip. Un altro museo è allestito nella sua casa natale, a Obljaj: “a visitarlo veniva anche gente dall’estero”, dice oggi uno dei suoi pronipoti, Mile Princip, che ha cinquant’anni. “Alla memoria di Gavrilo si dedicavano scuole, vie, piazze”.
Ma Gavrilo non è solo un fervente jugoslavo. Le sue origini sono serbe. L’uccisione di Francesco Ferdinando avviene il 28 giugno, giornata nella quale i Serbi celebrano vidovdan, il giorno di San Vito, anniversario della sconfitta di Kosovo Polje patita contro i Turchi. La battaglia, avvenuta nel 1389, segnò la fine del regno di Serbia e l’inizio del dominio ottomano sulla regione. Gavrilo, pur non rivendicando mai il proprio gesto come un atto in difesa dell’idea di una ‘Grande Serbia’, diventa quindi anche un simbolo per i nazionalisti serbi. Croati e musulmani di Bosnia, specialmente dopo che i ‘cetnici’ prenderanno d’assedio Sarajevo, ripudieranno qualsiasi legame con Princip. Che, appunto, viene da loro derubricato alla voce di “terrorista”. Durante gli anni novanta, in pieno conflitto, la sua tomba viene riutilizzata come gabinetto pubblico. “From hero to zero”, da eroe a zero, sintetizza in modo esemplare Tim Butcher, corrispondente di guerra del Daily Telegraph, che a Princip ha dedicato recentemente una monografia. La casa natale dell’ex ‘narodni heroj’ viene data alle fiamme dai paramilitari croati.
“La figura storica di Gavrilo Princip andrebbe studiata con oggettività, sulla base dei documenti storici”, è l’ammonimento di Adil Kulenovic, il presidente del circolo d’intellettuali sarajevesi ‘Krug 99’: “altrimenti, il rischio è quello di manipolarla sulla base delle nostre ideologie. Sarebbe bello, un domani, che a Sarajevo possa esserci un monumento per entrambi, Gavrilo e Francesco Ferdinando”. Per ora, tuttavia, in Bosnia Erzegovina l’eco di quel 28 giugno 1914 continua a dividere. Da una parte Croati e Bosgnacco-musulmani rispolverano le proprie simpatie per il dominio asburgico e per Vienna, cercando con ciò di corroborare la propria pretesa a essere considerati ‘europei’. Dall’altra i Serbi di Bosnia, in primo luogo Milorad Dodik, il presidente di Republika Srpska, l’entità serba creata nel paese con gli accordi di pace di Dayton, che ha già fatto sapere che “non sarà presente” alle commemorazioni di questo centenario. Come non ci saranno, rifiutando l’invito ricevuto da Sarajevo, il presidente del consiglio serbo Aleksandar Vucic e il presidente della repubblica, Tomislav Nikolic. “Non possiamo recarci in un luogo dove il nostro popolo viene messo sul banco degli imputati”, ha tentato di giustificarsi Nikolic. E non è stato chiaro se si stesse riferendo all’assassinio di Francesco Ferdinando, oppure ai crimini commessi dalle truppe guidate da Ratko Mladic negli anni novanta.
Disertate le commemorazioni di Sarajevo, i Serbi di Bosnia e quelli di Belgrado organizzeranno una cerimonia separata, per festeggiare vidovdan. Lo faranno a Visegrad, in un sobborgo creato artificialmente dal regista Emir Kusturica in onore dello scrittore premio Nobel Ivo Andric, in una delle regioni dove più feroce fu la pulizia etnica nei confronti dei non-serbi durante l’ultima guerra.
Terrorista e patriota, serbo e jugoslavo, Gavrilo Princip è capace di dividere anche all’interno della sua stessa famiglia. Mile Princip è oggi un fervente patriota serbo. Si richiama al suo antenato per difendere “la nostra tradizione e la nostra storia in quanto serbi, la nostra comune fede ortodossa”. Scrive poesie, fa opera, dice, “di istruzione”. In un recente documentario realizzato da una televisione olandese, lo si vede camminare e conversare insieme a sua zia, Svetlana Princip. Durante l’assedio la donna rimase in città, per condividere la sorte degli abitanti a prescindere dalla loro etnia e difendere il museo dedicato al suo antenato, nel quale la sua famiglia aveva lavorato per anni: “sono sempre stata orgogliosa dell’opera di Gavrilo”, afferma Svetlana, “anche se il valore dei suoi atti viene negato”. Per lei rimanere nella Sarajevo bombardata, difendere il valore della coesistenza, era forse l’unico modo per conservare la memoria di Princip, patriota jugoslavo. Nel frattempo suo nipote Mile aveva scelto di rimanere fedele a Gavrilo, l’eroe di vidovdan, il vendicatore dei Serbi contro l’oppressore. Ed era già salito sulle montagne, per combattere al fianco di cecchini e artiglieri nel nome della grande Serbia.
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