Nel panorama politico europeo comincia a delinearsi all’orizzonte un appuntamento di primaria importanza. Tra poco più di sei mesi le elettrici e gli elettori polacchi che si recheranno alle urne per scegliere il nuovo parlamento si troveranno di fronte a un bivio: confermare per la terza volta consecutiva il mandato di governo ai conservatori di Diritto e Giustizia (PiS) – si tratterebbe di un inedito assoluto nella storia della Polonia democratica – oppure imboccare la strada del cambiamento dando fiducia alle forze liberali e progressiste che compongono il variegato campo dell’opposizione. È ancora presto, forse, per poter affermare con buona certezza come andranno le cose, ma si può ben dire che ogni tornata elettorale che si tiene in autunno, si decide in realtà in primavera, quindi è quanto mai importante capire com’è adesso lo stato dell’arte.
Le elezioni: PiS in vantaggio ma col terzo incomodo
Innanzitutto le regole. Il sistema elettorale polacco prevede che il Sejm (la camera bassa del Parlamento), composto da 460 membri, venga scelto tramite sistema proporzionale. Il Senato, che ha minori poteri, viene invece scelto con il maggioritario. La soglia di sbarramento è del 5 per cento per i partiti che si presentano singolarmente, e dell’8 per cento per le coalizioni.
Gli ultimi sondaggi indicano che PiS è ancora il partito favorito, trovandosi in una forbice tra il 33 per cento e il 36 per cento delle preferenze. Coalizione Civica (KO), il principale partito di opposizione guidato dall’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, segue tra il 23,5 e il 26 per cento. Secondo questo scenario PiS dovrebbe avere gioco facile, ma bisogna tenere conto della possibilità, non semplice al momento, di un accordo tra le diverse anime dell’opposizione democratica. Oltre ai due partiti principali, entrerebbero in Parlamento anche Nuova Sinistra (Nowa Lewica) e Polonia 2050 (Polska 2050). Poco sopra lo sbarramento del 5 per cento viene dato anche il Partito Popolare (PSL). La forza complessiva di questi quattro partiti sarebbe superiore al 40 per cento e Donald Tusk ha indicato la lista unica come l’unico modo per poter vincere la tornata elettorale. Tuttavia al momento ci sono ampie divergenze tra i partiti, soprattutto tra lo stesso Tusk e il leader di Polska 2050 Szymon Hołownia.
Il vero outsider rischia però di arrivare da destra. Si tratta di Confederazione (Konfederacja), partito di destra radicale che i sondaggi danno vicino al 12 per cento. Si tratta di una crescita travolgente, per un partito che qualche mese fa languiva intorno alla soglia di sbarramento. Konfederacja è un rassemblement di tre partiti: Nuova Speranza (Nowa Nadzieja), Movimento Nazionale (Ruch Narodowy) e Confederazione della Corona Polacca (Konfederacja Korony Polskiej). Fino a poco tempo fa comprendeva anche il partito dei Libertari (Wolnościowcy), che però è fuoriuscito. In termini ideologici si posiziona ancora più a destra rispetto a PiS, da cui si distingue per una concezione molto più liberista in campo economico.
La crescita di Konfederacja è impressionante, anche considerando il fatto che si tratta dell’unico partito a essersi schierato contro il sostegno all’Ucraina a seguito dell’invasione russa. Alcune esternazioni apertamente russofile del vecchio leader Janusz Korwin-Mikke, avevano fatto precipitare i consensi nei primi mesi di guerra. Negli ultimi mesi però il partito si è rifatto il trucco, mettendo in secondo piano le personalità che procuravano più imbarazzo e lanciando la linea giovane. Il partito attualmente è guidato da Krzysztof Bosak, già candidato alle presidenziali 2020 e dal trentacinquenne imprenditore Sławomir Mentzen. Allo stesso tempo il focus politico è stato spostato sull’economia, che si contrappone al programma della destra sociale di PiS. Queste due mosse hanno permesso al partito di diventare un polo di attrazione per i liberali più duri e puri, soprattutto tra i più giovani.
La crescita di Konfederacja ha fatto scattare il campanello d’allarme nell’opposizione che ha ricordato come Mentzen durante un congresso di partito del 2019 avesse dichiarato: “Non vogliamo gli ebrei, gli omosessuali, l’aborto, l’Unione europea e le tasse”. “Dichiarazioni estrapolate dal contesto”, è stata la replica del diretto interessato.
Inflazione, crisi del grano, crisi politica
La crescita di Konfederacja al momento non sembra impensierire troppo l’establishment di PiS. Il governo guidato da Mateusz Morawiecki è uscito indenne da quello che avrebbe potuto essere un inverno economicamente catastrofico a causa della crisi dell’energia e dell’alto tasso di inflazione. Il prezzo del gas è in forte calo, e permette di guardare con più fiducia al futuro. In politica estera ha continuato a rafforzarsi l’asse con gli Stati Uniti suggellato dalla visita – la seconda in un anno – di Joe Biden. Konfederacja a parte, l’opinione pubblica appoggia trasversalmente il sostegno all’Ucraina, dove la Polonia è sempre più in prima linea sul fronte militare dopo la consegna dei Mig29 e il ruolo centrale avuto sulla questione dei carri armati Leopard 2. L’inflazione continua a rappresentare invece un’incognita. A febbraio ha raggiunto quota 18,2 per cento, mai così alta dal 1997. Secondo gli analisti dovrebbe trattarsi del picco, ma la discesa verso l’inflazione a una cifra non sarà veloce. Il più grande problema contingente in questo momento è rappresentato dalla crisi del grano, che vede gli agricoltori polacchi in stato di agitazione da settimane e che ha portato alla dimissioni del ministro dell’Agricoltura Henryk Kowalczyk.
Il problema ha avuto origine un anno fa, quando per aggirare il blocco navale russo sul grano e i cereali destinati all’Africa e al Medio Oriente, la Polonia, assieme ad altri Paesi della regione, aveva accettato di stoccare le derrate provenienti dall’Ucraina e di riesportarle fuori dall’Europa. Allo stesso tempo, l’Unione europea aveva tagliato i dazi doganali e le tariffe di importazione, rendendo particolarmente conveniente il prezzo del grano ucraino. Problemi di sovraccarico nei porti del Paese hanno impedito di procedere velocemente alla riesportazione dei cereali che quindi hanno cominciato ad accumularsi nei magazzini. Da lì è successo quello che non sarebbe dovuto accadere e il grano ucraino ha invaso il mercato locale.
Varsavia ha cercato di scaricare le colpe sull’Unione europea, che da parte sua ha predisposto un rimborso di 56 milioni di euro (quasi 30 milioni per la sola Polonia) per chi è stato danneggiato. Troppo poco secondo gli agricoltori, rappresentati dal sindacato AgroUnia, che lamentano perdite per due miliardi di euro. Il governo è finito in ogni caso nell’occhio del ciclone – il Commissario europeo all’agricoltura, Janusz Wojciechowski è un uomo di PiS – e le proteste hanno costretto all’avvicendamento al ministero dell’Agricoltura. Il governo, su iniziativa del nuovo ministro Robert Telus, ha sospeso le importazioni di grano fino al 30 giugno, mentre è stato raggiunto un accordo con la controparte ucraina per garantirne il transito verso altri Paesi. Le proteste al momento si sono placate, ma una loro eventuale e non improbabile ripresa potrebbe diventare un grosso problema in vista delle elezioni autunnali. Le campagne sono tradizionalmente il maggiore bacino elettorale di PiS e Michał Kołodziejczak, leader di AgroUnia, ha già annunciato di voler portare alle elezioni un partito che rappresenti le istanze del sindacato.
I fondi bloccati
Nelle ultime settimane è finito in secondo piano, più per volontà del governo che altro, il tema del blocco del Recovery Fund che la Commissione Ue ha imposto alla Polonia a causa del mancato rispetto dello stato di diritto in materia di giustizia. La situazione pareva essersi sbloccata a gennaio quando PiS aveva portato sui tavoli del parlamento una riforma del sistema giudiziario, che secondo i suoi promotori, avrebbe permesso al Paese di accedere ai 36 miliardi di euro che le spettano. Il disegno di legge, che ha provocato una vera e propria spaccatura nell’opposizione, non ha suscitato entusiasmi unanimi nemmeno nella maggioranza e tra gli stessi magistrati, che hanno espresso seri dubbi sulla costituzionalità di una legge che avrebbe modificato le competenze della Corte suprema amministrativa.
Il meno convinto di tutti è stato il presidente Andrzej Duda – promotore peraltro di una precedente riforma giudicata insufficiente da Bruxelles – che chiamato a porre la sua firma, ha deciso di chiedere il parere del Tribunale costituzionale. Quest’organo ha però perso danni la sua indipendenza dall’esecutivo e negli ultimi anni si è reso protagonista di sentenze molto discusse. Recentemente la Polonia è stata deferita alla Corte di Giustizia europea per quella relativa alla supremazia della Costituzione nazionale rispetto ai trattati europei. Qualsiasi decisione del Tribunale rischia quindi di aver poco valore agli occhi della Commissione.
Il problema principale è proprio arrivare a una decisione, visto che lo stesso Tribunale sta vivendo un momento particolarmente complesso. Una parte dei giudici, vicina al ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro, non riconosce più l’autorità della presidente Julia Przyłębska. Il suo mandato, sostengono, sarebbe scaduto il 20 dicembre 2022, sei anni dopo il suo insediamento. Przyłębska, una parte di giudici “lealisti” e i membri del governo affermano invece che non esista un termine per l’incarico di presidente e che questo finirà nel momento in cui scadrà il suo incarico di giudice del Tribunale, quindi alla fine del 2024. Per poter procedere, il numero minimo di giudici che devono essere presenti in udienza è 11 sui 15 complessivi. I giudici ribelli tuttavia si rifiutano di presenziare, affermando che ciò sarebbe contro la legge, e questo rende molto difficile il lavoro del Tribunale. La prossima convocazione per discutere della riforma della Giustizia è stata fissata per il 30 maggio. Se il minimo numero legale non verrà raggiunto, i fondi europei rischiano di restare su un binario morto.
Foto di copertina: un seggio elettorale polacco (foto di Aleksander Kalka/NurPhoto via Afp).