Da Reset-Dialogues on Civilizations
A questo mondo, nel quale milioni di persone vivono tuttora al centro di conflitti insensati e anche in luoghi un tempo considerati sicuri si avverte un senso generale di paura, Bergoglio ha detto che “non c’è vera pace se non a partire da una visione dell’uomo che sappia promuoverne lo sviluppo integrale, tenendo conto della sua dignità trascendente, poiché «lo sviluppo è il nuovo nome della pace», come ricordava il beato Paolo VI.”
E’ stato proprio il papa della Populorum Progressio il principale punto di riferimento di Papa Francesco nel discorso che ha rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Un discorso che ha offerto a questo tempo segnato dalla paura e dalla cultura dell’odio, la cultura, tradotta in termini politico-diplomatici, della misericordia , “basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli.”
A poche ore dalla conferenza stampa con cui Donald Trump si presenterà al mondo prima del suo insediamento, papa Francesco ha indicato una visione ferma e chiarissima del cammino da seguire per garantire davvero “pace e sicurezza” davanti a enormi sfide planetarie. Ovviamente ha preso le mosse dal terrorismo religiosamente ispirato. L’esperienza religiosa dovrebbe aprire agli altri, ma purtroppo a volte non è stato e non è così: infatti, come ci insegna la storia e il tempo presente, “può essere usata a pretesto di chiusure, emarginazioni e violenze”. Per dare i termini dell’enormità della sfida odierna gli è bastato fare l’elenco dei paesi dove il terrorismo di matrice fondamentalista ha mietuto nel corso dell’anno passato numerose vittime: “Afghanistan, Bangladesh, Belgio, Burkina Faso, Egitto, Francia, Germania, Giordania, Iraq, Nigeria, Pakistan, Stati Uniti d’America, Tunisia e Turchia.” Con questo elenco ha messo finalmente insieme tutti gli aggrediti, indicando l’esigenza non di dividersi, ma di unirsi, nel nome del vivere insieme. Quelle dei terroristi infatti sono azioni vili, che “usano i bambini per uccidere, come in Nigeria; prendono di mira chi prega, come nella cattedrale copta del Cairo, o semplicemente chi passeggia per le vie della città, come a Nizza e a Berlino. Si tratta di una follia omicida che abusa del nome di Dio per disseminare morte, nel tentativo di affermare una volontà di dominio e di potere. Faccio perciò appello a tutte le autorità religiose perché siano unite nel ribadire con forza che non si può mai uccidere nel nome di Dio. Il terrorismo fondamentalista è frutto di una grave miseria spirituale, alla quale è sovente connessa anche una notevole povertà sociale. Esso potrà essere pienamente sconfitto solo con il comune contributo dei leader religiosi e di quelli politici. Ai primi spetta il compito di trasmettere quei valori religiosi che non ammettono contrapposizione fra il timore di Dio e l’amore per il prossimo. Ai secondi spetta garantire nello spazio pubblico il diritto alla libertà religiosa, riconoscendo il contributo positivo e costruttivo che essa esercita nell’edificazione della società civile, dove non possono essere percepite come contraddittorie l’appartenenza sociale, sancita dal principio di cittadinanza, e la dimensione spirituale della vita. A chi governa compete, inoltre, la responsabilità di evitare che si formino quelle condizioni che divengono terreno fertile per il dilagare dei fondamentalismi. Ciò richiede adeguate politiche sociali volte a combattere la povertà, che non possono prescindere da una sincera valorizzazione della famiglia, come luogo privilegiato della maturazione umana, e da cospicui investimenti in ambito educativo e culturale.”
Per Jorge Mario Bergoglio l’autorità politica non deve limitarsi a garantire la sicurezza dei cittadini, rendendola così assimilabile a un semplice “quieto vivere”, ma deve sentirsi chiamata a farsi promotrice e operatrice di pace, vista che questa non si raggiunge una volta per tutte, ma va continuamente costruita. E lo si fa eliminando “le cause di discordia che fomentano le guerre”, a cominciare dalle ingiustizie. Giustizia e perdono, binomio indissolubile.
Per consentire a questa rinnovata volontà di pace di avere successo occorre sapere che nemiche della pace sono “una visione ridotta dell’uomo, che favorisce iniquità, diseguaglianze e corruzione” e “l’ideologia che fa leva sui disagi sociali per fomentare il disprezzo e l’odio e che vede l’altro come un nemico da annientare”. Alla prima ha risposto con il predecessore prediletto, Paolo VI, che nella Popolurm Progressio già cinquant’anni fa ricordava che “il cammino della pace passa attraverso lo sviluppo”, che le autorità pubbliche hanno “l’onere di incoraggiare e favorire, creando le condizioni di una più equa distribuzione delle risorse e stimolando le opportunità di lavoro soprattutto per i più giovani.” Bambini e giovani, cioè il futuro, non possono essere egoisticamente trascurati e dimenticati.
Alla seconda nemica della pace, cioè all’ideologia che fa leva sui disagi per fomentare il disprezzo per l’altro, Bergoglio ha risposto in prima persona, spiegando che queste nuove e diffuse ideologie, “mascherandosi come portatrici di bene per il popolo, lasciano invece dietro di sé povertà, divisioni, tensioni sociali, sofferenze e non di rado anche morte.” La medicina indispensabile è la solidarietà. Parola cruciale anche davanti al problema migratorio, che non può lasciare alcuni Paesi indifferenti, mentre altri sostengono l’onere umanitario. “Costruire la pace richiede dunque un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa. […] D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti.”
Dopo aver ribadito il valore prioritario dell’emergenza-profughi e dell’emergenza-giovani è entrato nel dettaglio di alcuni gravi conflitti di cui la Santa Sede auspica una urgente soluzione. E’ certamente rilevante che abbia citato per primo il gravissimo conflitto siriano, “che sta provocando una vera e propria sciagura umanitaria”. Non c’è eco di presunte liberazioni, tutt’altro, c’è l’invito a tutti al “rispetto del diritto umanitario internazionale, garantendo la protezione dei civili e la necessaria assistenza umanitaria della popolazione.”
Il quarto capitolo affrontato è stato quello dell’Europa, “chiamata a ritrovare la propria identità.” Di fronte alle spinte disgregatrici è quanto mai urgente aggiornare “l’idea di Europa” per dare luce a un nuovo umanesimo basato sulla capacità di integrare, di dialogare e di generare, che hanno reso grande il cosiddetto Vecchio Continente. Infine l’emergenza ambientale e il plauso all’Accordo di Parigi, nella speranza che annunci una sempre più vasta cooperazione di tutti, considerato che la Terra è la casa di tutti e le scelte di ciascuno hanno ricadute sulla vita dell’intera umanità.
Non si può dire che in un momento storico difficilissimo come l’attuale da papa Francesco non sia venuta una risposta ferma al fondamentalismo, all’oscurantismo e l’indicazione dell’urgenza prioritaria per ogni religione a delegittimare che uccide nel nome di Dio, indicando però una strada molto diversa da quella tracciata dalle diffuse e sovente prevalenti visioni politico-ideologiche, con la ferma riproposizione di tutti i principi che sono stati sin qui alla base del pontificato, ormai sempre più immerso in un’autentica “sfida globale”.
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