Open Migration: capire con i dati,
difendere la dignità

Da Reset-Dialogues on Civilizations 

Il 28 marzo il progetto di informazione Open Migration ha compiuto tre mesi. Nato da un’idea della Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili, è diventato un punto di riferimento nel dibattito sulle migrazioni per chi, fuori da stereotipi e retorica, vuole capire con i numeri alla mano. Il sito è già disponibile in italiano e in inglese, raccoglie articoli, infografiche e quiz interattivi, ed è suddiviso in diverse categorie che lo rendono immediatamente accessibile e facile da consultare: politiche di frontiera, diritto d’asilo, immigrazione e integrazione, dati e risorse.

“La sfida è quella di cercare di restituire obiettività al dibattito sul tema dei rifugiati e più in generale dell’immigrazione – racconta Alessandro Lanni, coordinatore editoriale – particolarmente polarizzato dal punto di vista politico e di opinione pubblica.”

Quali sono i più comuni stereotipi da sfatare con i quali avete dovuto fare i conti?
Un’opinione particolarmente diffusa è quella dell’invasione dei musulmani in Italia, che invece, dati alla mano, viene smentita: la percentuale dei cittadini musulmani nel nostro paese è la stessa dei primi anni Novanta; ovviamente la comunità è cresciuta nel numero di individui ma proporzionalmente alle altre, quindi è rappresenta ancora un terzo del totale degli stranieri in Italia, com’era nel 1993/94. Non a caso abbiamo deciso di dedicare una sezione del sito al Fact-checking, nella quale analizziamo articoli di stampa o dichiarazioni politiche attraverso i dati, per verificare quanto ci sia di vero e di falso. Proprio sui cittadini musulmani ad esempio, un articolo dello scorso gennaio, chiarisce come, in base alle leggi vigenti, sia assolutamente falsa la possibilità di selezionare i rifugiati in base al proprio credo, e fornisce risposte qualificate in merito, nel caso specifico dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione.

Qual è il riscontro avuto finora dall’opinione pubblica, visto che chi consulta Open Migration ha anche a disposizione strumenti interattivi?
Stiamo avendo ottimi riscontri, perché esiste una fetta di opinione pubblica che sente il bisogno di avere un’informazione accurata, meno demagogica, meno populista. Vogliamo innovare il linguaggio intorno a certi temi. Prenda il quiz. Il primo che abbiamo pubblicato era dedicato alla crisi dei rifugiati del 2015. L’idea è che si possa fare informazione in modi diversi, integrando grafici, infografiche e, appunto, quiz. Anche l’ultimo che abbiamo lanciato sull’Islam in Italia e nel mondo sta funzionando molto bene.

Dalle risposte che arrivano cosa si può dire sulla preparazione di chi si sottopone ai test?
Riguardo al primo, quello sulla crisi dei rifugiati, che indagava su provenienze e dimensioni dei flussi, il 50% di coloro che lo hanno portato a termine ha restituito risposte esatte. Quindi la sensazione è che ci sia da lavorare ma su una buona base di partenza, in termini di conoscenze, anche se si tratta di un campione auto-selezionato e non statistico. Anche se le informazioni non devono mai essere date per scontate: un esempio, il fatto che la più grande nazione islamica non sia un paese arabo non è una conoscenza acquisita, perché l’identificazione fra islamico e arabo è ancora molto diffusa.

Il 14 marzo scorso avete pubblicato un articolo sull’accordo europeo con la Turchia, e sul rischio che si corre di discriminare i profughi iracheni e afghani: che idea ti sei fatto rispetto alla gestione del fenomeno migratorio da parte dell’Europa?
Nei mesi scorsi si è inseguito l’esistente, ma senza una visione strategica, qualunque essa fosse. È stato un fallimento dietro l’altro. La cosiddetta relocation è stata un fallimento, e anche tralasciando la discutibilità dell’accordo con la Turchia, è irrealistico pensare di realizzarlo senza violare diritti umani e leggi in vigore.

Come si è mossa l’Italia rispetto alla gestione del fenomeno migratorio?
Per molti anni il problema è stato semplicemente rimosso, almeno nella parte decisiva, ossia quella dell’integrazione. Siamo stati in prima linea, e non da oggi, sull’emergenza, sul salvataggio in mare, e quindi massimo apprezzamento per quello che ha fatto, per esempio, la Marina Militare nel Mediterraneo. La polemica di Renzi con l’Europa è stata tardiva, e la questione si è subito spostata dalla riforma del regolamento di Dublino al salvataggio di Schengen: quando la priorità sembrava il cambiamento di quella norma, perché era assurdo che Italia e Grecia da sole si facessero carico di un flusso di persone diventato enorme, si è finiti col discutere dell’opportunità di tenere le frontiere aperte. E questa è una sconfitta europea e italiana. E, guardando al nostro orto, teniamo presente che il numero di persone arrivate in Italia nel 2015 è lo stesso del 2014, e che i richiedenti asilo nel 2015 sono stati circa 85 mila. Insomma non parliamo di numeri impossibili da gestire, ma l’Europa nel suo complesso deve ancora trovare una strada comune.

Tornando al progetto: fra i vari strumenti Open Migration mette a disposizione anche un glossario.
Spesso nemmeno gli addetti ai lavori sono in grado di distinguere un Cie da un Cara, perché tutte queste sigle identificano centri o progetti di varia natura, tutti rilevanti per inquadrare il sistema dell’accoglienza, ma facilmente confondibili.

Quali saranno i prossimi passi?
Qualche settimana fa abbiamo lanciato la dashboard, con dati che si alimentano in automatico, che permette di avere una fotografia globale degli arrivi e delle richieste di asilo, divisi per paese, con un riassunto complessivo della situazione dei migranti che arrivano via mare, e anche delle vittime di questo viaggio nel Mediterraneo.

Vai a www.resetdoc.org 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *