Poco prima della morte dell’oppositore politico Alexei Navalny nella colonia penale dove stava scontando una pena di 19 anni, Reset DOC ha raggiunto lo statistico russo Lev Gudkov. Nell’intervista emerge un dato: l’arresto ogni anno del 2 per cento dell’élite russa intorno a Vladimir Putin, una forma di controllo che va oltre i dissidenti e le voci contrarie alla guerra.
Navalny, 47 anni, era un prigioniero di coscienza da gennaio 2021. Prima avvocato e blogger anti corruzione, poi politico a capo del partito Russia del Futuro e presidente di Coalizione democratica, è diventato il più celebre dissidente russo anti Putin dopo essere stato avvelenato nel 2020. Due giorni fa l’account su X aveva twittato: “Il carcere di Iamal ha deciso di battere il record di Vladimir allo scopo di adulare e compiacere le autorità di Mosca. Mi hanno appena dato 15 giorni in una cella di punizione. Cioè, questa è la quarta cella di punizione in meno di 2 mesi che sono con loro”. Nei giorni precedenti alla sua scomparsa, la sua Fondazione Anti Corruzione aveva avviato una campagna contro la rielezione di Putin nel 2024.
Lev Gudkov, in interviste passate ha sempre descritto il consenso a Vladimir Putin come monolitico: più del 70 per cento della popolazione fino a un anno fa sosteneva la guerra. Tuttavia diversi osservatori internazionali stanno dicendo che la guerra sta corrodendo il potere di Putin. È vero secondo lei?
Non posso dire la stessa cosa. Secondo me il sostegno nominale a Putin è cresciuto negli ultimi mesi e tutto ciò è legato alla censura totale in vigore, alla propaganda, all’isolamento di gran parte della popolazione, che non riesce a ricevere certe informazioni perché censurate e perché quelle che vengono dai media esteri, ad esempio, non arrivano più perché vietate. La propaganda ha assunto inoltre toni più aggressivi e arriva anche dai social media.
Ci sono due parti di popolazione che non sono sullo stesso livello: un 65-68 per cento riceve informazioni su quello che fa il governo e in particolare sul conflitto soprattutto dai canali televisivi; un 18-22 per cento è contro la guerra e invece si informa tramite i canali Telegram e YouTube. Questa parte di popolazione ha imparato a evitare la censura, ad esempio con le Vpn.
Se guardiamo al nostro ultimo sondaggio, il 71 per cento dei russi sostiene il conflitto. Però stiamo anche assistendo alla crescita di chi vuole la fine della guerra, circa il 57 per cento degli intervistati. Quando però andiamo ad analizzare le condizioni secondo cui dovrebbe terminare, i colloqui di pace e le trattative, la maggior parte delle persone insiste sul fatto che vorrebbe una resa dell’Ucraina, che la Russia mantenesse i territori occupati, ma anche che Kiev non entrasse nella Nato e un cambio dei vertici del Paese. Tutte condizioni che rendono i negoziati impossibili. Il 34 per cento dei russi vorrebbe invece che la guerra continuasse fino alla vittoria di Mosca.
Come è cambiata la narrativa della propaganda sulla guerra?
È proprio cambiato il senso della guerra: non è più una guerra di denazificazione [dell’Ucraina ndr] ma è una guerra contro l’Occidente collettivo, come dice Putin. La logica è dobbiamo difenderci, perché tanto ci avrebbero attaccato comunque e la minaccia parte dalla NATO, dagli Stati Uniti. Tutte le ambizioni che aveva Putin rispetto alla guerra in Ucraina vengono così messe in secondo piano, consolidando l’idea che Putin ci può garantire una certa sicurezza contro l’Occidente e contro una possibile terza guerra mondiale.
Un altro aspetto che fa capire come è cambiato il sostegno a Putin è l’aumento della repressione. Sono circa 860 le denunce relative alla legge sulle fake news e a quella sulla diffamazione dell’esercito russo. Ci sono poi norme sempre più rigide: negli ultimi tempi è stata entrata in vigore una legge che comporta la confisca di beni per chi esprime idee e pubblica dati diversi da quelli dalla propaganda sull’andamento della guerra e sul comportamento dell’esercito russo – ritenuti fake dalla propaganda stessa. Tutto ciò crea un’atmosfera di forte paura e di consenso, ma è un consenso obbligato. E non fa altro che rafforzare l’atmosfera di apatia e rassegnazione che c’è al momento.
Sul consenso, dalle sue ultime interviste c’è stata la rivolta di Yevgeny Prigozhin. Putin si presenta come fortemente al potere, ma l’episodio della Wagner ha presentato delle incrinature…
Non parlerei tanto di incrinature, quanto più che altro di conflitti interni alla macchina del potere. Putin si è servito di questi gruppi militari per raggiungere i suoi obiettivi e ha visto che il loro operato dava dei successi in Ucraina. Successi sotto il patronato del Cremlino, chiari anche alla popolazione. Fino all’aprile 2023 Prigozhin non era però così conosciuto. È emerso quando ha iniziato a pubblicare i suoi discorsi, le varie invettive e foto su Telegram, e da quel momento ha avuto presa sulla popolazione. Il 40 per cento dei russi sosteneva l’operato di Prigozhin. Una volta pubblicate le invettive, Putin ha iniziato a criticarlo, lo ha chiamato traditore, ha parlato di colpi bassi e quindi la popolarità di Prigozhin è scesa.
Poi c’è stato il momento in cui Prigozhin è stato ucciso e sappiamo per mano di chi, non ci sono dei dubbi su come sia successo, ma anche qui è diventato un eroe popolare in tutta la Russia, spesso veniva definito una persona che lottava per la giustizia e contro la corruzione delle forze armate.
Tra gli eventi più importanti di questo periodo c’è stato il fallito colpo di Stato di Prigozhin. Come dicevo però non parlerei di incrinature o debolezze. Putin profonde sempre tanti sforzi per controllare le persone che gli stanno intorno. Le azioni repressive non sono soltanto contro chi non vuole la guerra, ma anche contro le persone che gli sono intorno. Si stima che un 2 per cento degli alti rappresentanti del potere venga arrestato ogni anno. Se li andiamo a sommare negli anni, arriviamo a circa un 10-12 per cento. Tutto questo prova che Putin vuole imporre una certa disciplina nel sistema che ha creato.
Per quali istituzioni passa il controllo di Putin?
Innanzitutto parliamo del controllo delle forze di sicurezza, dei servizi segreti e del sistema giudiziario, ma anche il controllo di tutte quelle grandi società finanziarie che distribuiscono i vari flussi di denaro. Controllando questo aspetto si riesce a raggiungere una sorta di stabilità economica. In due anni di guerra i redditi nominali della popolazione sono aumentati di circa il 20 per cento, perché c’è stato un forte commercio dal punto di vista bellico. Allo stesso tempo però, l’inflazione mangia parte di questi redditi. Il punto è che la popolazione ha comunque l’impressione che ci sia una sorta di stabilità, che le cose vadano bene.
Che impatto hanno avuto le sanzioni finora?
Hanno sicuramente avuto un impatto più diretto sui ceti più alti o medio-alti della popolazione. Che sono più informati, più inseriti nel mercato e hanno delle esigenze di consumo più spiccate rispetto alla massa, che invece non ne sente molto l’effetto perché consuma prodotti nazionali e i prezzi dei prodotti russi non sono cambiati così tanto.
Nel primo mese di sanzioni nel 2014, dopo l’annessione della Crimea, la maggior parte della popolazione riteneva che avrebbero toccato solo le persone più vicine a Putin. Poi la propaganda le ha strumentalizzate: ha fatto capire in vari modi che le sanzioni sarebbero andate contro tutta la popolazione, che si trattava di russofobia, di una guerra dell’Occidente collettivo contro la Russia con l’obiettivo di smembrare e controllare il Paese.
Gli effetti delle sanzioni si iniziano a sentire a lungo termine dopo due, tre anni perché si cominciano a percepire i limiti nella produzione di certi prodotti e le forniture dall’estero non arrivano più. È il caso dei pezzi di ricambio dall’Occidente, delle materie prime e così via. Al momento però le previsioni di alcuni economisti secondo cui ci sarebbe stata una grossa crisi non si sono ancora avverate.
Se consideriamo gli ultimi sondaggi un 27-29 per cento della popolazione sente le conseguenze negative delle sanzioni. Secondo le ultime stime 700mila persone hanno però anche lasciato la Russia. Stiamo parlando di giovani, istruiti e contro la guerra, e questo ha fatto calare le tensioni interne, nel Paese è tornato un certo conformismo, un atteggiamento di adattamento a questa nuova condizione. Il fatto è che le persone iniziano ad abituarsi a vivere nella repressione.
Arrivano notizie sulle difficoltà, sullo stallo di questa guerra che secondo la propaganda doveva essere vinta subito, da qui il nome operazione militare speciale?
Non arrivano informazioni ufficiali. La censura è estremamente rigida sulla situazione sul fronte, sul numero dei morti e sull’andamento più generale del conflitto e si applica su tutti i dati che arrivano dall’Ucraina. La televisione è la fonte principale di informazione, fonte di un solo tipo di informazione: come sparano i missili russi, quanti successi ha portato avanti l’esercito. Ascoltiamo tutto il tempo notizie su quanti nazisti, quanti ucraini, quanti terroristi sono stati uccisi; quanti aerei, quanti carri armati distrutti e così via. E i numeri che ci propongono sono addirittura superiori a quelli di cui l’Ucraina dispone. Queste informazioni non solo sono distorte, ma vengono ripetute in continuazione.
Si parla anche di vittime, di distruzione, del fatto che magari a volte l’operazione procede più lentamente rispetto al previsto ma comunque tutto prosegue secondo i piani e questo dà una certa tranquillità alla popolazione. Indebolisce inoltre l’attenzione dei russi sul conflitto perché le informazioni sono monotone.
Come rispondono i russi a questo monopolio dell’informazione?
Dall’8 al 12 per cento della popolazione si informa tramite altri canali, anche esteri, ucraini o occidentali. Queste informazioni poi arrivano in Russia e si diffondono in vario modo. Però sia le informazioni ufficiali che quelle non ufficiali poi non possono essere verificate, quindi si crea una situazione che ricorda i tempi sovietici, tra la fiducia e lo scetticismo.
La gente sa che le autorità mentono, che dosano le informazioni o le utilizzano per scopi demagogici. Ma ritiene anche debbano fare così, perché le persone non vogliono sentire nulla che diverga dalle loro percezioni, dalla loro identità collettiva. La critica dell’opposizione e i tentativi di fornire prove documentali sugli eventi, in particolare sui crimini dell’esercito russo così si bloccano nelle loro coscienze, perché si crea un divario: da un lato, la maggior parte delle persone ammette che tutto ciò sia possibile, dall’altro pensa che sia giusto negarlo, perché è in linea con la politica ufficiale delle autorità.
Il 60 per cento delle persone ritiene che colpa della guerra sia della Nato o degli Stati Uniti, un 15-17 per cento dà la colpa all’Ucraina e al governo in carica. Solo dal 3 al 7 per cento alla Russia.
Ha parlato di apatia. C’è un punto di non ritorno anche per i russi in relazione alla guerra? Quando sarà troppo lunga?
Questo succede già adesso perché la maggior parte della popolazione ritiene che il conflitto dura già da troppo tempo. Oltre l’80 per cento della popolazione non sa come però influenzare queste decisioni e quindi c’è un’indeterminatezza generale.
La situazione si può cambiare solo in questo modo: se avviene un attacco ucraino che porterà alla sconfitta sul campo dell’esercito russo. Solo questo potrebbe davvero colpire la legittimità di Putin e creare una vera e propria crisi nella politica interna, perché in questo modo salterebbe l’autorità di Putin come capo militare e capo politico. Allo stesso tempo i timori di un contrattacco ucraino si sono indeboliti e la guerra viene interpretata ora come una guerra per arrivare all’esaurimento di tutte le forze ucraine. Ma tutto questo non arriverà in tempi brevi. La gente però non se ne accorge.
Immagine di copertina: un murales che rappresenta l’oppositore politico Alexey Navalny viene coperto a San Pietroburgo, il 28 aprile 2021. A lato, la frase: “L’eroe di nuovi tempi”. Foto di Olga Maltseva/Afp.
ottimo articolo. Purtroppo c’è troppa ignoranza e passività non solo nella popolazione russa ma anche in quei paesi che votando a destra vedono in un ex comunista un vero leader, guardiamo all’italia, purtroppo.