Da Reset-Dialogues on Civilizations
“Iran non solo programma nucleare” è il titolo del convegno che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma, presso la sede della Stampa Estera, ma è insieme anche una domanda e una risposta.
Domanda a cui hanno dato seguito una serie di interventi, cercando di inquadrare la Repubblica Islamica dell’Iran nel suo complesso. “La questione nucleare – come ricorda il Presidente della Commissione Parlamentare per i Diritti Umani, Pietro Marcenaro – non può essere l’unico punto dell’agenda della comunità internazionale nel confronto con l’Iran. Certo il nucleare c’è e non si può trascinare via dal tavolo, ma non c’è solo il nucleare”.
Economia, evoluzione politica e sociale, dossier nucleare e rispetto dei diritti umani, sono i punti chiave nell’osservazione di un Paese che nel corso di poco più di trent’anni ha vissuto in sé eventi epocali, che vanno da una rivoluzione e un cambiamento dell’assetto istituzionale a una guerra lunga sanguinosa ai mutamenti delle relazioni internazionali. Piaccia o no l’assetto politico assunto dall’Iran dopo la caduta della monarchia dei Pahlavi, oggi la Repubblica Islamica è un luogo di grande fermento sociale e culturale che sta cercando di assicurarsi una posizione di rilievo nel Golfo e che inserisce il programma nucleare proprio in questo piano di prestigio politico.
Il nucleare e le sanzioni
È di queste ore l’annuncio dell’installazione di nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio nella centrale di Natanz; annuncio reso ufficiale attraverso una lettera inviata all’Aiea che pone di nuovo in primo piano i timori dell’Occidente; mentre negli Stati Uniti, il nuovo ministro della Difesa designato dal presidente Obama, l’ex senatore Chuck Hagel, ha ribadito la linea della fermezza sul nucleare iraniano e il pieno sostegno a Israele.
Il braccio di ferro, dunque, va avanti, nonostante le pesanti sanzioni internazionali sulle esportazioni di petrolio e sulle transazioni finanziarie che – come sottolinea Pejman Abdolmohammadi, docente di Storia e istituzioni dei Paesi islamici presso l’università di Genova – “stanno colpendo, in particolare, i ceti meno abbienti del paese… l’economia iraniana si trova in ginocchio e, al momento, vi sono gravi problemi commerciali, ad esempio, con l’importazione dei medicinali”.
L’economia iraniana si basa sull’oro nero che – spiega al convegno Alberto Negri, inviato del Sole24 ore e profondo conoscitore dell’Iran – “rappresenta il 60% delle entrate statali”, su cui poi si regge quel “welfare state all’islamica” che garantisce da anni alla popolazione una serie di sussidi (i più noti sono quelli per la benzina). Sussidi che hanno risentito della crisi ma che ora, in previsione delle elezioni, sono tornati nell’agenda dei candidati.
Le sanzioni hanno avuto effetti sull’economia del Paese, sul potere d’acquisto del ryal e in generale sulla qualità della vita degli iraniani, ma non hanno avuto il potere politico che si erano formalmente prefissate. C’è il dubbio, dopo tutti questi anni, che forse gli iraniani non ricordino neanche più il perché di questa punizione della diplomazia internazionale, anche se, secondo il senatore Marcenaro, “le sanzioni sono rivolte verso l’Iran, ma non solo” verso l’Iran. Servono, infatti, “anche a tenere fermi coloro che chiedono che la questione sia risolta militarmente”. Dunque a mostrare la presenza di una comunità internazionale che agisce.
Economia e nuove alleanze
Se è vero che il regime sanzionatorio ha una sorta di funzione ‘temporeggiatrice’ nei confronti di chi, facilmente, toglierebbe il piede dal freno per spostarlo sull’acceleratore, è vero anche che stanno designando un nuovo asse dell’economia iraniana verso Oriente. Teheran, infatti, sta via via sostituendo i suoi interlocutori commerciali privilegiati che sono ora “sostanzialmente quattro: Cina, Giappone, Corea del Sud e India”.
“Con l’accordo del 2011 – rileva ancora Negri – il 40% del petrolio esportato in Cina viene pagato in yuan e l’Iran deve spendere il 60-70% di questa cifra importando prodotti cinesi”, prodotti che non possono essere venduti sui mercati occidentali, perché realizzati con componenti proibiti.
Senza dimenticare Ankara, il cui interscambio con Teheran è salito a 20 miliardi di dollari ed è proiettato verso i 50. Gli accordi con la Turchia consentono, del resto, anche di aggirare alcune sanzioni, considerando che le imprese iraniane che hanno partner turchi riescono ad approdare in Europa attraverso questo escamotage.
Al di là di relazioni di dipendenza, è evidente che i rapporti tra l’Iran e questi nuovi protagonisti siano diventati vitali per un’economia sempre meno concorrenziale ed è prevedibile anche che quando, e se, le sanzioni verranno revocate l’Occidente troverà il suo posto occupato da altri attori. Un esempio che ci riguarda da vicino: “L’Italia – conclude Negri – oggi esporta un miliardo e mezzo di dollari di merci verso l’Iran. Senza le barriere delle sanzioni potrebbe raggiungere in un anno o due circa gli 8-10 miliardi”.
Le nuove generazioni, i conflitti interni e le prossime elezioni
È il 14 giugno 2013 il prossimo appuntamento focale per gli equilibri interni iraniani e, molto probabilmente, anche per le relazioni all’esterno del Paese. Le elezioni presidenziali che vedranno l’uscita di scena del tanto discusso Ahmadinejad sono la cartina tornasole di quanto è accaduto a livello politico e sociale negli ultimi quattro anni.
Il giugno 2009 ha fatto conoscere alla platea internazionale una moltitudine di giovani attivi politicamente e informatizzati di cui in tanti ignoravano l’esistenza. Eppure, come spiega ancora Pejman Abdolmohammadi, non si tratta di un exploit, ma di un “epocale mutamento generazionale che vede in prima linea una società civile giovane e vitale pronta a chiedere un profondo rinnovamento del paese”.
Attualmente su una popolazione di circa 70 milioni di persone, 48 milioni hanno meno di trentacinque anni. Da circa dieci anni “l’uso dei social network è diventato un nuovo potente strumento attraverso il quale i giovani iraniani possono esprimere le proprie idee e tendenze politico-sociali e culturali”.
Le richieste sono comuni a quelli di molti altri coetanei in situazioni simili: “il rispetto dei propri diritti civili” e aspirazioni “quali la libertà e la felicità”. E se è vero, come sottolineava Marcenaro, che le prossime elezioni si ridurranno molto probabilmente a un confronto all’interno dell’ala dei conservatori, tra chi è vicino alla Guida Suprema e chi al presidente uscente, e che “non sappiamo se si ripeterà un quadro analogo a quello del 2009, con la presenza di candidati riformisti con i quali un movimento progressista si possa riconoscere”, è vero anche che dopo le manifestazioni degli ultimi tempi a causa della crisi economica, la minaccia è percepita più dall’interno che dall’esterno.
Libertà di stampa e diritti umani
In vista delle elezioni, si moltiplicano infatti le denunce di arresti e di fermi di blogger, attivisti e giornalisti. Secondo Domenico Affinito, vicepresidente di Reporter Senza Frontiere Italia, anche lui presente all’incontro, le attenzioni del regime sono puntate principalmente sulla comunicazione via internet che è quella che più facilmente sfugge al controllo.
Le incriminazioni non riguardano la professione giornalistica, ma sono quasi sempre accuse “o di tradimento o di mettere in pericolo la sicurezza nazionale”. “Dall’inizio gennaio – prosegue Affinito – molti giornalisti sono stati interrogati dai pasdaran e le domande in molti interrogatori vertevano sul loro giudizio rispetto alla situazione del Paese, su cosa pensavano delle prossime elezioni e quali candidati avrebbero votato”. Conclude Riccardo Noury di Amnesty International Italia che “l’atteggiamento della comunità internazionale sull’Iran segue un modello piuttosto consolidato di ipocrisia e d’intermittenza, in cui si preferisce porre l’attenzione su un’ipotetica minaccia verso l’esterno, dimenticando una minaccia non ipotetica, ma reale, che viene compiuta verso l’interno”.
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Nell’immagine: Dall’alto della torre Azadi (Torre della libertà) di Teheran, foto di Recovering Sick Soul (cc)