La Libia ha un Governo di accordo nazionale. Il nuovo esecutivo, aggirate momentaneamente accuse di corruzione, ha ottenuto la fiducia del Parlamento (la Camera dei deputati di Tobruk, in trasferta per l’occasione nella città costiera di Sirte, ndr) alla terza seduta plenaria, dopo che le due precedenti erano state sospese fra le polemiche. Un contrattempo che aveva fatto temere l’ennesimo stallo politico. Poi, il via libera della quasi totalità dei 132 deputati presenti in aula (su 200): dopo dieci anni di divisioni e conflitti, la volontà di stabilizzare il quadro nazionale sta prendendo il sopravvento sulle rivalità interne. Così almeno sostengono fonti delle Nazioni Unite.
Ma la squadra di Governo presentata dal premier Abdul Hamid Dbeibah contiene non poche criticità: innanzitutto le dimensioni, maggiori di quanto fosse stato annunciato. Lo stesso (businessman di Misurata) Dbeibah, in audizione alla Camera, ha ammesso di aver dovuto cedere a criteri di rappresentatività geografica e di non aver mai incontrato alcuni dei suoi 26 ministri.
Disatteso anche l’obiettivo di avere una squadra al femminile almeno per un terzo. Solo due le donne alla guida di dicasteri. Il premier ha tentato di sanare lo scivolone sottolineando il peso dei due ministeri, Esteri e Giustizia. Il volto di Najla el-Mangoush, avvocatessa e attivista per la difesa dei diritti umani nominata ministro degli Esteri ha fatto subito il giro del mondo. E questo non solo perché si tratta della prima donna in posizione analoga in tutto il Nord Africa (peraltro, numerosi Paesi europei non hanno mai avuto ministri degli Esteri donna), ma per almeno altre due ragioni: el-Mangoush è di Bengasi, la città fedele al feldmaresciallo Khalifa Haftar che bene ne incarna le storiche ambizioni egemoniche su tutto il Paese. Inoltre, i detrattori della neo-ministra ne sottolineano la lunga assenza dalla Libia: dal 2013 a oggi, Najla è vissuta negli Stati Uniti, dove ha completato la propria formazione accademica e intrecciato importanti relazioni diplomatiche. Forse che la sua nomina lasci presagire un rinnovato interesse di Washington per la partita libica?
Sia come sia, il ministro degli Esteri dovrà navigare in acque tempestose, barcamenandosi fra gli appetiti di Russia, Egitto, Emirati Arabi, Turchia, per citare solo i più esposti. Costoro hanno ancora sul terreno 20mila uomini, fra mercenari, agenti scelti, unità speciali, ma dovranno essere convinti a smobilitare nel minor tempo possibile, affinché sia credibile il processo di stabilizzazione e autonomia politica.
Quanto ad Halima Abdulrahman, ministra di Giustizia, per lei si configura il compito altrettanto arduo di gestire la riconciliazione nazionale dopo un decennio di guerra civile e la ri-armonizzazione del sistema giudiziario nazionale, parcellizzato.
Infine, il nodo più spinoso: a poche ore dal voto parlamentare sulla squadra di governo, indiscrezioni di stampa hanno reso noti in anticipo i contenuti di un report delle Nazioni Unite sul processo che ha condotto all’elezione di Abdul Hamid Dbeibah a Ginevra. Gli inquirenti Onu avrebbero rilevato irregolarità, anzi episodi di compravendita dei voti fra i 75 delegati. Per il momento, nell’attesa della pubblicazione del rapporto, la Camera dei deputati ha deciso di dare credito a Dbeibah, ma questo nodo prima o poi inevitabilmente tornerà al pettine.
Le incognite politiche interne
Il nuovo esecutivo, transitorio, avrà dunque il ruolo di traghettare il Paese verso le elezioni politiche e presidenziali del 24 dicembre prossimo seguendo un percorso irto di ostacoli.
Il primo riguarda la cessione dei poteri al nuovo primo ministro da parte dei due premier uscenti: Fayez al-Serraj, insediato a Tripoli con mandato delle Nazioni Unite su tutto il Paese dopo la firma dell’Accordo di Skhirat, nel 2015, e Abdullah al-Thinni, in esilio a Tobruk con la Camera dei Rappresentanti che ne aveva legittimato l’incarico nel 2014, dopo regolari elezioni legislative. Anche il potente presidente della Camera Aqilah Saleh, secondo più di un osservatore, potrebbe decidere di boicottare l’appuntamento elettorale: il suo sostegno al progetto non è scontato.
Preoccupa inoltre la defezione di un nutrito gruppo di parlamentari al voto di Sirte: quanti di questi, è lecito chiederselo, oltre a manifestare un dissenso politico ostacoleranno concretamente il lavoro di Dbeibah?
Anche il ruolo dei 75 membri del Forum di dialogo politico libico, quello che a Ginevra, in febbraio, ha concordato la nascita della nuova autorità esecutiva unificata, non è chiaro in questa fase. L’autonomia del nuovo premier unico rispetto al Forum è tutta da provare.
Il ruolo della stampa
Il Governo Dbeibah non avrà tempo per ulteriori abboccamenti gattopardeschi: nel giro di poche settimane dovrà mettere sul tavolo una legge di bilancio meritevole di tale nome, in grado di lanciare un segnale di pragmatismo sia sulla scena nazionale che su quella estera. I libici tutti chiedono servizi, occupazione, stabilizzazione della valuta, disponibilità di beni: insomma, spiragli di normalità. Le aspettative in questo momento sono altissime, ogni mossa della nuova dirigenza è sotto i riflettori dei media.
A questo proposito, vale la pena soffermarsi su alcuni accadimenti recenti. Fra i primi passi intrapresi dall’ufficio di Abdul Hamid Dbeibah vi sarebbe già stato un inasprimento della procedura di accredito dei giornalisti intenzionati a seguire la nascita del nuovo Governo. Secondo l’Organizzazione dei media libici indipendenti, le richieste formulate dalla segreteria di Dbeibah agli operatori della comunicazione sarebbero «atte a complicare il lavoro dei reporter» e non farebbero ben sperare per il futuro. Sulla stessa linea anche l’Associazione dei giornalisti e degli operatori dei media di Sabha, i cui reporter si sono visti negare la copertura della visita di Mohamed Menfi, numero uno del Consiglio Presidenziale, nella città al centro della Libia. La stampa autonoma è sul chi va là, sospetta un tentativo di mettere il bavaglio all’informazione in un momento particolarmente delicato per il Paese. Il quarto potere, con la sua funzione di sentinella, avrà un ruolo strategico nel seguirlo e documentarlo, sempre che le forze politiche addivenute ad un accordo siano realmente intenzionate a giocare pulito.
La stampa di sistema offre una sponda sicura alla nuova dirigenza, sottolineando con enfasi i segnali di un ritorno alla stabilità, come ad esempio il ripristino di voli diretti tra Misurata e Bengasi, rispettivamente in Tripolitania e Cirenaica. Erano sei anni che le due città, fulcro di avverse milizie e tribù, avevano interrotto il traffico aereo. I media filo-governativi dedicano pari attenzione anche al ritorno in Libia di diplomatici assenti da tempo, quale ad esempio quello maltese: il Consolato di Malta sbloccherà a breve la procedura per la concessione di visti per La Valletta ai cittadini libici.
Nuovi equilibri nel Mediterraneo Orientale
Intanto, al tavolo internazionale della partita libica è appena iniziata una nuova mano.
Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha annunciato la ripresa di contatti diplomatici con l’Egitto «sia attraverso l’intelligence che il ministero». Una svolta storica, dopo il gelo seguito al colpo di Stato militare di Abdel Fattah al-Sisi ai danni del presidente islamista Mohammed Morsi, caro ad Ankara.
Da tempo la Turchia ha adottato toni più morbidi con gli altri attori regionali coinvolti in Libia. Intervistato da Bloomberg, Ibrahim Kalin, portavoce e consigliere del presidente Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato: «La Turchia è pronta ad aprire una pagina nuova con l’Egitto e i Paesi del Golfo per la pace e la stabilità nella regione». L’apertura turca riguarda tutti i dossier caldi: «Vogliamo cooperare con l’Egitto nel Mediterraneo Orientale, in Libia e sulla questione palestinese, che sembra essere dimenticata dal mondo. Se riuscissimo a compiere passi bilaterali costruttivi, questo potrebbe contribuire a stabilizzare la regione dal Nord Africa al Mediterraneo Orientale», ha aggiunto Kalin. Prima di lui, i ministri turchi degli Esteri e della Difesa avevano già evidenziato possibili aperture verso Il Cairo, ipotizzando un’intesa concordata sulla demarcazione dei confini marittimi. Per chiarire il cambio di passo turco in politica estera, il portavoce di Erdogan ha concluso: «Non abbiamo problemi irrisolvibili con nessun Paese arabo». Con buona pace del giornalista dissidente saudita Jamal Khashoggi, ucciso e smembrato da 007 sauditi nel consolato del Regno a Istanbul.
Foto: Il nuovo premier Dbeibah si rivolge al Parlamento libico riunito a Sirte – 9 marzo 2021 (Mahmud TURKIA / AFP)