Da Reset-Dialogues on Civilizations
Nel giro degli ultimi dieci giorni l’economia libanese è entrata nel mirino delle monarchie del Golfo e nel Paese dei cedri si è acuito lo scontro politico tra le forze filo-saudite e anti-Assad della Coalizione 14 Marzo e i militanti filo-iraniani e sostenitori del presidente siriano della Coalizione 8 Marzo capeggiata dal movimento sciita libanese Hezbollah. Sullo sfondo c’è l’acerrima rivalità tra le due potenze regionali, Arabia Saudita e Iran, che si fronteggiano in un Paese in grande difficoltà economica, sotto la pressione di un ingente afflusso di siriani in fuga dalla guerra e alle prese con uno stallo politico che dura da quasi due anni.
I regni del Golfo hanno cominciato mettendo in guardia i propri cittadini dal viaggiare nel Paese, per ragioni di sicurezza, in seguito Riyad ha esortato i suoi sudditi che si trovano in Libano al rientro in patria ed ha bloccato aiuti militari per quattro miliardi di dollari (tra cui un contratto di fornitura militare dalla Francia di tre miliardi) e, infine, il 2 marzo il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) ha dichiarato Hezbollah un gruppo “terroristico” (il Bahrein lo aveva precedentemente inserito nella lista nera) per le “sue azioni terroristiche in Siria, in Yemen e in Iraq”, ha spiegato il Segretario generale del Consiglio Abdullatif al-Zayani.
Perché proprio ora?
Gli uomini di Hezbollah combattono in Siria al fianco delle truppe di Assad dal 2012, mentre i sauditi foraggiano le opposizioni al presidente siriano. Il movimento sciita libanese è già nella lista nera degli Stati Uniti, invece l’Unione europea nel 2013 ha inserito la sua ala militare tra i gruppi terroristici. Inoltre, l’accordo sugli aiuti militari era stato siglato due anni fa. Dunque, perché adesso?
La decisione del CCG rientra nello scontro regionale tra le monarchie del Golfo e la Repubblica islamica. Le prime, spiega Lina Khatib, dirigente di ricerca associato dell’Arab Reform Initiative, «accusano l’Iran di cercare di destabilizzare la regione e di recente sono giunte notizie di carichi di armi iraniane dirette in Bahrein, con l’assistenza di Hezbollah. Sommate al sostegno iraniano agli Houthi in Yemen e ad Assad in Siria, considerati nemici dall’Arabia Saudita, alla mancanza di progressi nei negoziati sulla Siria e al crescente ruolo dell’Iran dopo gli accordi sul nucleare hanno fatto perdere la pazienza all’Arabia Saudita con Teheran».
Inoltre, continua Khatib, «Riyad non vuole che i suoi soldi siano usati indirettamente da Hezbollah», cioè la mano degli Ayatollah in Libano, ma anche in Siria.
Le rimesse dei libanesi e gli investimenti degli sceicchi
Dichiarare il Partito di Dio una formazione “terroristica” porta con sé pesanti ripercussioni sulla debilitata economia del Paese dei cedri, e rischia di destabilizzare ancor più i suoi fragili equilibri politici e sociali, segnati da dinamiche comunitarie che in passato hanno sconvolto il Libano. I regni del Golfo potranno prendere di mira le finanze del movimento guidato da Hassan Nasrallah e chiunque abbia legami con il gruppo e interessi nei Paesi del CCG. Riyad ha anche minacciato il ritiro dei depositi dalle banche.
Il pensiero dei libanesi è andato poi alle rimesse dei propri concittadini che lavorano nei regni della Penisola Arabica: un’espulsione di massa è improbabile, ma c’è apprensione: in caso di un rientro consistente in molti perderebbero il proprio reddito, o almeno parte di esso, in un Paese con un costo della vita piuttosto alto. E qualcuno teme anche per il proprio posto di lavoro. Il tasso di disoccupazione è intorno al 13 per cento, ma raddoppia (35 per cento) per la fascia dei giovani tra i 14 e i 25 anni. Secondo il giornale libanese Ya Libnan, il 70 per cento delle rimesse generate dai lavoratori libanesi all’estero arriva dai Paesi del CCG (circa cinque miliardi di dollari): equivale a oltre il 10 per cento del PIL. Questo dato dà la misura di quanto l’economia libanese sia dipendente dall’estero e, come dimostrano le ultime vicende, di quanto il Paese sia esposto alle fibrillazioni regionali.
La crisi siriana e il suo impatto sul Libano
In questo quadro a tinte fosche si inserisce la presenza in Libano di centinaia di migliaia di siriani. In un Paese di circa quattro milioni di abitanti sono arrivati, e continuano ad arrivare, oltre 1 milione e mezzo di rifugiati e circa 45.000 palestinesi siriani che stanno vivendo un’altra diaspora della loro travagliata storia. Il sistema sanitario, quello scolastico, i servizi, il mercato del lavoro hanno subìto un enorme trasformazione.
Per le strade di Beirut si vedono tanti bambini siriani chiedere qualche spicciolo ai passanti, centinaia di persone vivono in campi arrangiati (quasi duemila) in diverse zone del Paese, chi può ha affittato una casa, determinando un aumento dei costi delle abitazioni. Chi ha trovato lavoro ha spesso accettato salari più bassi di quelli dei libanesi, provocando il risentimento di tanti (sono ancora vivi i ricordi dell’occupazione siriana, della guerra civile finita nel 1990 dopo 15 anni). L’impatto sulla popolazione libanese, soprattutto su quella più povera, è un altro fattore che mina un tessuto sociale attraversato da divisioni settarie che 41 anni fa sono sfociate in un conflitto atroce. La polarizzazione, politica e confessionale, della società libanese tra sunniti e sciiti, tra anti-siriani e filo-siriani, si è acuita con la guerra in Siria.
In equilibrio sull’orlo del precipizio
Da quando il conflitto siriano ha iniziato a premere ai confini, si parla di un Libano in bilico, sull’orlo del precipizio. La decisione dei Paesi del Golfo di dichiarare Hezbollah gruppo “terroristico”, con il suo carico di ripercussioni sull’economia libanese, è un’altra spinta verso il precipizio.
Christopher Davidson, specialista del Golfo e docente alla Durham University, sul sito Middle East Eye parla di «un modo per punire il governo di Beirut e l’élite politica per non essersi allineati con la posizione di Riad sull’Iran e sugli affari regionali», e prospetta una recrudescenza degli attacchi di stampo islamista contro il movimento sciita libanese. Ma nonostante la difficile congiuntura economica e l’impasse politico, terreno fertile per il settarismo, in pochi prevedono scenari simili a quelli del 2008.
«Hezbollah è riuscito a indebolire i suoi avversari politici in Libano», spiega Lina Khatib, «Questo significa che, nonostante l’ultima decisione del CCG, è improbabile che qualsiasi organizzazione in Libano scenda in campo contro Hezbollah, semplicemente perché nessuna ne ha la capacità. Inoltre, la straziante esperienza della guerra civile ha persuaso tutti i leader libanesi ad evitare il ripetersi di un tale scenario». Oltre a ciò, non sembra che gli Stati Uniti abbiano voglia di mettere alle strette il movimento guidato da Nasrallah, che negli ultimi anni si è rafforzato e adesso sta godendo dei successi di Assad sul campo di battaglia siriano e dell’uscita dall’isolamento della Repubblica islamica, suo sponsor. Mentre i Paesi del Golfo soffrono le ripercussioni economiche della caduta del prezzo del petrolio e dell’impegno militare all’estero. E i loro alleati libanesi (in primis il Movimento Futuro di Saad Hariri) sono deboli e, continua Khatib, «non è nel loro interesse rimestare tensioni settarie».
21 mesi senza presidente, 7 mesi di emergenza spazzatura
Non è chiaro, dunque, quale sia la strategia di Riyad e se passerà dalle parole ai fatti, spingendo nel baratro l’economia libanese, e assumendosi la responsabilità dell’emergenza che ne deriverebbe. In Libano le fazioni politiche si lanciano strali reciproci circa la decisione del CCG, dopo aver fallito (prevedibilmente) per l’ennesima volta l’elezione del presidente. Poltrona vacante da quasi 22 mesi.
Intanto, un’altra crisi, quella della spazzatura, è tornata a tenere banco. Giovedì, il premier Tamman Salam ha minacciato di annunciare il fallimento del governo, se non si troverà una soluzione a un’emergenza iniziata lo scorso luglio con la chiusura della discarica di Naameh. Il tentativo di mandare all’estero (in Russia) l’immondizia che si accumula nelle strade e in discariche improvvisate in tutto il Paese è fallito, e il Libano è sommerso dalla spazzatura. Il movimento You Stink ha annunciato una manifestazione per il 12 marzo.
Approfondimenti
Arab Reform Initiative, consorzio di 14 centri di ricerca e di fondazioni con sede in vari paesi arabi ed occidentali fondato nel 2005.
Yalibnan, quotidiano libanese online anche in lingua inglese
Nella foto di copertina: Nei giorni scorsi il Consiglio di Cooperazione degli Stati del Golfo Persico, dopo lunga riflessione, ha definitivamente inserito la forza politica libanese Hezbollah tra i “gruppi terroristici”
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