Stop and go. Una costante delle relazioni tra la Turchia e l’Europa. Un passo in avanti, e uno indietro. Porte splancate, poi di nuovo il gelo. Ora siamo arrivati al punto in cui la corda non si può tirare più. Forse.
Cinquant’anni dopo aver mosso il primo passo verso l’integrazione europea, Ankara potrebbe essere pronta a mandare tutto all’aria. È stato il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan a rompere il tabù, dicendo che l’ingresso nell’Unione Europea non è più un obiettivo irrinunciabile per la Turchia.
Dopo costanti accenni della stampa al fatto che Ankara sta voltando le spalle all’Occidente per guardare sempre di più verso Oriente, il leader del partito islamico moderato Akp ha detto che «non è la fine del mondo se non ci lasceranno entrare nell’Unione Europea», accusando ancora una volta l’Europa di rallentare quel processo di membership che il suo governo e la sua nazione hanno fortemente voluto.
Fin qui il passo indietro. Poi quello in avanti. La nuova Francia di François Hollande, per bocca del suo ministro degli esteri, Laurent Fabius, ha fatto sapere il 12 febbraio che toglierà il veto su uno dei cinque capitoli negoziali bloccati dall’Ue, quello della politica regionale. La notizia è arrivata dopo un incontro con il suo omologo turco, Ahmet Davutoglu. Ma la via verso la completa adesione della Turchia è ancora lastricata di ostacoli. Anzi di veti. Sono 35 i capitoli che Ankara dovrà soddisfare per entrare nel consesso europeo. Su 16 di questi pendono i no di uno stato membro o della Commissione stessa.
Un percorso snervante. Che insinua però un dubbio pernicioso. Il primo ministro Erdogan ha detto più volte che i ritardi nell’inclusione del suo paese nell’Unione Europea sono – al fondo – delle obiezioni politiche e culturali, non delle questioni tecniche. In altre parole, se l’Europa volesse Ankara diventerebbe uno stato membro domani mattina. È un discorso che si sta facendo sempre più largo, in Turchia. Aumentano i turchi che pensano infatti che i veti e le condizioni poste dall’Europa sono solo delle tattiche per rallentare un processo che in realtà non può arrivare a compiersi. Perché? Perché l’Europa – è ciò che ha detto Erdogan e ciò che sottovoce dicono anche alcuni europei – non può includere nel suo recinto un paese musulmano.
La frustrazione di Ankara è diventata proverbiale. La novità è che si arrivati al grado massimo di disagio. Erdogan ha detto che la Turchia potrebbe scegliere di entrare – anziché in Europa – nella Shanghai Cooperation Organization, un’organizzazione che conta tra i suoi membri la Russia, la Cina e gli Stati dell’Asia centrale. Un bluff secondo alcuni editorialisti turchi. E anche per alcuni osservatori internazionali. «Il primo pensiero che viene sull’obiettivo di questa affermazione – scrive il giornale online russo pravda.ru – è il sospetto che la Turchia stia cercando di esprimere il suo disappunto per lo stallo in cui versano i negoziati sull’accesso nell’Unione Europea».
In realtà la Turchia di Erdogan sta anche cercando una sponda solida per la sua economia in crescita. Lo fa per soddisfare le sue esigenze di grande player geopolitico mediorientale, che vede la debolezza in cui si contorce l’Europa, assillata dai suoi problemi politici interni, e allora prova a guardarsi intorno. Ma il campo di gioco della Turchia non è infinito. Per gli Stati Uniti, per esempio, grandi sponsor dell’ingresso di Ankara nell’Ue, l’entrata della Turchia nella Shanghai Cooperation Organization (un’organizzazione vista come un baluardo anti-americano nell’Asia centrale) potrebbe essere incompatibile con il ruolo della Turchia nella Nato. Un problema non di poco conto per Ankara.
Secondo Hugh Pope, direttore dell’International Crisis Group di Istanbul, Erdogan sta solo cercando di guadagnare un po’ di popolarità attaccando l’Unione. «I turchi sono frustrati non solo non solo dai ritardi del processo di adesione – spiega in un’intervista al New York Times – ma anche dalle strettissime regole che fronteggiano per viaggiare in Europa». Murat Yetkin invece ha scritto su Hurryet Daily News che «è chiaro che le relazioni tra Turchia ed Unione Europea non possono andare molto lontano, un altro capitolo quest’anno, un accordo campato in aria il prossimo». In ogni caso sembra – ha aggiunto – «che né la Turchia né l’Unione Europea siano in grado di dichiarare il divorzio per primi. Forse perché entrambi sanno che strategicamente sarebbe un passo falso».
E siamo così tornai allo stop and go. Alla toccata e fuga. Ma fino a quando potrà ancora durare?
Immagine: Il ponte sul Bosforo a Istanbul, foto di Wajahat Mahmood (cc)