Gli europei hanno un interesse strategico a salvare il Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), l’accordo del luglio 2015 sul programma nucleare iraniano, anche dopo la decisione del presidente degli Stati uniti di uscirne unilateralmente. Va ricordato che l’accordo è stato firmato da Iran, Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Germania e Gran Bretagna, insieme all’Unione europea. «L’Europa ha in sostanza tre motivi per voler salvare l’accordo», ci dice Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari internazionali e consigliere dell’Alto commissario europeo per gli affari internazionali Federica Mogherini. «In primo luogo, è in gioco la non proliferazione atomica. Il Jcpoa impone dei limiti stringenti al programma nucleare iraniano, quindi garantisce che l’Iran resti nel quadro del Trattato di non proliferazione atomica. Nel momento in cui le minacce di proliferazione sono reali – basti pensare alla Corea del nord – è una follia andare a distruggere uno dei pochi elementi saldi di non proliferazione. Se anche l’Iran dovesse scegliere di uscire dall’accordo e ricominciare ad arricchire uranio, è assai probabile che l’Arabia Saudita sarà tentata di avviare un suo programma atomico, così la Turchia e forse l’Egitto; quanto a Israele sappiamo che è già ampiamente dotato di armi nucleari. Insomma, si scatenerebbe una corsa all’armamento atomico in una regione già incandescente, con buona pace del regime globale di non proliferazione. Il secondo motivo riguarda il Medio oriente: l’accordo sul nucleare certo non garantisce di per sé la sicurezza della regione, ma è altrettanto certo che un Medio oriente senza il Jcpoa diverrebbe ancora più instabile ed esplosivo di quando già sia. E questo avrebbe immediate ripercussioni negative in Europa».
Il terzo motivo è forse il più importante, spiega Tocci: «L’accordo si basa sul principio del multilateralismo e sull’idea che attraverso la diplomazia internazionale si possano raggiungere accordi. Ed è parte integrante del diritto internazionale, in quando è stato sanzionato da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’Unione europea, e i suoi singoli stati membri, non possono sopravvivere in un sistema che non sia multilaterale, governato da regole certe e incentrato sul diritto internazionale. Se un paese firmatario di un accordo sancito dal Consiglio di sicurezza decide di uscirne unilateralmente, perché ha un nuovo governo a cui l’accordo non piace più, viene meno uno dei principi cardine del diritto internazionale: pacta sunt servanda – i patti vanno rispettati. Ma in un mondo di stati-nazione forti e potenti, che dettano la propria legge senza regole certe, l’Unione europea, fatta di stati piccoli o meni, avrebbe la peggio. Salvare il multilateralismo è un interesse esistenziale per l’Unione europea».
L’Iran resterà nel Jcpoa se gli altri firmatari continueranno a osservarlo, ovvero se potrà continuare a godere dei benefici che dovevano essere garantiti dall’accordo – commercio, investimenti. Gli Stati uniti però hanno annunciato non solo sanzioni all’Iran ma anche a banche e imprese di stati terzi che facciano affari con l’Iran, le cosiddette “sanzioni secondarie”. Che strumenti ha l’Unione europea per dare a Tehran le garanzie che cerca?
«L’Unione europea sta lavorando per mettere in campo misure concrete in questo senso. Si tratta di una serie di misure inter-europee. Si parla ad esempio di una rivisitazione della cosiddetta “EU blocking regulation”, il regolamento che fu adottato negli anni Novanta per evitare che le aziende europee fossero colpite dalle “sanzioni secondarie” degli Stati uniti. Una misura simile avrebbe un valore importante, anche se soprattutto simbolico nei confronti dell’Iran. Un’altra strada che si sta esplorando, più promettente, è quella di aprire linee di credito per sostenere le esportazioni e investimenti in Iran, denominate in euro e non in dollari. Qualcosa di simile a quanto l’Italia ha già fatto con il governo uscente: un accordo siglato in gennaio una linea di credito di 5 miliardi di euro, gestita da Invitalia, per garantire le transazioni con l’Iran. Possiamo immaginare che servirà alle piccole e medie imprese, perché realisticamente quelle più grandi e più esposte con gli Stati uniti non vorranno rischiare. Un altro filone, collegato, è quello finanziario, cioè garantire che il sistema Swift resti aperto all’Iran. Sono tutte le misure inter-europee, che in questo momento è la cosa più importante: con questi passi molto concreti noi europei dimostriamo all’Iran che al di là delle dichiarazioni siamo seriamente impegnati a restare nel Jcpoa.
A questo vanno affiancate misure di carattere più politico: rafforzare il dialogo sia con gli altri firmatari, Russia e Cina, sia con l’Iran stesso. Qui si tratta di intavolare un dialogo politico su una serie di questioni regionali. È importante che non diventi una sorta di “tutti contro l’Iran”, ma al contrario sia articolato come un dialogo, a volte anche critico, su questioni strategiche e politiche di comune interesse. Per l’Iran sarebbe un ponte con l’Occidente, ormai l’unico rimasto, e dobbiamo credere che abbia tutto l’interesse a mantenerlo aperto – invece di puntare tutto solo sul canale russo-cinese».
La decisione del presidente Trump ha anche un risvolto sulle relazioni transatlantiche.
«Certo, e per questo resta importante anche il dialogo con gli Stati uniti: bisogna cercare di ragionare con l’amministrazione Trump, nei limiti del possibile. Anche perché siamo all’assurdo: Washington sanziona gli europei perché rispettano un accordo che gli stessi americani avevano negoziato e firmato, e che fa parte del diritto internazionale: il mondo sottosopra».
Nei mesi che hanno preceduto l’annuncio americano, diversi leader europei hanno tentato di convincere il presidente Trump a non uscire dal Jcpoa, proponendo diverse concessioni – nuove sanzioni, nuovi negoziati. Gli iraniani osservano che questo ha creato una “ambiguità”. Vuole commentare?
È vero. Tra l’ottobre 2017 fino a quando il presidente Trump ha annunciato la sua decisione, i tre paesi firmatari europei hanno tentato in vario modo di convincerlo. Ma nel disperato tentativo di discutere con Washington si sono dimenticati che l’accordo era con Tehran. Il loro è stato un tentativo in primo luogo inutile: Trump non è mai stato interessato a negoziare con l’Iran; cerca un cambiamento di regime, e considera che qualunque accordo sia una legittimazione del regime attuale. L’opzione che Trump restasse nell’accordo non esisteva, ed era tanto più chiaro con una figura come John Bolton alla Casa Bianca quale consigliere per la sicurezza nazionale. Ma quello degli europei è stato anche un tentativo dannoso perché ha suggerito, in modo implicito e a volte esplicito, per esempio da parte della Francia, che l’accordo è imperfetto. Un accordo è un compromesso, ciascuna delle parti ha ceduto su qualcosa: ma dire che va modificato significa indebolirlo. In questo senso è vero, c’è stata una ambiguità da parte europea. Il tentativo dei tre paesi europei è stato inutile verso gli Stati uniti, e dannoso per il nostro interesse di salvaguardare l’accordo».
Ha l’impressione che gli europei saranno uniti nell’implementare le contromisure economiche necessarie a salvaguardare il Jcpoa? O vedremo la corsa a fare ciascuno il proprio interesse, magari negoziare separatamente con gli Usa esenzioni per le proprie aziende che lavorano in Iran?
«In questa situazione le azioni a livello nazionale sarebbero comunque insufficienti: è necessaria un’azione comune europea. Ad esempio, il Consiglio europeo tenuto a Sofia ha parlato di linee di credito in euro gestite dalla Bei, la Banca Europea per gli Investimenti. L’Italia ha già la sua linea di credito e così anche la Francia e la Spagna: ma anche sommate sono poca cosa, mentre un’azione comune può diventare uno strumento molto più importante. No, non vedo per il momento divisioni inter-europee. Paradossalmente, la decisione di Trump ha unito l’Europa. Se il presidente americano avesse optato per un’uscita “soft”, semplicemente lasciando pendere la minaccia di uscirne nel futuro, avrebbe ucciso il Jcpoa di mille coltellate, rendendolo vano. Avremo visto gli europei dividersi tra i più o meno filoamericani, proprio come è successo negli ultimi mesi – cosa che ha già avuto un effetto lacerante sull’accordo. Il taglio netto dato da Trump ha superato tutto ciò. Ora l’Europa può solo rispondere in modo unito.