Le commemorazioni del 15 luglio e il nuovo mito fondativo della nazione

Un apparato simbolico per celebrare la “nuova Turchia” di Erdoğan

“Un dono di dio” ha detto Erdoğan. “Una vittoria per la democrazia”, ha dichiarato Abdullah Gül subito dopo nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016. È passato un anno dal mancato golpe in Turchia e un’enorme macchina celebrativa si è messa in moto per commemorare una giornata che è diventata il grande evento, la data fondativa della nuova repubblica turca di Erdoğan, la nuova Turchia che il leader turco progettava da anni e in cui non c’è più spazio per i diritti fondamentali della democrazia, violati giorno dopo giorno. La ‘Giornata della democrazia e dell’unità nazionale’, come è stata chiamata questo giorno di festa nazionale, paradossalmente sancisce ciò che in Turchia è andato gravemente scomparendo: lo stato di diritto e il riconoscimento, già assai debole e precario, della composizione plurale ed eterogenea della società turca. Oggi la Turchia è un paese in cui è impossibile esprimere liberamente la propria opinione e la polarizzazione e le spaccature sociali sono sempre più violente.

L’epopea

Sin dai primi giorni che hanno seguito il tentativo di golpe, Erdoğan e i suoi più fedeli collaboratori hanno cominciato a intessere una fitta trama narrativa in cui la tradizionale retorica ipernazionalista si intreccia alla formulazione di nuovi codici e simboli. L’immagine di Erdoğan in grandi dimensioni è andata ad affiancare e a sostituire quella che era l’indiscutibile immagine di Mustafa Kemal Atatürk; con un’operazione di toponomastica luoghi centrali della città di Istanbul e di Ankara sono stati ribattezzati con termini che richiamano la notte del golpe fallito; le bandiere rosse nazionali hanno progressivamente sostituito quelle bianche con la lampadina del partito Akp; enorme enfasi ha ritrovato la retorica del martirio e del sacrificio della nazione, persino insegnata ai bambini nelle scuole elementari. Ma basta in realtà soffermarsi su alcune immagini per capire il peso e l’importanza che ha la commemorazione del 15 luglio nella situazione politica e sociale della Turchia attuale e futura.

L’epopea del 15 luglio (‘15 Temmuz Destanı’): è stato così battezzato il susseguirsi degli eventi nella notte del fallito golpe. Una pagina di storia, di epica, scritta mentre ancora era in corso e prima ancora di far passare anche il minimo tempo necessario per una riflessione. Sfruttando l’esasperato tumulto di sentimenti – sgomento, paura, commozione – è stato messo in atto da subito un meccanismo di costruzione del mito, una narrazione curata di gesta eroiche che serve a segnare la nuova pagina di storia nazionale che Erdoğan firma per aggiungerla, se non addirittura sostituire, a quella kemalista, leggenda nazionale e mito originale. La scrittura e riscrittura degli eventi è di fatto uno dei primi passi per la fondazione dei nazionalismi e dei regimi autoritari.

Il sito web e la corporate identity

Per la commemorazione del 15 luglio è stato elaborato un apparato grafico istituzionale che da una parte segue i criteri della comunicazione aziendale, dall’altra richiama le strategie di propaganda di regime. In un sito web creato per l’occasione, alla voce ‘corporate identity’ è possibile scaricare i loghi in più formati, i modelli di bandiere, spillini, cappelli, magliette e persino delle cover dei cellulari. Se anche i siti ufficiali del governo e della presidenza della repubblica si aprono con una celebrazione del fallito golpe, questo sito web dedicato fornisce in realtà un quadro completo dell’insieme dei prodotti istituzionali concepiti per il 15 luglio. Così insieme al programma dettagliato di tutte le iniziative programmate nel fine settimana commemorativo, ci sono tutti i poster che anche a dimensioni colossali hanno tappezzato le strade delle grandi città; le musiche ufficiali tra cui la ‘Marcia del 15 luglio’ (un richiamo alla marcia dell’indipendenza che ancora si recita nelle scuole); i video che ricostruiscono in modo sensazionale quella notte. C’è poi tutto un ulteriore materiale concepito e graficamente costruito per la condivisione sui social media: loghi, banner, immagini di profilo da poter riprendere e condivide su facebook, instagram, twitter, youtube, google+. Tutto questo materiale, insieme a diverse brochure tra cui quelle descrittive dei due monumenti inaugurati per l’anniversario, sono liberamente scaricabili, secondo un’idea di condivisione aperta dei contenuti nella rete che cozza però brutalmente con il controllo e la censura dell’informazione che vige ad oggi nel paese.
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Il logo

Il logo del 15 luglio riprende il simbolo classico della bandiera nazionale, la mezzaluna con la stella, in cui risalta la cifra, il 15 che è la data del tentato golpe. Quindici sono però anche gli anni di governo dell’AKP, insediatosi per la prima volta alla fine del 2002.

I manifesti

Se nelle prime settimane che seguirono il tentato golpe ci fu una grande circolazione di immagini scattate in quella notte, così come foto delle persone rimaste uccise erano presenti in grande formato nelle metropolitane o ancora l’agenzia di stampa governativa Anadolu Ajansi pubblicava un fotoracconto degli eventi, per questa commemorazione la scelta è ricaduta su delle illustrazioni. I manifesti prodotti per la commemorazione hanno uno stile piuttosto riconoscibile: sembrano quasi dipinti a mano, un po’ retrò, dal tono quasi romantico e di sicuro melodrammatico ripropongono l’idea che, nonostante sia passato solo un anno, si riferiscano già a pagine di storia. Le immagini ritraggono scene della notte del 15 luglio: persone comuni scese in piazza per fermare con i propri corpi i carri armati, che sventolano bandiere, che festeggiano infine la vittoria.

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Donne e uomini, persone comuni, come ribadisce di frequente Erdoğan, sono i veri eroi del fallito golpe. A loro si contrappone l’immagine, che ha suscitato non poche polemiche, di un soldato in lacrime. Non solo perché emerso che il soldato ritratto è stato ripreso ignominiosamente da uno scatto del fotografo americano David Turnley di un militare durante la guerra del Golfo. Il motivo delle polemiche è legato all’immagine che rimanda a un soldato debole, in crisi, del tutto contrastante con la rappresentazione eroica, fiera, coraggiosa dei militari che da sempre è alla base dell’orgoglio nazionale turco. In realtà è anche questo però un passaggio importante degli eventi e della narrativa costruita intorno al fallito golpe. Il tradimento dei militari fornisce a Erdoğan l’ultimo tassello di una lunga campagna di screditamento dell’esercito che nel corso degli anni Duemila è passata per maxi processi – poi rivelatisi inconsistenti, riforme legislative, ridimensionamento dei poteri; tutte misure che hanno, da un lato, scalfito l’opinione pubblica di rispetto e timore nei confronti dell’esercito, dall’altro, ridefinito il suo ruolo nella scena politica.

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I monumenti

Nel programma delle celebrazioni i due maggiori eventi si sono svolti il 15 notte a Istanbul e il 16 a Ankara e hanno visto l’inaugurazione da parte di Erdoğan di due enormi monumenti in onore dei caduti (i ‘martiri’ e i ‘veterani’, in turco şehit ve gaziler). A Istanbul il monumento è stato costruito all’ingresso del ponte del Bosforo, già rinominato un anno fa ‘ponte dei martiri del 15 luglio’, sul lato asiatico. Un enorme struttura pentagonale, alta nove metri e mezzo con un diametro di undici metri, che richiama un’enorme cupola composta da archi al cui interno sono trascritti i nomi delle 250 vittime. Al suo interno i visitatori possono ascoltare la preghiera che viene trasmessa di continuo e recitare il Corano, come hanno fatto del resto anche il presidente della repubblica e il capo del governo alla sua inaugurazione. 

Il monumento inaugurato il 16 ad Ankara, situato di fronte il palazzo presidenziale, pur riprendendo l’architettura dei monumenti nazionali repubblicani, ha delle misure colossali: 31 metri di altezza e una superficie alla base di 2.500 metri quadrati. Una sorta di enorme obelisco sorretto da quattro fasce laterali su ognuna delle quali è riportato il nuovo motto nazionalista ribadito anche all’ultimo congresso dell’Akp: un’unica patria, un’unica nazione, un’unica bandiera, un unico Stato (tek vatan, tek millet, tek bayrak, tek devlet). Di fatto è un monumento al culto nazionalista, in cui si riprendono i simboli classici della mappa geografica e della bandiera, oltre al simbolo della mezzaluna con la stella che sovrasta il tutto, insieme però alla rappresentazione scultorea di una massa di gente, che rappresenta la ‘lotta nazionale’ e che ricorda un’immagine analoga di un video di propaganda elettorale dell’Akp. Anche il monumento di Ankara è stato inaugurato con una preghiera per i caduti e nella parata che ha accompagnato la manifestazione non sono mancate le figure in costume che già più volte sono state notate in incontri ufficiali nel palazzo presidenziale.

Il telefono antigolpe

Il giorno in cui si aprirà un museo del 15 luglio, un piccolo piedistallo in una teca di rilievo sarà posizionata per appoggiarvi lo smartphone con cui Erdoğan ha fatto la sua prima comparsa nella notte del golpe, dopo che i carri armati erano in strada e gli F16 solcavano i cieli della capitale. In quel piccolo schermo mantenuto dalla mano di una conduttrice televisiva, Erdoğan avrebbe incitato la popolazione a scendere per strada, a contrapporsi ai militari, a difendere la nazione.

Non poteva quindi mancare il giorno delle celebrazioni una speciale operazione di propaganda che ha sorpreso non pochi cittadini turchi: ogni chiamata nella giornata del 15 luglio era gratuita e preceduta, nolente o volente, da un messaggio del presidente della repubblica in cui commemorava le vittime e celebrava la giornata della democrazia e dell’unità nazionale.

La TürkTelekom inoltre per l’occasione ha persino organizzato un concorso per immagini tra gli studenti delle scuole superiori per scegliere la propria immagine della “vittoria della democrazia del 15 luglio”. Per certi versi non molto diversa dall’immagine del soldato in lacrime, riporta anche il celebre telefonino.

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Il sangue per la nazione

Nell’ambito del programma più ampio che ha accompagnato le celebrazioni del golpe e che parallelamente è stato organizzato anche da altre istituzioni ci sono diverse iniziative che non hanno meno valore simbolico. Tra queste la donazione di sangue in postazioni appositamente organizzate dai dipartimenti sanitari regionali e strutturati in numerose città in tutto il paese. L’idea di sacrificio, donando il sangue alla propria nazione, si traduce in un’azione concreta, che muta un’azione del quotidiano in un piccolo gesto eroico. Solo nella costa occidentale egea sono state aperte circa 1500 postazioni ma molte altre sono state sistemate negli uffici pubblici. È evidente come anche attraverso queste iniziative si contribuisce a un discorso simbolico impregnato di nazionalismo.

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La dura realtà

Mentre la macchina celebrativa del fallito golpe contribuisce a scrivere e promuovere il nuovo mito di una nazione risorta, in realtà pochissima chiarezza è stata fatta sul corso degli eventi di quella notte, sulle responsabilità e sul coinvolgimento degli apparati civili nell’organizzazione del colpo di Stato. La commissione di inchiesta parlamentare ha chiarito che il golpe è stato anticipato di qualche ora e conferma l’accusa contro Fethullah Gülen ma non è chiaro come mai ad esempio i servizi segreti non abbiano avuto notizia di quello che stava avvenendo e, nonostante si avesse idea da tempo che il movimento Gülen stesse programmando di rovesciare il governo, non siano stati capaci di intercettare e sventare il piano. Il leader dell’opposizione Kılıçdaroğlu ha più volte affermato, anche al termine della marcia della giustizia di cui è stato il promotore, che si è trattato di un “golpe controllato”. Erdoğan da parte sua continua a dichiarare che il paese è ancora a rischio legittimando uno stato di emergenza appena rinnovato per altri tre mesi e oramai in vigore da un anno. Uno stato di emergenza che ha permesso la chiusura di centinaia di mezzi di informazione, ha facilitato il licenziamento di 150 mila dipendenti pubblici e il fermo e l’arresto di giornalisti, accademici, scrittori, attivisti dei diritti umani, come denunciato anche negli ultimi rapporti di Amnesty International e del Parlamento europeo. L’accusa di terrorismo e di fiancheggiamento pende minacciosamente contro chiunque sollevi una voce di dissenso mentre nel fervore dell’orgoglio nazionale ferito si ritorna a parlare di pena di morte.

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