Pubblichiamo di seguito il testo che Sergei A. Medvedev, professore alla Higher School of Economics di Mosca, presenterà venerdì 27 ottobre alla conferenza “Dimensions and Challenges of Russian Liberalism” presso l’Università di Torino inaugurata il 26.
Una versione parziale è stata pubblicata sul quotidiano La Repubblica il 25 ottobre.
- La cultura è sempre sopravvissuta, sotto qualsiasi regime totalitario: Carl Orff scrisse musica, Wilhelm Furtwangler fece alcune delle sue registrazioni migliori con la Filarmonica di Berlino e Herbert von Karajan prosperò sotto il regime nazista (si iscrisse perfino al partito, due volte). Jorge Luis Borges scrisse le sue immortali opere sotto Perón, senza quasi accorgersi del regime politico. Ma ci sono altre storie: Thomas Mann e Herman Hesse dovettero fuggire dalla Germania nazista e Julio Cortázar, noto per le sue idee antiperoniste, trascorse metà della sua vita a Parigi e morì lì, così come Orhan Pamuk, contestatore dichiarato del regime turco, risiede ora a New York, lontano dalla sua amata Istanbul.
Ci sono molte posizioni e interpretazioni su questo grande tema, e alla fin fine tutto si riduce alla scelta individuale dell’artista. Qualcuno sostiene perfino che l’arte può fiorire sotto un Governo totalitario, che di solito investe fortemente nella sfera del simbolico e coccola i suoi artisti, o produce in modo controverso una tensione creativa tra il Governo e l’artista, com’è evidente, per esempio, nella musica di Dmitrij Sciostakovic.
- Il caso russo, tuttavia, presenta delle peculiarità significative. Innanzitutto è caratterizzato da un’economia distributiva e da una società corporativa, per usare le definizioni del sociologo Simon Kordonskij. Le industrie creative sono parte del sistema distributivo statale, perché i trasferimenti pubblici, anche in condizioni di mercato, rappresentano il grosso delle loro entrate. Analogamente, la maggior parte degli artisti e scrittori è iscritta alle corporazioni statali, legate da un certo codice corporativo e da istituzioni professionali. Ce ne sono molti, ovviamente, che rimangono fuori dal sistema e sopravvivono unicamente con la vendita dei loro prodotti, ma la produzione culturale dominante dipende fortemente dallo Stato, e in provincia artisti e scrittori sono sottoposti a una vigilanza particolarmente stringente.
La situazione è dualistica: da un lato lo Stato può erogare indennità e donazioni importanti (per esempio, il popolare e controverso regista teatrale Kirill Serebrennikov ha ricevuto sostanziosi finanziamenti pubblici per le sue produzioni), ma dall’altro pretende sempre più spesso lealtà politica e conformità ideologica alle posizioni ufficiali.
- La situazione si è notevolmente deteriorata in questo decennio. Lo Stato, la Chiesa ortodossa, gli attivisti conservatori e i fondamentalisti radicali hanno tutti calpestato la libertà artistica.
- È innanzitutto un’offensiva dello Stato russo, che punta a riconquistare sfere di autonomia politica, economica e sociale, nell’ambito di un assalto su larga scala contro la società russa. L’istruzione, la politica della memoria, la cultura e l’arte sono tutti ambiti dove il controllo dello Stato si fa sempre più stringente, dov’è in corso una «nazionalizzazione»: sono considerate «cinghie di trasmissione» della politica culturale nazionale, che mette l’accento sul patriottismo, la contrapposizione con l’Occidente e i criteri morali esclusivi della Russia, così come formulati e promossi dal ministro della Cultura Vladimir Medinskij.
- In secondo luogo, c’è il crescente ruolo politico e pubblico giocato dalla Chiesa ortodossa russa, su iniziativa non soltanto dal patriarca Cirillo I, ma anche del «cardinale ombra» della politica russa, l’archimandrita Tichon (Scevkunov), confessore personale di Putin. La Chiesa, in contraddizione con la Costituzione, che proclama che la Russia è uno stato laico e multiconfessionale, cerca sempre più di proporsi come custode e autorità massima nel campo dell’istruzione pubblica, della moralità e della cultura.
- In terzo luogo, la svolta conservatrice in corso nella politica russa ha risvegliato le forze clericali e fondamentaliste della società, smaniose di censurare qualsiasi forma di cultura moderna. La crociata morale ormai è diventata il marchio di fabbrica del nuovo conservatorismo russo, con la stigmatizzazione della decadenza e permissività della cultura occidentale e l’enfatizzazione della superiorità morale della cultura russa. L’offesa e l’indignazione sono diventate il discorso pubblico dominante in Russia: i gruppi di «offesi» includono diverse categorie, dai militanti cristiani ortodossi e «veterani» vari agli «ufficiali» e ai «genitori preoccupati». Questa gente ormai sta dettando i nuovi limiti della cultura e dell’arte.
Il discorso culturale in Russia è dunque delimitato dal triangolo fra Stato, Chiesa e militanti che parlano in nome del «pubblico indignato».
- La storia recente della Russia è piena di casi di censura, stigmatizzazione e distruzione di opere d’arte o gravi limitazioni della libertà artistica. Per citare alcuni dei casi più eclatanti, il pogrom contro la mostra «Attenti alla religione» al Centro Sakharov nel 2003, o la distruzione delle sculture di Vadim Sidur alla mostra nel Maneggio di Mosca per mano di attivisti ortodossi nel 2015. Nello stesso anno, la controversa rappresentazione del Tannhäuser di Richard Wagner era sfociata nell’apertura di un’indagine giudiziaria contro il regista Timofej Kuljabin, mentre le rappresentazioni del musical Jesus Christ Superstar a Omsk e a Rostov sul Don erano state annullate per le proteste di attivisti ortodossi e cosacchi, che accusavano l’opera di mettere in ridicolo l’immagine del Cristo. Il paradosso è che lo stesso musical ai tempi dell’Unione Sovietica era considerato propaganda religiosa: e ora è blasfemia. Nell’ottobre del 2015, una mostra a Mosca del fotografo americano Jock Sturges, che esibiva ritratti di bambini nudi e delle loro famiglie, ha dovuto chiudere dopo che un gruppo militante, gli «Ufficiali di Russia», aveva bloccato l’accesso alla galleria, e un manifestante aveva portato una bottiglia di urina da lanciare sulle foto. Episodi di intimidazione e ostruzione dell’arte come questi sono molto numerosi.
Nemmeno l’industria del cinema è immune da queste pressioni: l’uscita di Leviathan, il film del regista Andrej Zvjagintsev, acclamato dalla critica, è stata accompagnata da una campagna ostile della stampa russa, che lo giudicava un film antirusso; e il recente film di Aleksej Ucitel’, Matilda, che racconta una storia d’amore tra il futuro zar Nicola II e la ballerina Matilda Kscessinskaja, ha scatenato le accese proteste dei fondamentalisti ortodossi, che lo considerano una diffamazione del santo zar e hanno dato fuoco a sale cinematografiche e automobili, costringendo molti cinema ad annullare le proiezioni.
- Non si può parlare del rapporto fra arte e Stato in Russia senza menzionare il procedimento penale contro Kirill Serebrennikov. Regista di fama internazionale e un tempo beniamino di una parte del potere russo, Serebrennikov e il suo innovativo progetto teatrale Gogol-Center si sono ritrovati invischiati in un’inchiesta penale che include accuse di frode e malversazione. Il regista è attualmente agli arresti domiciliari. Potrebbe essere visto come un caso di rilevanza esclusivamente giudiziaria, ma in Russia l’azione della magistratura è selettiva e casi di così alto profilo sono inevitabilmente politici. È un chiaro segnale all’élite creativa: nessuno è immune. In precedenza, quest’anno, Serebrennikov aveva dovuto fare i conti con la censura, quando la prima del suo balletto Nureev, in cui non si faceva segreto dell’omosessualità del leggendario ballerino, era stata bruscamente cancellata al Bolscioi (ora è stata riprogrammata per l’inizio di dicembre). Insomma, il procedimento giudiziario in corso contro il regista va collocato in questo contesto.
- Proporre un messaggio artistico indipendente è ancora possibile nella Russia di oggi? In casi ben precisi, sì. Uno di questi è teatr.doc, una piccola compagnia teatrale indipendente di Mosca che realizza spettacoli critici e spregiudicati e si finanzia interamente con la vendita di biglietti e le donazioni. Le autorità comunali la ostacolano e ha dovuto spesso cambiare sede, ma sopravvive e continua a godere di popolarità. L’arte non ufficiale riesce ancora a trovare una strada per arrivare al pubblico, specialmente nel campo delle arti visive, ma rimane ai margini della cultura mainstream. Ogni volta che un’opera d’arte acquisisce un’importanza tale da diventare visibile per il grande pubblico, deve conformarsi alle istituzioni culturali ufficiali: lo Stato può metterla al bando o sostenerla, ma anche in questo secondo caso molto spesso è un abbraccio soffocante.
- Per concludere, dobbiamo accennare all’arte di protesta, quella che lancia un messaggio politico. Il caso più eclatante è Pëtr Pavlenskij, un action artist che usa il suo corpo come medium per creare performance memorabili: cucirsi la bocca di fronte alla cattedrale di Kazan’ a San Pietroburgo nel 2012, inchiodare il proprio scroto al selciato della Piazza Rossa a Mosca nel 2013, avvolgersi nudo in un bozzolo di filo spinato nello stesso anno, dare alle fiamme una barricata di copertoni a San Pietroburgo a sostegno delle proteste del Majdan a Kiev nel 2014, e infine appiccare il fuoco alle porte dell’edificio dell’Fsb (i servizi segreti) a piazza Lubjanka a Mosca, nel novembre del 2015. Per la sua ultima azione è stato incriminato per vandalismo e condannato a una pesante multa. Ora è fuggito in Francia con la sua famiglia, chiedendo asilo politico: e questo, probabilmente, è un segnale sinistro sulla sorte che attende l’arte di protesta in Russia.
Traduzione di Fabio Galimberti
Photo: Vasily MAXIMOV / AFP