L’arresto di Rached Ghannouchi:
la fine dell’eccezione tunisina

Dodici anni dopo la Rivoluzione dei Gelsomini, si sta chiudendo il sipario anche su quella che, per alcuni anni, è stata l’unica democrazia del mondo arabo: la Tunisia. Il 15 maggio 2023, lo storico leader dell’opposizione Rached Ghannouchi è stato condannato a un anno di carcere. Il suo partito di ispirazione islamica Ennahda (“La Rinascita”) era la forza maggiore del Parlamento tunisino, prima che il presidente Kais Saied sciogliesse le Camere nel luglio 2021 e iniziasse a governare per decreto.

L’arresto di Ghannouchi sembra far parte di un giro di vite sul dissenso politico che si è accentuato all’inizio del 2023 ed è iniziato almeno un anno fa, secondo Andrew March, professore dell’Università di Amherst e autore di Islam and Liberal Citizenship: The Search for an Overlapping Consensus (Oxford, 2009) e The Caliphate of Man: The Invention of Popular Sovereignty in Modern Islamic Thought (Harvard, 2019).

Professor March, 13 anni fa il sociologo Larry Diamond scriveva “Perché non ci sono democrazie arabe?”. Un anno dopo si apriva una stagione di speranza per correggere questo fatto, e per circa un decennio in Tunisia è stato in funzione un sistema democratico. Cosa è andato storto?

“In parte ciò che è andato storto è riconducibile a quello che ha invece funzionato. Fin dall’inizio in Tunisia c’è stato un risultato politico molto pluralista: nessun partito politico aveva la maggioranza, per non parlare di una maggioranza netta. Pertanto, tutti i partiti hanno dovuto lavorare insieme e nessuno ha pensato che un solo partito avesse il potenziale per dominare l’intero sistema politico. A differenza dell’Egitto, dove i Fratelli Musulmani continuavano a vincere le elezioni e gli altri partiti politici sentivano che non avrebbero avuto alcun impatto all’interno del sistema politico e nessuna possibilità democratica di sostituirlo, in Tunisia tutti i partiti hanno dovuto lavorare insieme e hanno dovuto creare un sistema politico, risolvere le crisi e formare governi attraverso la collaborazione“.

Questo è stato molto evidente nel processo costituzionale, soprattutto quando il compromesso è stato messo a rischio e una Commissione per il consenso è riuscita a tenere uniti gli opposti schieramenti del Parlamento e a evitare un conflitto che avrebbe potuto essere violento e dirompente.

“Esattamente. Questo è accaduto in diverse circostanze. In primo luogo, nella stesura della Costituzione, che ha richiesto tre anni, ma ha avuto una base di consenso molto ampia. Poi, dopo la crisi del 2014 con la formazione di un accordo, la coalizione tra due nemici politici: il partito democratico musulmano Ennahda e il partito laico Nidaa Tounes. I loro due leader, rispettivamente Rached Ghannouchi e Beji Caid Essebsi, hanno formato un accordo per evitare la crisi politica. Tuttavia, la presenza di molti partiti senza una maggioranza dominante, insieme a una democrazia basata sul consenso delle élite, ha portato a continue crisi nella formazione dei governi. Questo sommato alla crisi economica, alla disoccupazione, al COVID-19 e alla corruzione, ha reso lo stesso Parlamento tunisino molto impopolare.

E mentre l’accordo tra Essebsi e Ghannouchi ha eliminato la possibilità di un colpo di Stato o di qualsiasi tentativo di esclusione/criminalizzazione di Ennahda da parte del vecchio regime – mantenendo tutti nel sistema politico – dopo la morte di Essebsi e l’elezione di questo professore di diritto, un candidato indipendente, Kais Saied, nel 2019 qualcosa è cambiato. Credo che nessuno avrebbe potuto prevedere che Saied avrebbe avuto l’ambizione di sospendere il Parlamento e di prendere lui stesso il controllo del sistema politico. Si pensava che Saied sarebbe stato debole: non aveva un partito ed era fuori dal sistema. In sintesi quindi parte di ciò che è andato storto è strutturale, parte è accidentale e si basa sulla personalità di questo particolare dittatore”.

Lo scorso aprile Ghannouchi è stato arrestato e di recente è stato condannato a un anno di carcere con l’accusa di aver complottato contro la sicurezza dello Stato, dopo “dichiarazioni di incitamento”. Queste accuse hanno una qualche credibilità? Non era piuttosto ragionevole quello che ha detto in una riunione dell’opposizione: “La Tunisia senza Ennahda, senza l’Islam politico, senza la sinistra o qualsiasi altra componente è un progetto di guerra civile”, intendendo che l’arresto di un leader che crede nella democrazia aiuterà l’Islam radicale?

“È tutto politicamente motivato. Prima di Ghannouchi, sono finiti in arresto una lunga serie di prigionieri politici tunisini, soprattutto nell’ultimo anno: alcuni membri del suo partito, Ennahda, ma anche molti leader laici, molti leader di sinistra, femministe. Non si tratta solo di Ghannouchi e non si tratta solo di islamisti o di democratici musulmani. Inoltre, nell’ultimo anno e mezzo, ci sono state udienze per interrogare Ghannouchi su diverse questioni. Una riguardava l’invio di combattenti in Siria durante la guerra civile, l’altra un caso di corruzione. Tutti casi che i giudici hanno deciso di non perseguire.

Come ha detto lei, questa volta la causa scatenante è stato un discorso tenuto da Ghannouchi dove ha affermato che gli sforzi di Saied per escludere la sinistra e gli islamisti sono sforzi per causare una guerra civile. È molto ironico che lo abbiano accusato di fatto di incitamento a cambiare il sistema politico, quando è stato il presidente Saied a sospendere unilateralmente il Parlamento e a modificare la Costituzione, in modo antidemocratico”.

Oggi Ennahda è un partito politico moderato. Come ha ricordato, in passato ha formato una coalizione con Nidaa Tounes e hanno governato insieme. Gli atti di Saied non saranno invece visti come un messaggio, che la democrazia e la moderazione non funzionano?

“Molti musulmani lo sostengono, riferendosi sia ai Fratelli Musulmani in Egitto e alla Tunisia, sia, in una certa misura, a Erdogan in Turchia: ‘Ci avete detto che la democrazia è un percorso verso una sorta di ordine democratico praticabile. Ma guardate cosa è successo’. Il messaggio è che questa promessa democratica è essenzialmente vuota”.

In che modo la situazione economica tunisina ha influenzato tutto questo?

“Ha avuto l’influenza maggiore e non è una novità. Le transizioni democratiche in Europa orientale dopo il 1989 o il 1991 sono state spesso seguite da lunghi periodi di miseria. Molto spesso i movimenti protestano contro i regimi autoritari a causa di una certa frustrazione economica e vogliono sostituire il regime, sbarazzarsi dei governanti corrotti e portare la democrazia non solo per acquisire i diritti politici, ma per migliorare le proprie condizioni materiali. E la democrazia non è per forza garante della crescita o della stabilità economica.

È importante ricordare che gran parte del sostegno a Saied non era solo opposizione a Ghannouchi e ad Ennahda, ma contro la politica in sé, contro l’intero parlamento, l’intero sistema politico, l’intera idea di un sistema politico democratico. Cosa fa la democrazia per noi? I partiti politici sono corrotti, hanno interessi propri, non sono motivati dall’interesse della nazione. Mentre un uomo, se ha sufficiente integrità e onestà, può rappresentare i desideri del popolo. Questa è una risposta molto, molto comune alla democrazia”.

Cosa avrebbero dovuto fare gli Stati Uniti, ma anche l’Unione Europea, per aiutare la democrazia tunisina?

“Penso che gli Stati Uniti e l’Unione Europea avrebbero dovuto opporsi fermamente al colpo di Stato di Saied e fare enormi pressioni su di lui per ripristinare il Parlamento. Il problema è, innanzitutto, che il Paese storicamente più vicino alla Tunisia, la Francia, è prevenuto nei confronti di tutto ciò che riguarda l’Islam, anche moderato, al governo. Così, i francesi sono stati i primi a dare legittimità a Saied. Mentre gli americani o non pensano di avere abbastanza interessi lì o non credono nella democrazia nei Paesi arabi”.

Tuttavia, dal punto di vista europeo, la Tunisia è diventata sempre più strategica, ad esempio per la migrazione…

“Gli europei vedono Paesi come la Tunisia, la Libia o la Turchia, come colli di bottiglia per la migrazione verso l’Europa. Ciò significa che non si preoccupano della democrazia in sé, se Saied, ad esempio, è disposto a offrire loro una maggiore cooperazione per prevenire la migrazione verso l’Europa. Come sapete si è impegnato in un’orribile retorica razzista sui migranti subsahariani, parlando di una sorta di sostituzione della popolazione araba. Si è lasciato andare alla stessa retorica razzista si alcuni politici statunitensi ed europei.

Ciononostante, temo che l’interesse dei Paesi europei a ripristinare quella che era una democrazia con risultati molto contrastanti non sarà un fattore motivante così forte da indurre i primi ministri e presidenti europei, che devono rispondere al proprio popolo, molto sensibile alla questione della migrazione, a preoccuparsi del ripristino del Parlamento tunisino più dei propri interessi”.

Potremmo dire che dopo aver avuto in Tunisia un esempio di applicazione della strategia del compromesso o del consenso in un momento molto rischioso tra il 2013 e il 2014, i protagonisti che avevano lavorato per questo stanno ora scomparendo dalla scena. Vede possibili dinamiche virtuose all’interno del Paese che possano fermare questo crollo?

“Sono molto difficili da vedere, perché Saied è molto testardo, insistente, avventato, ed ha allontanato molti dei suoi consiglieri e sostenitori più stretti. Non conta su una coalizione, diciamo sui sindacati o su certi tipi di élite laiche, che gestisce attraverso una sorta di contrattazione dietro le quinte. E al tempo stesso non sembra esserci alcuna spinta da parte di coloro che all’inizio erano forse favorevoli al colpo di Stato a sostituire Saied o a tornare indietro.

Molte persone lo sostengono a gran voce, ma i suoi referendum hanno avuto un’affluenza molto scarsa: tra l’8 e il 10 per cento per il suo referendum costituzionale e la finta elezione di un finto Parlamento. Non è chiaro quanto sostegno attivo abbia e, in parallelo, non è chiaro quanto sostegno ci sia per ripristinare il precedente Parlamento o la precedente Costituzione. Non sono a conoscenza di “crepe” che potrebbero portare a una sorta di transizione di compromesso verso la democrazia.

Inoltre, sembra che abbia sempre più successo nell’intimidire i giudici e nel fare il suo lavoro, come nel caso della detenzione di Ghannouchi e delle decine di altri prigionieri politici. Al momento non vedo nessun tipo di debolezza o un punto di svolta per cui essere ottimisti”.

Quale sarà il futuro di Ennahda?

“Ennahda è praticamente criminalizzato in questo momento. Non può operare. Se il regime di Saied dovesse cadere, allora riemergerebbe come il partito politico meglio organizzato e più determinato. Ma al momento è molto inattivo e non ha risposto a questa situazione con una dimostrazione di forza, nemmeno come è successo in Egitto con il sit in dopo il colpo di Stato, o piuttosto in altri luoghi. Ennahda sta adottando un approccio molto passivo. Non so se la speranza sia che a un certo punto Saied cada e se stia solo aspettando il momento giusto o se stia invece cercando di evitare di provocare il regime o di dare al regime una scusa per intraprendere una repressione più completa. Al momento Ennahda è praticamente clandestino”.

 

Foto di copertina: alcuni sostenitori di Ennahda di fronte al Polo giudiziario Anti Terrorismo a Charguia, Tunisi, 21 febbraio 2023 (foto di Yassine Mahjoub/NurPhoto via AFP).

 

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