Da Reset-Dialogues on Civilizations – La riconferma di Obama alla Casa Bianca ha provocato tendenzialmente due tipi di reazione nei paesi arabi: un profondo sospiro di sollievo, spesso problematizzato e contestualizzato con mille “ma” e lo sconforto di una profonda disillusione, espressa con un ampio ventaglio di sfumature, un “comune sentire” della società araba nei confronti del governo degli Stati Uniti visto spesso come ostile, quando non proprio percepito come nemico “a priori” per numerosi motivi storici e più recenti. La maggioranza dei mass-media, soprattutto i canali più seguiti – tra cui la Tv satellitare Al Jazeera e la concorrente Al Arabiyya, e tanti altri che sono stati esaminati, i più prestigiosi quotidiani in lingua araba, come Al Hayyat o Al Sharq al Awsat – nonché i social media, hanno accolto con soddisfazione la notizia della riconferma del mandato, pur denunciando frequentemente l’improbabilità di un radicale cambiamento nell’indirizzo della politica estera americana e manifestando un atteggiamento ambivalente, che oscilla tra la speranza di un miglioramento concreto e il disincanto, espresso da chi si ritiene vittima di profonde ingiustizie.
Obama è stato eletto da una percentuale pressoché “bulgara” dei musulmani statunitensi. Ma il sostegno ad Israele, la presenza militare in Afghanistan, la gestione dell’insurrezione siriana e la sua indecisione in politica estera, non stanno piacendo ai mass-media arabi, né al grande pubblico che di questi media è il fruitore. Altrettanto dannoso per l’immagine democratica la mancata soppressione della prigione di “Guantanamo”, promessa sin dalla campagna elettorale per il primo mandato (ferita che rimarrà aperta finché quel carcere non vedrà la definitiva chiusura). Tuttavia la sua personalità carismatica, il suo essere il primo Presidente “nero” in una nazione identificata in maggioranza come “bianca”, i suoi tratti biografici: portare un nome musulmano; il suo primo indimenticato, discorso del Cairo rivolto al mondo arabo; la scelta del ritiro delle truppe americane dall’Iraq e la sua promessa di fare altrettanto in Afghanistan, la determinazione dimostrata contro le numerose pressioni israeliane volte ad attaccare gli impianti nucleari in Iran, l’intervento diretto in Libia e l’approccio democratico verso le “primavere arabe”, rendono Obama un personaggio senz’altro meno sgradito di Mitt Romney. Questi è stato invece percepito troppo in continuità con George W. Bush, che, come lui, è stato descritto quale ultra islamofobo e guerrafondaio.
Su tutti i media arabi, le tv satellitari, i canali locali, i quotidiani nazionali, locali e internazionali, le questioni di politica estera che appaiono immediatamente come interrogativi principali, che sono percepite come dirimenti e presentate all’opinione pubblica, sono essenzialmente cinque, declinate in ordine variabile di importanza a seconda del paese, della classe sociale, della sensibilità religiosa o della preferenza politica. 1) il pericolo del nucleare iraniano e l’aggressività di Israele. 2) la “lotta di liberazione” siriana. 3) il conflitto israelo-palestinese, con la – sempre più pallida – speranza di poter creare finalmente almeno le premesse, per l’ipotesi di creazione di uno Stato palestinese. 4) la guerra in Afghanistan, per la quale Obama è preso in parola, con l’aspettativa di un ritiro totale delle truppe nel 2014. 5) l’atteggiamento dell’amministrazione USA verso i protagonisti delle “primavere arabe”.
Al Jazeera insiste soprattutto sulla questione siriana. La maggiore diffidenza manifestata verso Romney dal canale satellitare del Qatar, deriva da un significativo argomento “tecnico” sollevato da numerosi analisti, interrogati e chiamati a pronunciarsi pubblicamente sull’emittente: mentre Obama conosce la questione siriana ormai nei dettagli, a Romney l’aggiornamento sul “al milaff al surii ” – sulla questione siriana – richiederebbe almeno 6 mesi di attento studio. Questo argomento viene riproposto spesso, ad esempio anche il prestigioso quotidiano libanese edito a Londra Al Hayyat, in un significativo articolo intitolato “La vittoria di Obama è una buona notizia, ma l’amore degli americani può essere un amore che uccide”, ricorda che “nella competizione (tra Romney e Obama) non sarebbe cambiato molto rispetto alla questione del supporto all’opposizione e alla caduta di Assad, ma (Romney) avrebbe avuto bisogno di almeno sei mesi per implementare qualsiasi politica verso la Siria, che non era tra le sue priorità nel caso di vittoria. Sei mesi equivalgono ad un’eternità per il popolo e altre migliaia di morti e distruzione.” Generalmente disillusi sul fatto che l’amministrazione Usa intervenga in Siria direttamente, i media arabi, Al Jazeera in particolare, manifestano la speranza che aumenti notevolmente il contributo in armi che la nuova amministrazione Obama potrà fornire ai ribelli. Rispetto alla problematicità dell’intervento militare statunitense, si considera criticamente la mancanza di unità internazionale, con Russia e Cina – le quali continuano a sostenere il regime di Assad – che si oppongono a qualsiasi tipo di intervento diretto. La considerazione principale è che, senza unità internazionale, risulta difficile muovere in guerra, e per questo l’ipotesi viene considerata praticamente impossibile. Si auspica piuttosto un ammorbidimento delle posizioni russe e cinesi, che godono di diritto di veto all’ONU, al fine di fermare almeno il bagno di sangue in atto, imputato dalla maggioranza delle televisioni arabe al “tiranno” Bashar al Assad.
Obama viene spesso criticato sulla questione israelo-palestinese, che può ritenersi la più controversa e dibattuta e su cui riceve severissime contestazioni nel mondo arabo. Il Presidente americano viene accusato di subire l’influenza e la potenza delle “lobby sioniste”, per quanto gli venga comunque riconosciuta largamente una maggiore vicinanza alle istanze di pace e una minore vicinanza all’attuale governo israeliano rispetto a Romney, mentre di quest’ultimo viene sistematicamente ricordato al pubblico che, pur accettando apparentemente la soluzione pacifica di “due popoli in due Stati”, è pur stato il candidato esplicitamente sostenuto da Netanyahu.
Non è stato dimenticato il famoso discorso di Obama dell’Università del Cairo, all’inizio del suo primo mandato nel 2009, che a tratti viene riproposto, in sostegno alla piena realizzazione dell’avvio di un processo di pace con la cessazione del conflitto israelo-palestinese. Tuttavia prevalgono i timori e spesso la convinzione che la forza della “lobby pro-Israele” vinca ancora una volta sulla giustizia e sul diritto dei palestinesi ad avere una terra.
Tra coloro che sperano nelle abilità diplomatiche della Presidenza USA “spicca” il Primo Ministro tunisino, del partito islamico “An-Nahda” (“La Rinascita”), Hamady al Jabaly, il quale sulla inglese BBC Arabic, intervenendo rispetto alla complessa questione palestinese, testimonia la sua ampia fiducia in Obama, che ritiene in grado di poter trovare il modo per una seria ripresa delle trattative. Sulla spinosa questione palestinese anche “Hamas” prende parola, per voce del suo leader a Gaza Mahmud Zahri, fautore della linea dura, che spende parole di fuoco contro Obama, considerato contrario alla riconciliazione inter-palestinese e prono agli “interessi sionisti”.
Solo alcuni esponenti di Hamas si schierano contro Obama in maniera così decisa, accostandosi all’area dell’islam radicale salafita, poiché nemmeno “Hamas” è così compatta al suo interno, in quanto la parte più pragmatic, vicina all’ex-premier Ismail Haniyyeh, dimostra, anche attraverso il tono delle interviste, di alimentare qualche speranza in Obama e una pronta disponibilità al dialogo con l’Amministrazione democratica. Infatti, analogamente al rappresentante dei Fratelli Musulmani tunisini, raggruppati nel partito “An-Nahda”, anche importanti esponenti della casa-madre egiziana dei Fratelli Musulmani si sono espressi in favore della vittoria di Obama, dedicando ampio spazio alla sua elezione sui loro siti web, oltre ad Al Jazeera che simpatizza apertamente con i Fratelli Musulmani.
Dall’osservazione di alcune trasmissioni e telegiornali di Al Jazeera, si può evincere la speranza nella capacità di Obama di guadagnarsi il consenso e la collaborazione di quei Deputati della Camera necessari e sufficienti a rendere ostile il nuovo governo Usa a Netanhyahu – e al suo governo – riuscendo in tal modo a influenzare le elezioni israeliane ormai prossime, in favore della formazione di un governo in discontinuità, che finalmente possa e voglia trattare seriamente per un piano di pace; obiettivo per il quale Netanyahu rappresenterebbe ormai semplicemente un ostacolo.
Rispetto al programma nucleare iraniano, all’amministrazione americana viene rimproverato di non aver escluso totalmente l’opzione militare, e si esprime altresì grande fiducia nelle capacità diplomatiche di Obama e nella sua volontà di risolvere la vicenda evitando pericolose guerre.
Al Jazeera ha dato voce con molte interviste ad arabi-americani, che hanno espresso il forte timore che Romney potesse favorire l’attacco militare israeliano all’Iran. Queste trasmissioni di Al Jazeera hanno anticipato una tendenza che ha poi trovato riscontro nei risultati elettorali di Obama, che in effetti ha poi raccolto enormi consensi tra i musulmani, mentre tra gli arabi cristiani, sebbene anch’essi preferissero in maggioranza Obama, si può registrare che una parte ha destinato il proprio voto a Romney, considerando l’amministrazione Obama troppo vicina all’organizzazione dei Fratelli Musulmani.
Molte Tv egiziane hanno trattato con favore la vittoria di Obama, ammettendo che senz’altro era un segnale positivo per la volontà espressa di dialogo con il governo egiziano in carica e per il ruolo svolto, efficace e apprezzato, nelle “primavere arabe”. Infatti è stato gradito ampiamente il fatto che l’amministrazione Obama non abbia voluto interferire con la formazione dei governi nell’area, in particolar modo in Tunisia ed Egitto, dove ha dialogato con i Fratelli Musulmani egiziani ed il loro ramo tunisino, anch’esso al governo, “An-Nahda”, a detta di molti favorendone direttamente l’ascesa al potere. Su Al Jazeera in particolare a questo proposito si è espressa questa tendenza interpretativa, ricordando ripetutamente le numerose visite che si sono scambiati altissimi funzionari dell’amministrazione Obama e le leadership dei Fratelli Musulmani.
Sin dai tempi del fondatore Hassan al Banna e del successivo Murshid (Guida Suprema) Al Hudeybi, l’attuale Guida Suprema Badi’e, fino Katatni, l’ex leader del Blocco parlamentare dei Fratelli Musulmani e poi Presidente della Camera dei Deputati successivamente sciolta – in quota “Hurriya wa ‘Adala” (“Libertà e Giustizia”), partito politico ufficiale dei Fratelli Musulmani – la Fratellanza ha amichevolmente dialogato con gli Usa. Al tempo stesso si pone all’attenzione come il nuovo presidente egiziano, Muhammed Mursi, non abbia modificato la linea politica egiziana rispetto ad Israele, rispetto al regime Mubarak, e non abbia mai messo in dubbio gli accordi di Camp David (1978). Al Jazeera esprime più volte la speranza che l’Egitto possa ritornare a giocare il suo antico ruolo di potenza regionale e di mediatore nel conflitto israelo-palestinese, specialmente sulla base della considerazione che ora Mursi potrebbe giocare un ruolo efficace nell’influenzare i comportamenti di Hamas nella confinante Gaza.
Al Jazeera tende la mano alla nuova amministrazione, indicando quelle che, per il loro pubblico di riferimento, sono le priorità. Al tempo stesso sembra ammonire Obama rispetto a questo suo secondo mandato, invitandolo a occuparsi del mondo arabo in fermento e a non sottovalutare la portata dei cambiamenti in atto. A questo si legano infatti i titoli ripetuti sulle grandi sfide che attendono Obama in politica estera, riguardanti principalmente i paesi arabi dove l’islam politico di area Fratelli Musulmani, patrocinato dall’emiro del Qatar, gioca un ruolo centrale.
Un ottimo lavoro di analisi del voto secondo le differenti fasce di popolazione è offerto dal canale satellitare Al ‘Arabiyya, che in una delle numerose trasmissioni dedicate alla vittoria di Obama, prende in esame la suddivisione del voto, evidenziando come Obama abbia fatto breccia tra le minoranze etniche, tra le donne e I giovani. Sul canale privato satellitare egiziano “Dream Tv” viene approfondita l’analisi delle fasce di elettorato, ricordando come l’America sia nata da un “progetto di migranti”, e come la vittoria di Obama costituisca una prova che il paese sia rimasto tale, anche a distanza di tanto tempo, e non abbia mai smarrito questa sua caratteristica peculiare. Di converso, si sottolinea anche qui come l’elettorato di Romney fosse composto prevalentemente da bianchi – anziani, e il dato che nel 2040 gli appartenenti a minoranze etniche costituiranno messi insieme la maggioranza della popolazione americana, viene interpretato come una “vittoria dell’integrazione” e della società multiculturale, indicata sempre più come la società del futuro.
Nei rari momenti in cui si parla di altre tematiche gli unici richiami sono per ricordare la riforma sanitaria effettuata da Obama, il parziale salvataggio dell’industria dell’auto, le politiche di aumento della spesa per le banche che rischiavano il fallimento.
I quotidiani
A livello di quotidiani, il noto Al Hayyat (accanto a Al Sharq al Awsat senz’altro il più prestigioso tra i giornali in lingua araba) tiene una linea di conduzione altalenante, che passa dalla gioia espressa per la vittoria di Obama e le speranze che apre il suo secondo mandato, alla frustrazione e il disincanto seguiti ai primi quattro anni della sua amministrazione, che non hanno corrisposto alle altissime aspettative che l’ascesa di Obama nel 2009 aveva innescato. Al Hayyat ad esempio, un giorno apre la prima pagina con un editoriale che accusa frontalmente Obama di non considerare adeguatamente la questione siriana come priorità (ma l’autore ammette che con Romney sarebbe stato anche peggio) e di concordare con Assad, nelle sue denunce indirizzate ad alcune “organizzazioni terroristiche ed estremiste” della resistenza – oltre ad immaginare che non farà nulla per i palestinesi perché agli ordini di Israele. Sullo stesso quotidiano, solo due giorni dopo, si celebra la vittoria di Obama come una “buona notizia” e si lamenta la ristrettezza mentale di Romney, giunto nell’ultimo confronto tv a paragonare governi come quelli egiziano o tunisino, con i jihadisti di Al Qaeda del Mali.
Un altro dei quotidiani più letti, l’egiziano Al Ahram, si sofferma sulle problematiche che Obama dovrà affrontare, azzardando la previsione di una sostanziale continuità con i primi quattro anni di presidenza, dando per scontato il suo impegno “a difendere Israele e la sua sicurezza e le pressioni su Israele per impedirgli di attaccare gli impianti nucleari iraniani”.
Mohammed Habib, ex-leader dei Fratelli Musulmani scrive sulle pagine di uno dei maggiori quotidiani egiziani, Al Masri al Yawm, sostenendo quella che è una tesi molto diffusa in Egitto presso gli ambienti islamisti: soddisfazione contenuta per la vittoria di Obama, speranza nel suo secondo e ultimo mandato, che possa dimostrare più convinzione e coraggio nelle decisioni, e pur tuttavia scetticismo sulle reali possibilità che avvenga qualche significativo cambiamento di rotta nella politica estera americana.
Il quotidiano riconosciuto come il più prestigioso del mondo arabo è Al Sharq al Awsat (“Il Medio-Oriente ), la cui proprietà è saudita ma viene stampato a Londra, e riassume in modo paradigmatico la prima presidenza di Obama, con i successi, le buone intenzioni e i limiti di questi primi quattro anni nel campo della politica estera. Vengono quindi affrontati i principali nodi, dalla guerra irachena: “tra le principali tappe di politica estera di Obama c’è stato il ritiro delle forze americane dall’Iraq alla fine del 2010”, al suo impegno per rimettere in moto il processo di pace, “la scelta di Obama di telefonare al Presidente palestinese Mahmud ‘Abbas, nella sua prima chiamata telefonica dalla Casa Bianca, dopo aver preso possesso della Presidenza degli Stati Uniti d’America nel Gennaio 2009 “un passo simbolico importante per mostrare il suo impegno nel lavoro per una soluzione tra gli arabi e gli israeliani”. Si mette in evidenza che il suo maggior successo militare fu l’individuazione del covo di Osama Bin Laden e la sua uccisione, dopo anni di ricerche.
Web e social media
I media focalizzano l’attenzione su “Twitter”, a quanto pare il social network più utilizzato dai politici, ricordando che “Twitter”, “Facebook”, “YouTube”, i blog ed il web in generale, hanno giocato un ruolo molto importante, raggiungendo fasce giovanili di elettorato che altrimenti non sarebbero probabilmente mai state raggiunte dai messaggi elettorali.
Si evidenzia che il “tweet” con cui Obama ha annunciato la vittoria, con la frase “four more years” e la sua foto con la moglie Michelle, è stato il più “twittato” nella storia. In Arabia Saudita, il famoso sapiente islamico, il rigidissimo wahhabita sheykh Suliman al ‘Owda ha “twittato”, a proposito della vittoria di Obama: “Obama non è buono, ma è il male minore”, riassumendo egregiamente l’idea più diffusa tra i musulmani osservanti.
Anche nella blogosfera la notizia della vittoria di Obama è accolta con lo stesso tenore ambivalente: il noto blogger Issandr El Amrani è piuttosto sarcastico sull’argomento, temendo in particolar modo le pressioni della “lobby pro-israeliana” e dubitando della forza di Obama di affrontarle. Il giornalista arabo-americano, il cui blog in lingua inglese “The Arabist” è tra i più seguiti nel mondo arabo – data anche la personalità del blogger El Amrani, marocchino di nascita e residente al Cairo, che commenta regolarmente su Al Jazeera International e sul quotidiano egiziano “Al Masri al Yawm”, interpretando quel ceto colto arabo che segue costantemente la politica, spesso praticandola in modo attivo, che legge ed ha idee laiche e di sinistra – attacca immediatamente Obama postando un video del “Washington Institute for Near East Policy” (“Winep”), un think-tank fortemente filo-israeliano, concludendo che i consigli del “Winep”, sono tutti improntati a false soluzioni gradite solo ad Israele.
Una delle più celebri blogger egiziane, Zeinobia, invece celebra la vittoria di Obama. Infatti riprende l’argomento dello storico “tweet” di vittoria diffuso da Obama e redige un “post” intitolato: “The most retweeted tweet in history” (“Il tweet più ritwittato nella storia”) in cui, sotto alla ormai celebre foto di Obama e sua moglie Michelle che si abbracciano e che accompagnava il “tweet”, la blogger egiziana fa gli auguri ai democratici ed agli americani, auspicando che i prossimi quattro anni siano migliori non solo per i cittadini americani ma anche per il resto del mondo, ricordando che in cattivi tempi come questi sarebbe stato molto peggio se avesse vinto Romney.
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