Qualche settimana fa ho avuto il piacere di incontrare a Casablanca un amico algerino di vecchia data: Karim Metref*. Metref è uno scrittore e educatore di origine algerina che vive e lavora da moltissimi anni in Italia. Si trovava a Casablanca – con una parte della sua famiglia proveniente dalla Francia – per assistere al matrimonio del nipote, un giovane francese di origine algerina. Dopo i saluti, Metref mi ha confidato con amarezza che i parenti non sarebbero potuti venire alla festa.
L’estate scorsa invece ho incontrato a Rabat un altro amico algerino: l’editore K. Cheikh che vive e lavora ad Algeri. Cheikh era invitato dall’Istituto di cultura francese in Marocco all’occasione del Salone del libro che quest’anno si è tenuto a Rabat. Per giungere in Marocco, Cheikh ha dovuto fare scalo in Francia e così anche al ritorno: Rabat-Parigi-Algeri. Se i miei due amici algerini hanno potuto mettere piede in Marocco e se il nostro incontro è stato possibile, questo è grazie solo al fatto che il primo è residente in Europa, mentre il secondo ha usufruito di un invito ufficiale da un ente francese che gli ha permesso di transitare da un Paese terzo per poter giungere in Marocco.
Ho vissuto e lavorato in Algeria fra il 2014 e il 2018. In quegli anni ancora si poteva prendere un volo diretto da Algeri a Casablanca e viceversa e ho effettuato molti viaggi fra le due capitali. All’andata come al ritorno, i voli erano sempre strapieni di algerini e marocchini il cui destino era, per un motivo o l’altro, legato ai due paesi. Nelle sonnolente ore di attesa all’aeroporto ricordo di aver fatto la conoscenza di una famiglia la cui vicenda mi feci prendere coscienza della difficoltà della mobilità nello spazio maghrebino: se per me quei voli diretti erano una facilitazione enorme perché potevo passare da Algeri a Casablanca – la mia città d’origine – in meno di due ore, per molti altri compresa quella famiglia, era un vero incubo.
L’uomo era un marocchino di Oujda, mentre sua moglie un’algerina di Maghnia, mentre la famiglia viveva a Tlemcen con i 4 figli. Sono 111 i chilometri che separano Oujda da Tlemcen: le due città rappresentano l’emblema della compenetrazione delle popolazioni marocchine e algerine, legate da profonde connessioni umane, culturali ed economiche, espresse attraverso i rapporti di parentela estesi al di là dei confini. In tempi normali basterebbe un’ora di macchina per percorrere i 111 chilometri che separano le due città, i due Paesi, invece quella famiglia – che non è affatto un’eccezione – doveva compiere un’Odissea: 500 Km da Tlemcen ad Algeri; volo per Casablanca; arrivo a Casablanca e altri 600 chilometri di strada per giungere a Oujda. In pratica 3 giorni di viaggio, tanta fatica e oltre 5mila euro solo spese di trasporto. Tutto questo era prima del 21 settembre del 2021, data in cui l’Algeria ha interrotto i rapporti diplomatici con il Marocco e chiuso il suo spazio aereo bloccando ogni possibilità di scambio umano tra i due paesi vicini.
Storicamente il Nord Africa era uno spazio unito. Concetti come lo “Stato Nazione” o i confini nazionali sono rimasti per lunghissimi secoli del tutto sconosciuti nell’organizzazione politica di questa vasta area. La fluidità dello spazio maghrebino è il risultato di radici etniche, religiose, linguistiche e culturali comuni che da millenni contraddistinguono le popolazioni del nord Africa. Una storia condivisa che è stata espressa anche attraverso un’unità politica, portata avanti dalle grandi dinastie (gli Almohadi, Almoravidi) che regnarono su tutto il Maghreb. Città storiche come Fes, Tlemcen o Kairouan, Marrakech, Tamanrasset o Ghat erano connesse non solo dalle vie transahariane del commercio, ma anche da una forte fratellanza fatta di scambi, umani, culturali e sociali favoriti anche dalla presenza di tribù transnazionali che costituivano il perno dell’organizzazione e del funzionamento politico e sociale di tutto il Maghreb. Tribù come Zenata, Sanhaja o Houara sono di fatti entità transnazionali e sono tuttora estese in tutto il Maghreb. La libera circolazione delle popolazioni era un fatto scontato poiché nessun ostacolo geografico o vincolo giuridico impediva loro di viaggiare in tutto il Maghreb e anche oltre.
Uno dei momenti forti di questa mobilità si verificava durante il periodo di pellegrinaggio a La Mecca, quando importanti flussi umani attraversano lo spazio maghrebino verso l’Hijaz. Durante la traversata, soprattutto al ritorno, accadeva che intere famiglie o gruppi di persone scegliessero di non fare ritorno al Paese natale e di stabilirsi definitivamente o per diversi anni in qualche centro del grande Maghreb. Personaggi come Abu El Hassan Chazli o El Morsi Abu El Abbas o Ahmed Zarouk, grandi maestri del sufismo erano dei veri cittadini transnazionali, che partendo dal nord Africa avevano seminato lungo il loro percorso, da ovest verso est, scuole, santuari, villaggi e intere comunità di fedeli, rafforzando ulteriormente il sentimento di una profonda fratellanza fra le popolazioni del Maghreb.
Questa profonda fraternità – che nel corso del tempo non ha impedito la nascita di un sentimento nazionale proprio a ogni Paese – ha trovato la sua massima espressione durante il periodo delle lotte di liberazione contro l’occupazione francese. L’esempio più significativo è il sostegno dato dal Marocco e dalla Tunisia, indipendenti dal 1956, al popolo algerino nella sua rivoluzione (1954-1963). Il Marocco ha accolto tra il 1863 e il 1963 più di 60mila algerini e ha costituito una base operativa preziosa per i patrioti algerini fino all’ottenimento dall’indipendenza del Paese: molti uomini politici algerini, come l’ex presidente Bouteflika e l’ex direttore dei servizi segreti Kasdi Merbah sono nati e cresciuti in Marocco.
Una volta conquistata l’indipendenza, i Paesi del Maghreb avrebbero potuto cooperare tra loro per costruire gradualmente un insieme coerente e armonizzato. D’altronde questa volontà fu auspicata ancor prima della conclusione del processo di liberazione dai leader della regione in varie occasioni. Tuttavia il travaglio fu lungo e complesso e si dovette aspettare il 1989 per assistere alla nascita dell’Unione del Maghreb arabo (Uma), che riunisce Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania.
La carta costitutiva dell’Uma dichiara di proseguire i seguenti obiettivi: “Il consolidamento dei rapporti di fraternità che legano gli Stati membri e i loro popoli; la realizzazione del progresso e del benessere delle loro comunità e la difesa dei loro diritti; il mantenimento di una pace basata sulla giustizia e sull’equità; la realizzazione progressiva della libertà di circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali tra i Paesi membri”.
A distanza di 33 anni dalla sua nascita il bilancio è amaro. Non solo gli intenti espressi allora sono rimasti sulla carta, ma con il susseguirsi degli anni e delle crisi, le distanze fra gli Stati si sono fatte sempre più incolmabili, mettendo in evidenza sempre di più il fallimento del progetto d’integrazione maghrebina. Una disintegrazione che inevitabilmente ha portato al rafforzamento delle identità nazionali e al trionfo del populismo e della demagogia, e ciò che fino a pochi anni fa era un dissidio fra i regimi è diventato un conflitto fra i popoli.
Le ragioni di questo fallimento sono molteplici e interconnesse. Con la conclusione del processo di decolonizzazione, i Paesi del Maghreb hanno intrapreso delle traiettorie ideologiche e politiche contrapposte, che hanno creato profonde spaccature. Mentre il Marocco ha mantenuto una continuità storica e politica con la monarchia alawita e si è iscritto inequivocabilmente fra gli alleati dei Paesi occidentali, adottando un’economia liberale e aprendosi al turismo e agli investimenti stranieri, l’Algeria e la Libia invece hanno seguito la strada del socialismo, del panarabismo e del rivoluzionarismo, rompendo con violenza con il passato coloniale e optando per la costruzione di un Stato sociale forte e di un’economia pianificata. Con gli ex presidenti Bourgheba e Benali, la Tunisia ha cercato di mantenere una certa equidistanza e neutralità rispetto allo zelo nazionalista degli algerini e dei libici, e al conservatorismo del Marocco, optando per la costruzione di un’identità tunisina laica ed emancipata. E sebbene le circostanze storiche del dopoguerra, che hanno legittimato l’una o l’altra scelta, fossero terminate, il peso di queste divergenze è rimasto presente e addirittura si è intensificato negli ultimi due decenni, soprattutto tra l’Algeria e il Marocco.
Un’altra ragione è il lascito coloniale francese. Il geografo francese Yves Lacoste** riassume così la situazione che la Francia ha lasciato al suo ritiro dal Maghreb: “Se ci limitiamo a constatare la lunghezza dei confini tracciati all’inizio del XX secolo dalle autorità coloniali francesi, possiamo concludere che i limiti degli Stati del Maghreb non hanno un’origine molto diversa da quelli degli Stati arabi del Medio Oriente: dei 5.800 chilometri di confine che delimitano il territorio dell’Algeria, 5.200 sono stati tracciati dai francesi; dei 2.700 chilometri di confine in Marocco 2.400 sono confini coloniali; una percentuale minore per la Tunisia, dove 1.100 chilometri su 1.400 sono confini coloniali”.
Una lunga ed estenuante serie di dispute territoriali ha bloccato le aspirazioni degli Stati maghrebini appena indipendenti a un’integrazione umana, politica ed economica. Nell’ordine, la prima di queste contese riguardava la Mauritania. Il Marocco accettò malvolentieri la nascita di questo Stato, il cui territorio era considerato dai marocchini come una parte integrante dello storico “Grand Maroc”. Ancor più grave fu il conflitto militare che oppose il Marocco e l’Algeria nel 1963*, sullo sfondo delle rivendicazioni marocchine di una parte del deserto algerino, soprattutto le regioni di Bechar e Tindouf. Mentre i rapporti tra la Tunisia e la Libia furono a lungo avvelenati a causa di un contenzioso sul Golfo di Gabes che si è concluso solo nel 1988 con una decisione della Corte Internazionale di Giustizia a favore di Tunisi.
Un terza ragione del fallimento della cooperazione è dovuta alla volontà di ogni Paese a presentarsi sulla scena internazionale come potenza regionale e a favorire i propri interessi senza alcun riguardo del contesto regionale. L’inerzia dei governi nell’attuare i principi dell’Uma e la mancata nascita di una grande zona di libero scambio commerciale, economico e umano ha portato a un’accesa rivalità fra i paesi del Maghreb. In nessun momento della storia contemporanea il Marocco, l’Algeria, la Tunisia, la Libia e la Mauritania si sono presentati sulla scena internazionale come un blocco coeso e solidale.
Che si tratti di politica estera o economica, di sicurezza o di progetti di sviluppo, ogni Paese definisce singolarmente le sue priorità e posizionamento. Questo dato emerge chiaramente nel rapporto con l’Unione europea (Ue), che ha dovuto negoziare con ogni Paese un trattato commerciale specifico, quando era più naturale che tale trattati fossero siglati fra una comunità commerciale e l’altra (cioè Ue e Uma). Questa rivalità ha spesso sede anche presso le istituzioni internazionali come l’Organizzazione di unità africana (Oua), l’Organizzazione delle Nazioni unite (Onu) o la Lega Araba, le cui riunioni sono diventate una tribuna per le scaramucce politiche e gli sgarbi diplomatici tra i rappresentanti dei Paesi del Maghreb. E si riflette ancora di più nelle scelte di politica internazionale. Il Marocco ad esempio è l’unico Paese della zona ad aver normalizzato i rapporti con Israele e ad aver interrotto i rapporti con la repubblica islamica dell’Iran, mentre l’Algeria continua a fare della difesa della causa palestinese un stendardo ideologico.
Infine, la questione del Sahara occidentale. Da 47 anni un contenzioso poco mediatizzato oppone il Marocco al Fronte Polisario per la sovranità su quella vasta area chiamata Sahara occidentale, che fu occupata dalla Spagna sin dal 1884. Al ritiro degli spagnoli nel 1975 Hassan II organizzò una marcia umana per riconquistare ciò che considerava parte integrante del suo regno. Circa 350mila persone marciarono da tutte le regioni del Marocco verso il Sahara, scontrandosi con la volontà di autodeterminazione di una parte della popolazione sahrawi, di cui il Fronte Polisario si considerava il legittimo rappresentante. Il conflitto assume dimensioni regionali quando l’Algeria accoglie sui suoi territori migliaia di profughi sahrawi e insieme alla Libia finanzia e sostiene le milizie del Polisario nel loro sforzo bellico contro il Marocco. Lo scontro militare dura fino al 1988 quando le due parti, con la mediazione dell’Onu, raggiunsero un accordo che prevedeva “un cessate il fuoco e lo svolgimento di un referendum che consenta al popolo del Sahara occidentale di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, di scegliere tra l’indipendenza o l’integrazione nel Marocco”.
Davanti all’impossibilità di organizzare tale referendum a causa del disaccordo delle due parti sugli aventi diritto al voto, il Marocco ha proposto nel 2007 un piano alternativo che prevede un’autonomia, sotto la sovranità di Rabat, soluzione considerata insoddisfacente per il Polisario e l’Algeria. Il cessate il fuoco vige ancora, ma fra le parti è in corso una guerra diplomatica e mediatica, con una tensione militare che tiene in ostaggio tutta la zona. E se la posizione del Marocco è uscita rafforzata con il riconoscimento della sua sovranità sul Sahara occidentale da parte degli Stati Uniti e il sostegno della Spagna e di altri Paesi europei, arabi e africani al piano di autonomia marocchino, l’Algeria e il Polisario hanno reagito con altrettante manovre destabilizzanti. Dall’occupazione del valico di Guerguerat che collega il Marocco alla Mauritania e che rappresenta un passaggio vitale per le esportazioni marocchine verso i Paesi subsahariani, alle operazioni di lobbying presso le istituzioni internazionali per sabotare e sottrarre le zone del sud dagli accordi commerciali internazionali del Regno, fino alla rottura diplomatica e la cessazione di tutti gli scambi politici, economici e culturali decisa di recente dall’Algeria.
Anche il Marocco non lesina gli sforzi per assicurarsi l’appoggio delle istituzioni internazionali e dei Paesi ancora reticenti al suo piano di autonomia. Nel recente scandalo di corruzione che ha coinvolto il Parlamento Europeo – il cosiddetto Qatargate, per il ruolo avuto dal Paese – anche Rabat ha condotto una sistematica operazione di lobbying per ripulire l’immagine del Regno e tenerlo al riparo da eventuali condanne sul piano dei diritti umani, e per lo sfruttamento e la commercializzazione delle risorse del Sahara occidentale, una regione tuttora considerata dalla comunità internazionale un territorio conteso.
A queste considerazioni vanno aggiunte le crisi interne e il caotico contesto internazionale che nel caso dei Paesi del Maghreb rappresentano motivi di dissidio. La Tunisia ad esempio non è ancora riuscita a trovare la stabilità politica e la prosperità economica auspicate. Il caso libico è ancora più emblematico poiché la caduta del colonnello Gheddafi ha portato al fallimento dello Stato libico tuttora in preda a una guerra fratricida che l’ha reso marginale sullo scacchiere regionale. L’Algeria ha potuto archiviare il ventennio di Bouteflika grazie alla spinta popolare, ma l’opacità del potere non è cambiata, continuando con la stessa logica di esternalizzazione delle problematiche di governance e di sviluppo interno, attraverso l’individuazione di un nemico esterno che spesso coincide con il vicino Marocco. Quest’ultimo oltre al già citato conflitto sahraoui, deve affrontare molteplici sfide legate al malumore sociale, alla crisi economica, resa più grave dalla siccità e dall’aumento del prezzo dell’energia, e soprattutto a un’unità territoriale incompleta, sia a nord che a sud.
Assistiamo dunque all’affossamento drammatico di tutti gli sforzi finora fatti verso un processo d’integrazione: gli scambi commerciali fra i Paesi del Maghreb rappresentano meno del 2,5 per cento del volume dei loro scambi con il resto del mondo. Un dato che si è quasi azzerato a ottobre 2021, quando l’Algeria ha chiuso il gasdotto Gme che faceva transitare il gas algerino dal Marocco prima di raggiungere la Spagna e il Portogallo, intimando alle società private e pubbliche algerine di interrompere i contratti futuri o in corso con gli operatori marocchini. Mentre i rapporti fra il Marocco e la Tunisia si sono particolarmente raffreddati da quando il presidente Kais Saied, in occasione del vertice Ticad8, ha riservato una calorosa accoglienza a Ibrahim Ghali, leader del Fronte Polisario, che il Marocco ha boicottato proprio per la partecipazione della delegazione sahrawi.
Nei rari momenti di distensione politica fra i Paesi del Maghreb, i timidi passi che sono stati fatti per attuare i principi dell’Uma riguardo alla libera circolazione delle persone e delle merci, avevano sorprendentemente avuto delle ripercussioni importanti e positive sull’economia di tutti i Paesi della zona. A titolo d’esempio, la Libia del colonnello Gheddafi a partire dagli anni ’70, con l’esplosione del prezzo del petrolio e fino al rovesciamento del Rais, ha accolto centinaia di migliaia di lavoratori marocchini e Tunisini. Solo fra il 1989 e il 2010 più di 300mila marocchini e 80mila tunisini vivevano e lavoravano in Libia. Io stesso fui testimone di quell’epoca in cui migliaia di marocchini partivano da Casablanca, Marrakesh o Oujda con il Grand Taxi, attraversavano l’Algeria e la Tunisia e arrivavano in Libia che, di fronte alla fortificazione dei confini europei, era diventata l’Eldorado dei giovani maghrebini. Lo stesso, le relazioni fra il Marocco e l’Algeria si erano particolarmente ravvivate e rinvigorite durante il momentaneo e breve periodo di apertura delle frontiere terrestri tra il 1989 e il 1994, dando una spinta economica e commerciale a tutto il Maghreb e soprattutto alle zone frontaliere di entrambi i Paesi che mai più hanno potuto ritrovare.
Questa breve parentesi in cui il sogno di un grande Maghreb sembrava concretizzarsi ha svelato le potenzialità enormi di un mercato libero nella zona. La diversità delle risorse, la vivacità della popolazione, la preziosa posizione geostrategica costituiscono i pilastri di questo progetto e gli esperti di economia internazionale sono unanimi sul fatto che lo sviluppo degli scambi economici e umani e l’aumento della collaborazione tra i vari paesi gioverebbe a tutta la zona in termini di occupazione, di stabilità e di progresso. “Ma la verità è che l’Uma è fatta di molte chiacchiere, pochi impegni e pochissimi risultati”. ***
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Note:
* Karim Metref, scrittore ed educatore algerino che vive e lavora in Italia, ha pubblicato per Compagnia delle lettere due libri Caravan per Baghdad (2006) e Tagliato per l’esilio (2008).
**Yves Lacoste: Originalité géopolitique du Maghreb Des frontières très anciennes au sein d’un même ensemble culturel (1998).
*** Yves Lacoste: Originalité géopolitique du Maghreb Des frontières très anciennes au sein d’un même ensemble culturel (1998).
Foto di copertina: a Binda, Algeria, sul confine con il Marocco (di amekinfo, Wikimedia Commons).