La lotta degli Uiguri per l’autonomia nello Xinjiang e la repressione nei loro confronti da parte dello stato cinese ha di recente ottenuto l’attenzione dei media internazionali; eppure, si tratta soltanto dell’ultima fase di una lunga storia di discriminazione e conflitto. Questo articolo mira a fornire in sintesi il retroterra storico della situazione odierna nello Xinjiang a lettori senza una conoscenza specifica della questione. A questo scopo, approfondiremo brevemente la situazione nella regione sotto l’amministrazione dei Qing, del Kuomintang e del Partito Comunista Cinese nel XIX e XX secolo per poi concentrarci sulla sua evoluzione durante i primi due decenni del nuovo millennio. È importante precisare che questo articolo si occupa dell’evoluzione della lotta degli Uiguri nella regione, e non sugli sviluppi della diaspora uigura.
Il primo problema da affrontare quando ci si occupa della storia degli Uiguri e della zona conosciuta come Bacino del Tarim, poi chiamata Xinjiang (o, dagli Uiguri, Turkestan orientale), deriva dal fatto che sono segnate da due narrazioni ideologiche opposte, mirate a giustificare le azioni e le posizioni delle rispettive parti, non a condurre un’analisi storica concreta, come illustra Bovingdon nel suo saggio “The Uyghurs. Strangers in Their Own Land” [“Gli Uiguri. Stranieri nella Propria Terra”, N.d.T.] (2010):
1. I cinesi Han sostengono che la zona ha sempre fatto parte della “Cina” fin da tempi antichi, il che è senza dubbio falso dato che la regione ha visto l’influenza, la conquista e il dominio da parte di una serie di imperi, di stati locali e di diversi popoli nel corso della sua storia. Alcuni di questi furono imperi Han, ma non furono gli unici, al contrario.
2. Allo stesso tempo, i nazionalisti uiguri sostengono che gli Uiguri erano il popolo indigeno della zona e che l’hanno abitata per quasi 6000 anni, al fine di rafforzare le ragioni per l’autodeterminazione. Il problema è che neanche in questo caso ci sono disponibili dati storici concreti a sostegno della teoria, visto che gli unici dati che è possibile trovare per un’identificazione degli “Uiguri” come popolo presente nella zona sono legati all’impero uiguro del 744-840 d.C. Dopodiché, per vedere quella denominazione usata in maniera ufficiale si dovrà aspettare fino alla conferenza sovietica del 1921 a Tashkent quando, come esposto da Bovingdon (2010), «gli ufficiali sovietici (…) divisero i centrasiatici di lingua turca in vari gruppi ‘nazionali’ per respingere la minaccia di una rivolta panturchista». In effetti ci troviamo davanti lo stesso problema che si verifica con la versione cinese dei fatti: la regione era estremamente importante per il commercio e subì quindi la dominazione, le invasioni e l’influenza da parte di un gran numero di popoli e paesi nella storia. Per questa ragione, è estremamente difficile stabilire se gli abitanti originari, di migliaia di anni fa, sono in qualche modo legati agli Uiguri contemporanei.
Questo è uno dei motivi per cui, nonostante l’esistenza di due opposte narrazioni che riprendono migliaia di anni di storia, vale la pena di illustrare il contesto storico dei rapporti tra Uiguri e Cinesi a partire dalla dominazione della regione da parte dell’impero Qing.
Nascita di una provincia
Sebbene l’impero Qing avesse strappato la regione all’impero zungaro tra il 1750 e il 1760, fu solo nel 1884 che fu dichiarata provincia ufficiale e ridenominata “Xinjiang” (cioè ‘Nuovo Territorio’).
L’istituzione della provincia fu accompagnata dai primi veri tentativi di integrazione della popolazione musulmana locale all’interno della cultura Han.
In realtà, come spiega Roberts (2020) in “The War on the Uyghurs. China’s Campaign Against Xinjiang Muslims” [“La Guerra agli Uiguri. La Campagna della Cina Contro i Musulmani dello Xinjiang”, N.d.T.], prima del 1884 i Qing avevano adottato un sistema di governo indiretto mediante la formazione di avamposti imperiali nella regione, mantenendo il sistema dei musulmani della zona (il sistema Båg), che consisteva in «capi locali che essenzialmente amministravano questioni di importanza quotidiana».
Tuttavia, dopo il 1884, si eliminò il sistema di governo del luogo, riducendo i capi locali alla carica di semplici funzionari e sostituendoli con una rete burocratica diretta da amministratori Han, in aggiunta all’istaurazione di un sistema d’istruzione in lingua mandarina basato sul Confucianesimo, rimpiazzato in seguito da un sistema scolastico occidentalizzato basato su concetti scientifici.
Si potrebbe in effetti dire che sotto i Qing la regione dello Xinjiang da territorio tributario si trasformava in quello che Roberts (2020) definì una “colonia di frontiera”, uno stato che ha rappresentato de facto la realtà della regione fino a oggi.
Come già accennato, il vero e proprio movimento di autodeterminazione degli Uiguri si sviluppò tra il 1920 e il 1930, quasi un decennio dopo la caduta della dinastia Qing.
Fu inizialmente fondato da simpatizzanti uiguri bolscevichi, ispirati dalle idee antimperialiste del Marxismo-Leninismo, al fine di fornire un’indicazione nazionale riguardo alle lotte della popolazione turca musulmana locale. Anche se condividevano, usando le parole di Roberts (2020), «un senso di spazio, storia, costumi, lingua e trasmissione orale dei testi», ed erano «caratterizzati dalla loro evidente differenza rispetto agli amministratori Han e Manchu», fino a quel momento tutto questo non si era espresso in un movimento nazionale e il nome “Uiguri” non era stato adottato in maniera ufficiale.
Tuttavia, il neonato movimento uiguro venne coinvolto ed ebbe una certa incidenza nella costituzione della prima Repubblica del Turkestan Orientale (1933-1934) o RTO, che riuscì per breve tempo a istituire un’amministrazione multiculturale gestita da popoli locali e indipendenti dall’apparato Han.
Lo sviluppo del movimento in quel periodo è anche strettamente legato ad altri due principali fattori: l’influenza e il sostegno dell’Unione Sovietica, e le condizioni politiche estremamente instabili dello Xinjiang che, dopo la caduta della dinastia Qing, era stato sotto il controllo di una serie di governatori solo vagamente vincolati all’amministrazione centrale cinese, governando la regione con il pugno di ferro e trattandola di fatto come un proprio feudo.
Questi fattori furono particolarmente evidenti durante il governo di Sheng Shicai (1933-1944).
Sebbene nominalmente fosse il rappresentante del governo nazionalista cinese, era di fatto fedele all’Unione Sovietica, che sostenne la sua ascesa al potere ed ebbe un’influenza decisiva nella sua amministrazione della regione fino al 1942.
Uscendo da un periodo di rivolte multietniche che misero in crisi il corrotto sistema amministrativo Qing nella regione, il suo governo sembrò all’inizio favorevole al popolo uiguro.
In realtà sotto la pressione dei sovietici, promosse una serie di politiche mirate a impegnare a livello amministrativo gli Uiguri locali che avevano simpatie per i sovietici e a eleggere gran parte del comando della prima RTO, allora defunta, promuovendo allo stesso tempo una cultura socialista che prendeva a modello gli stati sovietici dell’Asia Centrale e creando quindi all’interno della regione una sorta di stato multietnico d’ispirazione sovietica.
Queste politiche furono inoltre accompagnate dal rafforzarsi di un apparato di polizia segreta nella regione e di conseguenza da un maggior livello di autoritarismo e di repressione del dissenso.
La situazione non durò a lungo.
Per via della crescente paura di una rinascita del nazionalismo religioso uiguro, Sheng approfittò delle infami purghe di Stalin con il fine di sopprimere le élite locali e mettere in atto un’enorme purga di Uiguri dalle sue amministrazioni.
Nella regione cominciò anche una campagna di esecuzioni di massa che fu giustificata attraverso accuse di trotzkismo o collaborazione con l’imperialismo straniero.
La campagna si concluse quando Sheng tagliò i ponti con l’Unione Sovietica nel 1942, tornando all’ovile del governo centrale cinese, e facendo perciò rivoltare il suo apparato repressivo contro i comunisti e i sostenitori sovietici uiguri.
La repressione di Sheng provocò una nuova rivolta, sostenuta dall’Unione Sovietica, che portò alla formazione della Seconda Repubblica del Turkestan Orientale (1944-1949).
La seconda RTO, pur trattandosi di un governo multinazionale, era guidata in prevalenza da capi uiguri ed ebbe un’incidenza enorme sul movimento uiguro, diventando il modello per le aspirazioni nazionali del popolo uiguro nei decenni a venire.
Dopo i colloqui di pace con il governo Kuomintang, negoziati dai sovietici, la RTO ottenne il controllo autonomo de facto della regione Ghulja durante gli anni tra il 1940 e il 1950 e la sua amministrazione, usando di nuovo le parole di Roberts, «pubblicò periodici, giornali e libri di testo. Aveva anche una sua moneta, un esercito con una sua uniforme, un suo sistema scolastico (…) una bandiera e un inno».
La RTO e i sovietici spinsero l’ultimo governo Kuomintang ad adottare politiche ancora più accomodanti, impiegando Uiguri e altri musulmani locali solidali con il governo ai posti più alti dell’amministrazione.
Ad ogni modo, questo breve periodo di relativa acquisizione di potere per la popolazione locale sarebbe giunto velocemente al termine con l’arrivo nel 1949 del partito comunista al governo cinese.
I primi anni di governo comunista videro un’apparente ripresa delle politiche d’integrazione nella regione, da cui l’ottenimento nel 1955 del suo nome attuale, Regione Autonoma uigura dello Xinjiang (RAUX).
Gli Uiguri erano in parte anche i beneficiari della distribuzione di terre e dell’istituzione nel 1952 dell’Associazione Islamica della Cina (tutt’oggi esistente), controllata dallo stato, per sorvegliare e organizzare attività religiose musulmane.
Alle radici della persecuzione
La situazione tuttavia cambiò in fretta dopo la crisi Sino-Sovietica dei tardi anni ‘50. Gli Uiguri furono infatti obbligati ad affrontare in maniera particolarmente dura i gravi effetti della “campagna dei Cento Fiori”, la reazione alla quale portò alla purga e alla sentenza di rieducazione e lavori forzati per molti Uiguri: il “Grande Balzo in Avanti”, che provocò carestie e sconvolse la vita quotidiana degli Uiguri a causa della collettivizzazione forzata e del caos assoluto generato dalla Rivoluzione Culturale. Quest’ultima segnò la chiusura del sistema d’istruzione nella regione, condannando un’intera generazione di Uiguri all’analfabetismo, oltre che ad attacchi violenti sistematici da parte delle Guardie Rosse a musulmani, figure religiose e luoghi di culto della zona.
Gli Uiguri dovettero sopportare anche i primi veri tentativi sistematici di assimilazione forzata in un momento in cui il governo cinese cercava di far approvare una “Hanificazione” dello Xinjiang.
Tentativi, spesso oggi ancora in corso, che si convertirono in un programma sistematico per trasferire, per mezzo di diversi metodi, un gran numero di coloni Han all’interno della regione, con la popolazione Han cresciuta da 300.000 nel 1953 a 5.287.000 nel 1982, quasi pari a quella degli Uiguri.
Uno dei metodi principali usati dal governo cinese per raggiungere questo scopo fu l’instaurazione nel 1954 del sistema di corpi di produzione (CPCX), ancora oggi in vigore, che consisteva nella disposizione di insediamenti in tutta la regione, abitati da soldati comunisti e nazionalisti smobilitati per servire sia come corpi di produzione per l’agricoltura sia come milizia armata locale.
Secondo Roberts (2020) il programma dei CPCX ha per molto tempo rappresentato il simbolo della realtà coloniale nella regione, generando segregazione, sfruttamento economico e controllo militare.
Queste misure provocarono una serie di rivolte contro il Partito Comunista Cinese: le principali furono organizzate dal Partito Rivoluzionario Popolare del Turkestan Orientale (PRPTO) tra il 1968 e il 1970 e ben presto soffocate. Si assistette inoltre a un esodo di Uiguri verso l’Unione Sovietica almeno fino alla chiusura dei confini nel 1963.
Nel periodo della Riforma, tra il 1980 e il 1990, nella regione ci fu un breve ritorno a politiche disposte all’integrazione, durante il quale l’Islam conobbe un rinascimento culturale, dal momento che scuole, università e moschee uigure furono riaperte e che gli intellettuali che erano stati mandati ai lavori forzati furono liberati. Fu permesso loro di scrivere e pubblicare (almeno in certa misura).
Questo periodo, tuttavia, non sarebbe durato a lungo.
Il decennio successivo sarebbe stato caratterizzato non solo dalla presenza di nuove opportunità economiche, grazie alle riforme di Deng Xiaoping, ma anche da un giro di vite decisivo su libertà civili già limitate, generato da una reazione del PCC alla disintegrazione dell’Unione Sovietica. Da questa derivò la speranza degli Uiguri che la Cina presto subisse lo stesso destino, in tal modo si sarebbero visti riconoscere l’autodeterminazione.
La rinnovata speranza di autodeterminazione e il ravvivarsi delle idee islamiche dei decenni precedenti, in aggiunta all’effetto di limitazioni e di misure sempre più dure e sistematiche sulle libertà civili, portarono a tensioni e ripetuti ‘incidenti’, culminati nella violenza, nei bombardamenti e nella repressione nel corso degli anni ‘90.
La situazione offriva il contesto per quello che sarebbe successo nei decenni successivi.
La svolta securitaria
Rispetto alle tensioni degli anni ’90, il primo decennio del nuovo millennio vide i rapporti tra Han e Uiguri prendere una piega tragica.
Questa svolta fu caratterizzata da tre principali fattori: l’iscrizione di organizzazioni uigure tra i gruppi terroristici da parte degli Stati Uniti e della Cina nella corsa della Guerra al Terrorismo, le conseguenze dei piani di sviluppo e urbanizzazione cinesi soprattutto nel sud della regione dello Xinjiang, e le sommosse di Urumqi del 2009.
La Cina essenzialmente sostenne a livello internazionale la Guerra al terrorismo degli Stati Uniti, spingendo perché il governo statunitense includesse nella lista delle organizzazioni terroristiche almeno un’organizzazione uigura in Afghanistan.
Paradossalmente questa organizzazione, chiamata MITO (Movimento Islamico del Turkestan orientale) e conosciuta in anni recenti come PIT (Partito Islamico del Turkestan), fu piuttosto irrilevante per la gran parte degli anni tra il 2000 e il 2010 e il suo potere e influenza crebbero principalmente come risultato delle misure repressive adottate nello Xinjiang nella corsa della Guerra al Terrorismo.
La Guerra al terrorismo, con le sue definizioni estremamente ambigue di “terrorismo” e “nemico”, rese più facile per la Cina l’adozione di un approccio maggiormente aggressivo circa il controllo del pensiero e del comportamento della popolazione uigura, offrendo una giustificazione riconosciuta a livello internazionale per la sospensione dei diritti umani.
Ciò scatenò un inasprimento riguardo al dissenso e alla pratica religiosa ‘non ufficiale’ con il pretesto di combattere il “terrorismo”, un termine usato dal governo per definire nella pratica chiunque fosse sospettato di nutrire aspirazioni di autodeterminazione, accusandolo di essere un sostenitore del MITO o di altre organizzazioni esterne.
Questo inasprimento fu accompagnato sia da una serie di progetti di sviluppo, tra cui la costruzione di strade, ferrovie e nuove linee di comunicazione, sia dal lancio di un programma sistematico di modernizzazione urbana.
I progetti avrebbero in teoria dovuto facilitare l’integrazione degli Uiguri che vivevano nel sud dello Xinjiang, ma provocarono de facto il trasferimento forzato di migliaia di Uiguri e la distruzione di una parte significativa della loro eredità culturale nelle principali città (ad esempio, la distruzione dell’antica città di Kashgar nel 2009).
È importante sottolineare che gli Uiguri non compirono nessun vero atto di violenza nei confronti dello stato cinese o di civili Han nell’arco di tempo tra gli scontri degli anni ’90 e quelli del 2009.
Nel 2009 infatti a Urumqi, la capitale della regione, ci fu un’esplosione di violenza durante una manifestazione uigura inizialmente pacifica.
Per quasi tre giorni manifestanti e civili Han, fiancheggiati dalla polizia, si uccisero l’un l’altro per le strade, causando centinaia di morti.
Quell’evento fu un momento cruciale a partire dal quale civili e amministratori Han cominciarono a ritenere gli Uiguri non solo culturalmente inferiori ma un vero e proprio pericolo per i cittadini Han e per lo stato.
La situazione continuò a peggiorare nella prima metà degli anni 2010, quando ci fu un’intensificazione delle dinamiche di conflitto a cui si era assistito nella seconda metà del decennio precedente.
Il governo Han ribadì la limitazione di diritti civili e i suoi progetti di sviluppo nella regione, che ebbero come unico risultato l’aumento di esplosioni di resistenza violenta da parte degli Uiguri.
Naturalmente furono tutti considerati come atti di terrorismo, in maniera indiscriminata, dal governo, che in risposta contava sempre di più sulle stesse soluzioni che avevano provocato in primo luogo la violenza.
Probabilmente i primi veri atti di terrorismo, cioè di attacchi pianificati contro civili, da parte di cittadini Uiguri accaddero nel 2014 (ad esempio, gli attacchi alle stazioni ferroviarie di Kunming e Urumqi).
Ad ogni modo, non abbiamo prove che fossero legati a organizzazioni terroristiche straniere come il PIT, nonostante le dichiarazioni del governo e il sostegno esplicito a quegli atti da parte della stessa organizzazione islamista.
Sembra evidente, considerando anche la crescente importanza del PIT in Siria grazie all’arruolamento di rifugiati uiguri, che le sistematiche limitazioni di diritti civili e i tentativi di assimilazione culturale da parte del governo cinese contro gli Uiguri crearono in pratica la “minaccia terroristica” che teoricamente avrebbero dovuto innanzitutto affrontare.
Questa escalation segnò praticamente l’inizio della guerra ideologica lanciata dal governo cinese contro gli Uiguri e la loro cultura in quella che in seguito sarebbe stata definita dal segretario del partito comunista dello Xinjiang Zhang Chunxian “Guerra Popolare al Terrorismo”.
Il termine “Guerra Popolare al Terrorismo” indicava una serie di politiche e limitazioni promosse dal governo cinese a partire dal 2013, che includeva pratiche scolastiche e religiose degli Uiguri per opporre apparente resistenza all’estremismo religioso.
In realtà queste misure segnarono l’inizio di una campagna di indottrinamento di massa per ripulire gli Uiguri dalle influenze religiose, cercando allo stesso tempo di instillare in loro il nazionalismo della RPC [Repubblica Popolare Cinese, N.d.T.].
Questo implicò un’intensificazione dei tentativi per fermare la pratica culturale e religiosa degli Uiguri, incoraggiando i cittadini a denunciare gli altri dietro compenso e gli studenti a denunciare i genitori, promuovendo intanto un’istruzione antireligiosa e ponendo le basi per il sofisticato sistema di vigilanza presente ancora oggi nello Xinjiang.
La campagna tuttavia non era diretta soltanto agli Uiguri religiosi ma fu usata anche nei confronti di intellettuali e nazionalisti laici.
Questo fu il caso del docente di economia Ilham Tohti, incarcerato a vita su accusa di separatismo per aver creato un forum online che incoraggiava gli Uiguri e gli Han a discutere apertamente sulla situazione dello Xinjiang.
Le misure furono codificate attraverso la ‘Legge Antiterrorismo’ del 2015.
Genocidio culturale
Severe com’erano, le limitazioni ai diritti civili adottate durante i primi anni della cosiddetta “Guerra popolare al terrorismo” rappresentarono apparentemente solo una fase preparatoria per quello che sarebbe arrivato nel 2017: il tentativo quasi ‘scientifico’ pianificato in maniera scrupolosa, che si potrebbe definire vero e proprio “genocidio culturale”, per cancellare in toto una popolazione, non attraverso uccisioni di massa ma cancellando il concetto alla base di quella stessa popolazione, portando le strategie di assimilazione alle estreme conseguenze.
Il genocidio culturale ha tre principali caposaldi:
- l’attivazione di un sistema di raccolta tecnologica di dati e vigilanza estremamente invasivo e preciso, elaborato a partire dal 2016 e poi lanciato in tutta la regione nel 2017, sotto il segretario di partito Chen Quanguo. Il risultato fu l’impiego di massa di addetti alla sicurezza e l’uso di vari metodi per la raccolta dei dati. Tra questi, la trasformazione in arma della vigilanza elettronica, il libero accesso da parte dello stato a dati personali quali conti bancari, social media e storie di viaggio e lavoro, la regolare profilazione personale da parte di membri del partito tramite l’utilizzo di applicazioni mobile e una campagna di “esami medici gratuiti” che ha coperto tre quarti della popolazione uigura. In questa campagna di “assistenza sanitaria gratuita” fu richiesto ai partecipanti di dare il DNA, le impronte digitali, la firma vocale e facciale: tutto è stato registrato all’interno del sistema definito “Piattaforma Integrata per le Operazioni Congiunte” [IJOP, nella sigla inglese, N.d.T.] e attivamente usato dallo stato per colpire chiunque consideri “indesiderato”.
- La promulgazione delle cosiddette ‘norme di de-estremificazione’ intese a chiarire le leggi precedenti e a fornire una definizione più esplicita di cosa va considerato “comportamento estremista”. Come sostiene Roberts (2020) «le norme criminalizzarono in pratica qualsiasi comportamento religioso e consumo di informazioni religiose non esplicitamente promosse dallo stato», arrivando al punto di inserire nella lista dei comportamenti estremisti sospetti l’avere una ‘barba irregolare’, usare nomi arabi o dare generici consigli a qualcuno riguardo al corretto adempimento di pratiche religiose.
- L’instaurazione in tutta la regione di campi di rieducazione e internamento di massa, regolati dall’articolo 14 delle norme citate in precedenza, insieme ad altre forme di incarceramento. Secondo Zenz (2018), nel 2018 questi campi trattenevano l’11.5% della popolazione uigura e kazaka presente nella regione. Ne sono stati descritti, tramite varie testimonianze, i programmi volti a cancellare l’identità degli Uiguri. Quelle stesse testimonianze che Vice News e altri organi d’informazione hanno riportato grazie a interviste e lavoro sul campo e che hanno descritto i programmi di lavoro in questi campi come una tortura e un’umiliazione fisica e psicologica continua.
Come scritto da Roberts (2020), queste istituzioni hanno prodotto un clima di totale paura e complicità e nel contempo hanno demolito il capitale sociale delle comunità uigure e tormentato gli Uiguri a livello individuale.
A completare questo sistema, l’impegno concertato del governo cinese a ripulire il territorio uiguro dai propri «marcatori culturali uiguri attraverso la distruzione linguistica, la cancellazione di tradizioni culturali e la demolizione di monumenti culturali e comunità. Al posto di questi (…) la RPC instaura uno scenario manifestamente cinese sia dal punto di vista culturale che fisico».
Nota bibliografica
I dati su cui si basa questo articolo sono stati raccolti da una serie di fonti, tra cui:
- Bovingdon G., “The Uyghurs. Strangers in Their Own Land”, Columbia University Press, 2010.
- Ercilasun Ku., Ercilasun Ko. “The Uyghur Community. Diaspora, Identity and Geopolitics”, Palgrave Macmillian, 2018.
- Roberts S., “The War on the Uyghurs. China’s Campaign Against Xinjiang Muslims.”, Manchester University Press, 2020.
- Zenz A., “Thoroughly Reforming Them Towards a Healthy Hearths Attitudes. China Political Re-Education Campaigning in Xinjiang”, Central Asia Survey, 2018.
- Vice News, servizio sul campo, “China’s vanishing Muslims: Undercover in the Most Dystopian Place in the World”, visibile su https://video.vice.com/en_us/video/chinas-vanishing-muslims-undercover-in-the-most-dystopian-place-in-the-world/5d151050be4077106e412141.
Traduzione dal testo originale a cura di Marta Visentin.
Foto: Una donna sventola la bandiera adottata dal movimento per l’indipendenza del Turkestan orientale ad una manifestazione contro la repressione degli Uiguri – Londra, 22 aprile 2021 (Justin TALLIS / AFP).