Nel vecchio continente per spiegare agli europei “ciò che succede in Egitto e nella regione”. È questa la missione che il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi vuole portare al termine nel suo viaggio tra Italia e Francia dal 23 al 25 novembre.
Realpolitik italiana
La tappa romana si inserisce in una fitta agenda di incontri bilaterali che negli ultimi mesi i ministri del governo di Matteo Renzi hanno avuto con i colleghi egiziani. Il nostro premier è stato il primo leader occidentale ad atterrare al Cairo, lo scorso agosto, per stringere le mani a Al-Sisi.
Una visita, preceduta da due missioni dell’allora ministro degli Esteri Federica Mogherini, nella quale Renzi riuscì a dire al presidente egiziano tutto quello che questo ex generale, visibilmente commosso dalla comprensione e dalla vicinanza italiana, voleva sentirsi dire. A questo viaggio seguirono quelli del ministro degli interni Angelino Alfano e del ministro della Difesa Roberta Pinotti. Insomma, l’Italia ha scommesso sul nuovo regime di Al-Sisi e sul ruolo stabilizzatore che questo può giocare nella regione, adottando una realpolitik che parte dalla comprensione e dall’accettazione delle preoccupazioni securitarie egiziane.
Libia, “stato islamico” e controllo delle coste
Molti i temi bilaterali e internazionali in agenda il 24 e il 25 novembre. Partendo dal ruolo dell’Egitto nello scacchiere mediorientale, Al-Sisi presenterà il suo paese come una potenza stabilizzatrice della regione, ricordando il ruolo di negoziatore (seppur svogliato) che il Cairo ha giocato nel conflitto israelo-palestinese e mostrando il suo interesse a risolvere il dossier libico, mal di testa che il nuovo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ereditato dal suo predecessore. Al contempo però, Al-Sisi presenterà l’Egitto come una nazione minacciata dalle cellule jihadiste alleate dell’autoproclamatosi stato islamico che potrebbero usare il Cairo come avamposto per il Maghreb.
È proprio la carta della minaccia terroristica quella che Al-Sisi è pronto a gettare sul tavolo qualora (cosa molto improbabile) qualcuno lo disturbasse con domande relative alla performance democratica del nuovo regime. Tra i dossier in discussione vi è la questione del controllo delle coste. Anche se non è suggellata da alcun accordo formale, questo continua a essere un dossier sul quale si misura il successo della crescente cooperazione bilaterale.
Business Council italo-egiziano
Ciononostante saranno le trattative commerciali quelle da osservare per giudicare il successo della visita. La scommessa italiana sul nuovo regime egiziano manca infatti di concretezza economica.
Fonte: Eurostat, rielaborati nel settembre 2014 dal Rapporto sulle “Relazioni Economiche tra l’Italia e il Mediterraneo” di SRM.Il Cairo è uno dei principali partner commerciali dell’Italia che è a sua volta il primo partner dell’Egitto in Europa. Nel 2013 il saldo della bilancia commerciale è stato positivo per l’Italia (quasi 1,0 miliardi di euro), con un trend in crescita rispetto agli ultimi due anni. I due paesi si sono scambiati beni per un valore di 4,7 miliardi di dollari, un trend cresciuto secondo le stime del 6,5% nella prima metà del 2014.Ciononostante, gli investitori italiani sono scoraggiati a fare business in Egitto, impauriti dalla mancanza di liquidità egiziana, dell’instabilità economica, della burocrazia e delle azioni giudiziarie poco trasparenti. Per questo il Business Forum del 25 novembre sarà l’evento in grado di misurare il progresso della relazione commerciale dei due paesi.
L’Italia ha già 902 progetti di investimento in Egitto, ma gli imprenditori italo-egiziani che dal 2006 afferiscono al Business Council si aspettano di più. L’ultima volta che questo consiglio d’affari misto si è ufficialmente incontrato risale al 2012, quando l’Egitto era nelle mani del presidente Mohammed Mursi ora in carcere.
Stabilità sostenibile e durevole
Quanti ascolteranno Al-Sisi spiegare ciò che succede nel suo paese dovrebbero ricordare che l’Egitto è un paese controverso agli occhi dei membri dell’Unione europea. Come ricordava su AffarInternazionali Roberto Aliboni lo scorso agosto, la feroce repressione contro i Fratelli Musulmani, i giornalisti, gli sparuti e sprovveduti liberali del paese mostra l’emergere di un regime chiaramente autoritario, per molti aspetti più chiuso di quello dell’ex presidente Hosni Mubarak.
Basti pensare che dal luglio 2013, le autorità egiziane hanno ammesso di aver incarcerato 22 mila persone, 41 mila secondo le stime dell’Egyptian Center for Economic and Social Rights.
Non dovremmo forse utilizzare, come proponeva Paolo Gentiloni su Europa prima di entrare nella squadra di Renzi, “l’evidente interesse dell’Egitto ai rapporti con l’Italia per favorire una maggiore apertura politica del regime”?
L’Italia deve districarsi su un doppio binario. Se da una parte non abbiamo interesse a mostrarci, in Europa, come un paese che chiude gli occhi nei confronti di certe violazioni in contrasto con i valori comunitari, dall’altro non vogliamo neanche intaccare il tradizionale rapporto privilegiato che ci lega all’Egitto e che potrebbe tornarci utile, soprattutto se voltiamo lo sguardo verso la Libia.
L’obiettivo dovrebbe essere il sostegno non tanto a una stabilità politica che rischia di essere di breve durata perché insostenibile e cara in termini di rispetto dei diritti umani, ma a una transizione verso un regime la cui stabilità sia al contempo inclusiva, sostenibile e durevole nel lungo periodo.
Azzurra Meringolo è ricercatrice presso lo IAI e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.