Rohani, il tecnocrate che può cambiare il programma nucleare in Iran

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Le prime dichiarazioni di Hassan Rohani, il nuovo presidente eletto in Iran hanno aperto nuovi spiragli nel dialogo con la comunità internazionale sul programma nucleare del Paese. Riformisti e tecnocrati hanno fatto quadrato intorno a Rohani. Mentre politici conservatori e radicali si sono divisi tra due candidati: l’ex sindaco di Teheran Baqer Qalibaf e il conservatore, sostenuto dai pasdaran, Sayyd Jalili.

Hassan Rohani è stato eletto con 18 milioni di voti. È un politico pragmatico e moderato, più vicino ai tecnocrati dell’ex presidente Hashemi Rafsanjani che ai movimenti alternativi. Uomo delle istituzioni rivoluzionarie, il nuovo leader iraniano proviene da una famiglia di mercanti del bazar e ha studiato teologia a Qom. Sottoposto a controlli dai servizi segreti dello Shah, fu costretto a lasciare il Paese insieme all’ayatollah Ruhollah Khomeini. Il mullah raggiunse Parigi da dove rientrò a Teheran nel 1979 in seguito alla rivoluzione. Il nuovo presidente iraniano è stato Segretario del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale dal 1989 al 2005, ricoprendo la carica di responsabile dei negoziati per il nucleare durante la presidenza Khatami.

Negli ultimi anni ha criticato aspramente il presidente uscente Mahmud Ahmadinejad e per questo è stato spesso oggetto di minacce da parte degli uomini dell’entourage del leader radicale. In campagna elettorale, ha fatto riferimento ad accuse di corruzione nei confronti del governo di Ahmadinejad. Proprio l’ex uomo forte, pasdaran e sindaco di Teheran, è uscito duramente sconfitto e ridimensionato dalla competizione elettorale, dopo l’eliminazione del suo delfino e consuocero, Esfandiar Mashei.

All’annuncio della vittoria di Rohani, a Teheran sono scoppiati i festeggiamenti. La prima dichiarazione della Guida Suprema Ali Khamenei è stata: «Un voto per chiunque di questi candidati è un voto per la Repubblica Islamica e un voto di fiducia nel sistema e nel meccanismo elettorale». Khamenei è apparso sollevato alla notizia di poter voltare pagina dopo otto anni di presenza ingombrante in politica estera e interna del populista Ahmadinejad.

Nel suo primo incontro con la stampa, il presidente eletto Rohani ha parlato di Siria, nucleare e rapporti con gli Stati Uniti. Il tecnico-moderato ha puntato sulla distensione con il mondo. In merito al programma nucleare, la speranza di Rohani è di raggiungere un accordo garantendo maggiore trasparenza. Il moderato, eletto a sorpresa al primo turno, ha definito «inique e ingiustificate» le sanzioni imposte contro l’Iran in merito al programma nucleare. «Rohani difenderà il diritto iraniano ad avere il nucleare, accettando nuovi controlli. Ma è l’Occidente ora a dover cogliere quest’occasione», spiega l’ex ambasciatore italiano a Teheran Roberto Toscano a Resetdoc. Eppure sembra che Teheran sia pronta ad un cambiamento di stile più che di contenuti. «Sarebbe un errore accrescere l’anomalia e il timore verso i mullah. Lo stile politico di Khatami era della razionalità, senza messaggi provocatori, con un tono tranquillizzante», aggiunge Toscano.

Ma Washington e Bruxelles attendevano un chiarimento soprattutto sulla posizione iraniana nella crisi siriana. E in perfetto stile pragmatico, Rohani è sembrato quanto mai allineato sulle posizioni di Mosca. Da una parte, ha tuonato contro ogni intervento militare in Siria. E si è detto sicuro che la Russia «non permetterà» una no-fly zone. Dall’altra, ha aperto ai risultati di libere elezioni a Damasco. «La crisi sarà risolta dal voto dei siriani. L’attuale governo deve essere rispettato dagli altri paesi fino alle prossime elezioni (presidenziali del 2014)», ha sostenuto Rohani. Una posizione meno oltranzista e più pragmatica del suo predecessore, ancora osteggiata da molti ayatollah conservatori.

La centralità politica della carica di presidente della Repubblica può essere ridimensionata o esagerata. Durante la presidenza Ahmadinejad la stampa internazionale ha dato grande peso ai suoi poteri. Spesso però il presidente radicale ha visto bocciate le sue iniziative legislative dal Consiglio dei Guardiani. Lo stesso accadeva al suo predecessore Mohammed Khatami, il cui potere è stato spesso considerato minimo: ogni provvedimento di legge riformista risultava incompatibile con l’impianto costituzionale rivoluzionario. Eppure il riformismo iraniano ha avuto un impatto importante sulla società civile.

È vero che il nuovo presidente ha un potere del tutto marginale rispetto al centro principale delle istituzioni iraniane: la Guida suprema, Ali Khamenei. Sebbene sia un uomo vecchio e malato, Khamenei ha ben chiara la necessità di escludere ogni critica che venga da riformisti o populisti per una gestione univoca del potere. Nominato a vita dall’Assemblea degli Esperti, Khamenei è il capo delle Forze armate, nomina componenti il consiglio dei Guardiani, il capo del sistema giudiziario, il direttore della televisione di stato, il capo dei pasdaran e dei servizi paramilitari e di sicurezza (basiji). A queste cariche formali deve essere aggiunta una rete di uomini di fiducia, controllati dal leader, inseriti nei ministeri, nelle forze armate, nelle amministrazioni locali, nelle associazioni laiche e nelle ong.
È il faqih, l’esperto, concetto alieno tra gli sciiti perché ogni fedele dovrebbe scegliere un ayatollah di riferimento: nessun ayatollah potrebbe interferire nella sfera di azione di un altro religioso. Ma dopo la rivoluzione Khomeini ha forzato questo sistema introducendo la figura della Guida suprema. E così Khamenei controlla l’economia agricola, industriale e dei servizi tramite il sistema delle Fondazioni. Da esse dipendono i sussidi distribuiti ai diseredati, alle famiglie delle vittime della guerra Iran-Iraq, hanno la funzione di uffici di collocamento, forniscono borse di studio, alloggi popolari e assistenza sanitaria. Godono di ampi favori fiscali, tra cui la non imponibilità degli utili, nonché di prestiti agevolati e donazioni.

La seconda grande incognita è quale peso avrà sul nuovo governo il movimento riformista. I due leader agli arresti domiciliari Moussavi e Kharroubi potrebbero essere rilasciati, anche se Rohani ha immediatamente smorzato gli entusiasmi. La principale alternativa al clero conservatore tira un sospiro di sollievo, ma fatica ancora una volta a trovare spazio nell’arena politica.

Khatami vinse con il 69 percento dei voti le elezioni presidenziali del 1997. Tuttavia, il primo governo, guidato da un riformista, agì in continuità con i suoi predecessori. Mosharekat (partecipazione), il maggiore partito di riferimento del presidente era composto da laici, intellettuali e docenti universitari. Ad appoggiare il movimento riformista si formò un insieme variegato di intellettuali religiosi riformatori che proponevano una svolta nelle relazioni tra potere religioso e gestione politica, come Abd al-Karim Sorush e l’ayatollah Hossein Ali Montazeri.

Il riformismo appoggiava lo sviluppo della società civile iraniana laica e religiosa incoraggiando il pluralismo dell’informazione, l’attivismo universitario e la distensione nelle relazioni internazionali. Importanti risultati vennero realizzati con la modernizzazione dei costumi quotidiani, soprattutto nelle grandi città. Tuttavia, Khatami dovette fronteggiare l’abbassamento dei prezzi del petrolio, che nel 1998 toccava i 12 dollari al barile. Le misure prese dal governo per contenere l’inflazione condussero l’economia in uno stato di recessione. D’altra parte, il Consiglio dei Guardiani operava un costante ostruzionismo nei confronti del movimento riformista, annullando la quasi totalità delle leggi approvate. I gruppi paramilitari (basiji), controllati dalla destra tradizionalista, reprimevano manifestazioni studentesche, imponevano la chiusura di quotidiani riformisti, compivano attentati contro intellettuali e cariche prominenti del movimento. Un esempio fu la chiusura del quotidiano riformista Salam che causò le manifestazioni universitarie del 9 luglio 1999. I gruppi paramilitari penetrarono nei dormitori, uccidendo e arrestando centinaia di studenti. Contemporaneamente venne dato un duro colpo alla libertà di informazione. Con le accuse di “attività anti-islamica”, vennero chiusi decine di quotidiani vicini al movimento riformista. Il ministro dell’Interno Abdollah Nuri, proprietario del quotidiano Khordad, venne condannato a cinque anni di prigione. L’obiettivo era di fermare anche il ministro della Cultura, Attaollah Mohajerani, che autorizzava la riapertura dei quotidiani chiusi sotto altro nome.

Il colpo più duro per i riformisti è venuto con le elezioni presidenziali del 2005. Il loro unico candidato Mostafa Mohin ha ottenuto pochi voti, lasciando la strada aperta all’affermazione del radicale Ahmadinejad. Da quel momento, le campagne elettorali sono state usate dai riformisti come forma di contestazione del potere degli ayatollah e per favorire la diffusione di idee alternative. «Negli ultimi anni i riformisti hanno operato sempre più con mezzi poco rintracciabili, organizzando manifestazioni ai margini delle partite di calcio, spingendo per l’astensionismo. Insomma, lo scopo è di evitare la repressione diretta del regime. Ne è un esempio la manifestazione di Isfahan in occasione del funerale dell’ayatollah Taheri: proteste occasionali, difficilmente prevedibili che dimostrano comunque che il dissenso, non è strutturato, ma esiste», conclude il docente dell’Università Cattolica di Milano, Riccardo Redaelli.

Con la vittoria di Rohani si prospetta un ritorno di moderati e tecnocrati al potere. Un approccio pragmatico potrebbe essere colto dalla comunità internazionale per favorire il dialogo sul nucleare dopo otto anni di stallo, generato dalla presidenza di Ahmadinejad. Ma il vero decisore nel sistema post-rivoluzionario resta la Guida Suprema Ali Khamenei e dirigerà la politica estera iraniana anche durante la presidenza Rohani.

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