Iran, agli Esperti il conservatore Yazdi
Primo atto di una transizione incerta

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Una transizione è in corso nella nomenklatura iraniana. L’ayatollah Mohammad Yazdi, un conservatore, è stato eletto ieri a presiedere l’Assemblea degli Esperti, uno degli alti organismi di giuristi islamici che compone  la complicata architettura istituzionale della Repubblica Islamica dell’Iran, sconfiggendo ai voti l’ex presidente Hashemi Rafsanjani. Sembra un evento molto interno, ma deve interessare per almeno un motivo: si tratta dell’Assemblea che ha il potere di nominare (e in teoria dimettere) il Leader supremo, prima autorità dello stato.

Non che la successione sia imminente: l’attuale leader, l’ayatollah Ali Khamenei, 75 anni, sembra in buona salute. Giorni fa è apparso durante una cerimonia (a smentire le voci riferite dal New York Times su un suo ricovero); è spesso presente nella vita pubblica, cammina in montagna, tiene lunghi sermoni e pare saldamente al comando. Ma nessuno vive in eterno, e sebbene in modo discreto le ipotesi sulla successione circolano da qualche tempo.

Così, quando in ottobre è scomparso l’anziano ayatollah Mohammad Reza Mahdavi Kani, presidente dell’Assemblea degli Esperti, tutti hanno cominciato a guardare al cambio al vertice come anticipo sulle future manovre politiche. Anche per questo fa un certo scalpore la votazione avvenuta questo 10 marzo tra gli Esperti: l’ayatollah Mohammad Yazdi ha infatti ottenuto 47 voti su 73, sconfiggendo l’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, attuale presidente del Consiglio per il Discernimento delle scelte (Expediency Council) e una delle figure più influenti del sistema (solo 24 voti).

L’ayatollah Yazdi appartiene alla vecchia guardia rivoluzionaria. Nato nel 1931, è stato il capo della magistratura tra il 1989 e il ’99, carica di grande potere (che dipende direttamente dal Leader supremo). È anche un membro del Consiglio dei Guardiani, l’istituzione che ha il potere di mettere il veto sui candidati a cariche pubbliche e vegliare sulla costituzionalità delle leggi.

Insomma, è saldamente nel campo dei conservatori. Ma non degli oltranzisti più radicali: non va confuso ad esempio con  l’ayatollah Mohammad Taghi Mezbah-Yazdi, considerato mentore dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad. Come se gli Esperti avessero scelto una via mediana, non troppo vicino al campo del presidente Hassan Rohani (di cui Rafsanjani è un grande sponsor), non troppo squilibrata verso le correnti oltranziste che oggi si oppongono al negoziato sul nucleare.

La nomina di Mohammad Yazdi è il primo atto della transizione. La stessa Assemblea è a fine mandato, entro l’anno sarà rinnovata (e poiché gli Esperti restano in carica 8 anni, è molto probabile che sia proprio la prossima assemblea a occuparsi della successione alla massima carica dello stato).

Un dettaglio: l’Assemblea degli Esperti, che nominerà un leader dai poteri quasi assoluti, viene eletta dai cittadini iraniani a suffragio universale proprio come il parlamento. È uno dei paradossi della Repubblica Islamica nata 35 anni fa da una strana rivoluzione: nazionalista, anti-imperialista, anti-borghese, egualitaria, però clericale. Il nuovo sistema si fonda sulla dottrina formulata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, la velayat-e faqih, «supremazia del giurista islamico»: un governo islamico presieduto da una guida insieme religiosa e politica.

Il risultato è un sistema anomalo. C’è il Leader supremo, prima autorità dello Stato. Ci sono istituzioni elette a suffragio universale: enti locali, parlamento, presidente della Repubblica. Ma ci sono altre istituzioni che rispondono solo al Leader e hanno poteri di veto sulle prime: il Consiglio dei Guardiani che può impugnare leggi e candidature alle cariche pubbliche, il Consiglio per il discernimento (arbitra i conflitti tra poteri dello stato), l’Assemblea degli Esperti (eletti dai cittadini, ma rispondono a Khamenei). Salvo quest’ultima, vi si accede per cooptazione. Sono nominati dal Leader anche i capi di magistratura, radio-tv, dell’intelligence e delle Guardie della rivoluzione, corpo militare divenuto un centro di potere politico ed economico di prima importanza.

Per molti dissidenti, questa dualità di poteri è la vera contraddizione dell’Iran di oggi. L’Ufficio del Leader supremo è un apparato «pesante»: ha uno staff di parecchie centinaia di persone, consiglieri speciali per la politica, l’economia, affari militari e media, e centinaia di «rappresentanti del Leader» presso tutte le istituzioni importanti. Un noto giornalista dissidente, Akbar Ganji, sostiene che Khamenei ha esteso i suoi poteri ben oltre quanto previsto dallo stesso Khomeini, e lo paragona a un «sultano dei nostri giorni».

Fatto sta che alla morte di Khomeini, nel 1989, il successore fu scelto dalla cerchia ristretta della leadership rivoluzionaria. Oggi però al vertice dello Stato si scontrano almeno due fazioni politiche, una riconducibile all’ayatollah Khamenei, l’altra all’ex presidente Hashemi Rafsanjani. Entrambi appartengono a quella cerchia ristretta; Rafsanjani aveva appoggiato Khamenei come successore. Hashemi Rafsanjani è definito un «pragmatico», capofila di «tecnocrati»; è anche l’uomo più ricco in Iran. Come presidente della Repubblica, nei primi anni ’90 ha avviato la prima liberalizzazione dell’economia. Lo scontro con è esploso in seguito; molti interpretano la crisi del 2009, con le elezioni contestate da un movimento di piazza e la guerra del Leader contro il candidato sconfitto Mir Hossein Mousavi, come un atto dello scontro di potere tra i due titani. Scontro aperto: emarginato durante la presidenza Ahmadinejad, Rafsanjani è tornato in scena alla grande con un determinante appoggio alla presidenza di Hassan Rohani.

Ora però entrano nel gioco anche le Guardie della Rivoluzione, che hanno un ruolo autonomo nella politica estera (si pensi alla guerra contro lo Stato Islamico in Iraq) e durante l’amministrazione di Ahmadinejad hanno rafforzato sia il proprio potere economico (ad esempio con gli appalti pubblici assegnati alla società di ingegneristica delle Guardie) che l’influenza politica interna. Impensabile che non intervengano: senza dar credito alle ipotesi di una presa del potere diretto, è certo che le Guardie vorranno per il futuro Leader una figura popolare nel paese, ma che garantisca anche i loro interessi.

Infine c’è da considerare la variabile anagrafica: stiamo parlando di una leadership piuttosto anziana, la prima generazione della Rivoluzione. Ma già premono una seconda generazione (gli attuali 55-60enni, come Ahmadinejad), e una terza. In un paese dove due terzi della popolazione ha meno di 35 anni, i prossimi anni potrebbero segnare un ricambio «biologico» negli apparati dello stato.

I giochi sono aperti. Molto dipende dall’esito del negoziato tra l’Iran e le potenze mondiali: il Leader ha dato la sua fiducia al presidente Rohani e l’ha reiterata. Ma non è una fiducia incondizionata, l’esito dei colloqui di queste settimane sarà decisivo: certo se non si concretizzasse un accordo che metta fine all’isolamento economico dell’Iran, anche i falchi riprenderanno egemonia.

Ma ci sarà davvero un nuovo Leader supremo? Non tutti ne sono convinti. Forse, al momento dovuto, gli Esperti proclameranno una leadership collettiva, o un comitato transitorio finché le fazioni interne avranno trovato un accordo. Sarà l’inizio della trasformazione del sistema politico iraniano: in quale direzione, oggi è difficile dire.

Vai a www.resetdoc.org

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *