Da Reset-Dialogues on Civilizations
A Cuba. È sull’isola caraibica che papa Francesco e il patriarca russo Kirill, questo venerdì, si incontreranno. Momento storico, di quelli da segnare con il circoletto rosso. È il primo vertice in assoluto, nella storia, tra i capi delle chiese di Roma e russa, che tra quelle ortodosse vanta il seguito e il peso politico maggiori.
L’Avana è un campo neutro ideale. La maggioranza della popolazione è cattolica e gli ultimi tre papi hanno visitato l’isola. Giovanni Paolo II lo fece nel 1998, Benedetto XVI nel 2012 e Francesco lo scorso settembre. Il Vaticano ha inoltre mediato con successo alla fine dell’embargo decennale degli Stati Uniti.
Anche la Russia ha buoni rapporti con Cuba, dopo che nel decennio scorso, che ha segnato anche la chiusura della base militare russa sull’isola, retaggio dell’era della guerra fredda, erano stati abbastanza tiepidi. L’Avana è un tassello importante della politica globale russa, orientata a contrastare la potenza americana e a competervi. Dato che c’è una certa sovrapposizione tra gli interessi del governo di Mosca e quelli del patriarcato russo-ortodosso, che sull’isola ha inaugurato qualche tempo fa la sua prima chiesa (la comunità di fedeli è di 1500 persone), è naturale che Cuba, come luogo dove conferire, sia gradita anche a Kirill.
Storico, ma non di rottura
Il vertice tra i due religiosi è di grande importanza, ma non eliminerà le frizioni tra il Vaticano e il Cremlino (è anche la sede del patriarca), la principale delle quali riguarda la chiesa greco-ortodossa ucraina, di rito orientale, ma in comunione da secoli con Roma. Mosca la considera cavallo di Troia della Santa Sede. Uno sconfinamento vaticano nel recinto storico dell’ortodossia russa.
Vissuta in forma catacombale durante l’epoca comunista, la chiesa greco-cattolica, a livello politico, sostiene il processo di costruzione di un’identità nazionale ucraina svincolata dall’influenza storica esercitata nel paese da Mosca. Il patriarcato russo, che nell’ex repubblica sovietica conta il numero più ampio di fedeli, anche al netto della scissione tra le chiese ortodosse (ne esistono altre due ma non sono riconosciute da Costantinopoli), ha invece interesse a contrastare queste tendenze. Va da sé che in un momento come questo, segnato da una crisi politico-militare e da fratture culturali notevoli, la faccenda assume una coloritura che va oltre la cura delle anime. Si fa strategica e divisiva, anche se le due chiese non hanno mai chiuso i canali del dialogo.
Resta comunque lo schiaffo del 2005, quando la chiesa “uniate” (così viene definita dal patriarcato russo) ha spostato la sua sede da Leopoli, centro d’irradiazione storico, a Kiev. In questo è ravvisabile un’ambizione a farsi chiesa nazionale. Il patriarcato non l’ha presa bene. La capitale ucraina è “santa”, irrinunciabile e ortodossa. Lì è nato il primo stato russo della storia; lì i russi hanno sposato il rito cristiano orientale.
Il faccia a faccia tra Francesco e Kirill non sanerà le ferite aperte dell’Ucraina, né costituirà il preludio a una riunificazione tra cattolici e ortodossi, separati dal 1054: l’anno dello scisma. Posto che si è nell’ambito delle ipotesi più fumose, il compito di negoziare, tra gli ortodossi, non spetterebbe eventualmente al patriarca russo, ma a quello di Costantinopoli, Bartolomeo. È infatti lui il primus inter pares tra i massimi ministri delle chiese ortodosse, anche se questo non ne fa un “papa”. Le chiese ortodosse hanno struttura e organizzazioni autonome. I legami tra di esse sono, al massimo, orizzontali.
Sulla scia del dialogo
Permarrà il problema ucraino. Non si parlerà di riunificazione cristiana. Né tanto meno Francesco e Kirill faranno da mediatori in vista di un possibile riavvicinamento tra l’America, l’Europa e la Russia, che hanno logicamente canali e strumenti a sufficienza, se volessero diluire i rancori e i problemi attuali.
Ma allora perché questo incontro storico? Uno dei motivi, forse il principale, sta nei tempi che corrono. Tempi di rafforzato dialogo interreligioso e tempi dove le comunità cristiane in Medio Oriente sono minacciate dal terrorismo. I due fattori sono tra loro legati. Più c’è dialogo, più il terrorismo può essere arginato. Su questo Francesco e Kirill sono in sintonia.
Il patriarca ha a cuore il destino della Russia, dove l’ortodossia è senza dubbio un pilastro, in un contesto che è tuttavia multietnico e multiconfessionale, nonché minato, nel Caucaso russo, da fenomeni di radicalismo islamico. Il papa ha compiuto viaggi significativi in Albania, in Bosnia Erzegovina e in Turchia. Paesi a maggioranza musulmana, dove però le comunità cristiane, sia cattoliche che ortodosse, hanno la possibilità di esprimersi (nel caso albanese e bosniaco senza dubbio di più) o hanno lasciato tracce profonde nel corso della storia (è il caso turco).
C’è poi da dire che l’avvento al soglio pontificio di Francesco è stato visto in Russia come un fatto nuovo, di apertura, dopo i pontificati di Wojtyla e Ratzinger, un polacco e un tedesco. Figli di due nazioni che nel corso della storia hanno avuto a che discutere più volte, per usare un eufemismo, con la Russia. Anche in religione le nazionalità contano.
Kirill, dal canto suo, è uomo che conosce il mondo. Prima di essere nominato a capo della chiesa russo-ortodossa, ha diretto il dipartimento esteri del patriarcato occupandosi quindi di ecumenismo e facendolo con uno spirito di apertura verso il Vaticano e le altre confessioni cristiane non ortodosse, come scrive il giornalista John Allen in un approfondito articolo apparso sul sito cruxnow.com, spiegando inoltre che l’incontro con il papa può tornare utile anche in chiave di rapporti intra-ortodossi. A giugno, a Creta, ci sarà un summit tra i vertici ortodossi a livello mondiale e presentarsi con il “bottino” cubano può dare grande prestigio e rafforzare l’influenza della chiesa russa nel consesso ortodosso.
Quel viaggio di Kirill in Polonia
Del vertice tra il papa e il patriarca si è parlato più volte, anche durante il pontificato di Ratzinger. Durante il quale avvenne un fatto molto importante. Nel 2012 Kirill visitò la Polonia, un paese molto importante nella geografia cattolica mondiale. Semper fidelis, adagiato sul crinale tra il mondo cristiano occidentale e quello orientale, la patria di Giovanni Paolo II. Anche in questo caso fu una prima volta nella storia.
A Varsavia, Kirill firmò con i vertici della chiesa cattolica polacca un documento per la riconciliazione, pur se in esso non si fece menzione di tutti i passaggi critici che nei secoli hanno diviso Russia e Polonia. In quella circostanza ci fu chi parlò della missione polacca di Kirill come di un’anticamera per un potenziale e futuro incontro con il papa. Non fu a Varsavia che i giochi si sono decisi e oltre Tevere c’è oggi un altro inquilino. Ma quel viaggio a Varsavia è stata una tappa importante del percorso che porta all’appuntamento storico dell’Avana.
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