Malgrado l’efficace operato delle forze armate libanesi nelle operazioni anti-terrorismo, resta intatta la rete terroristica in Libano che si avvale di cellule dormienti dell’Isis e di al-Qaeda in tutto il Paese.
Lo scorso 1 luglio, l’esercito libanese ha arrestato Ahmed Khaled Diab, noto sotto il nome di “Ahmed Abu al-Seek”, membro del gruppo Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nei pressi della città di Arsal, nel nord est del Libano. Abu al-Seek era coinvolto in un attacco contro le forze di sicurezza nel 2014 per mano di militanti.
Inoltre, le forze palestinesi del campo di Ein al-Hilweh, a sud di Sidone, hanno consegnato all’esercito libanese Khaled Masaad, conosciuto come “Al-Sayyid”, accusato di tramare una serie di attentati terroristici durante il santo mese del Ramadan nelle città di Beirut e Sidone.
Mona Alami, ricercatrice del Centro Rafik Hariri per il Medio Oriente del Consiglio atlantico, dà una panoramica sulla comunità jihadista presente in Libano. Principalmente basati tra le città di Tripoli e Arsal, e il campo di Ein al-Hilweh, si aggirerebbero intorno ai 1.000-2.500 i libanesi arruolati in gruppi terroristici per combattere in Siria e Iraq secondo Alami.
Tre roccaforti jihadiste perlopiù emerse con l’inizio della guerra in Siria nel 2011. Vi era già stata una rapida crescita di gruppi salafiti radicali dopo l’invasione americana dell’Iraq nel 2003. Sono, oggi, jihadisti affiliati a Jabhat al-Nusra, al-Qaeda, Isis, Fatah al‐Islam, Jund al‐Sham o altri.
Tripoli, cittadina del nord del Paese con alti livelli di povertà e disoccupazione, ha visto negli anni passati pesanti scontri a fuoco tra le varie fazioni libanesi alleate alle parti opposte nel conflitto siriano. Milizie islamiste sunnite sono arrivate ad occupare la città vecchia e il vicino sobborgo di Bab al-Tabbaneh.
Specializzata in jihadismo, Alami parla di Ein al-Hilweh come di un ‘’caso bizzarro’’ essendovi un mescolarsi tra militanti pro al-Nusra o al-Qaeda e altri affiancati all’Isis, anziché un contrapporsi tra i gruppi rivali. Un esempio, come nota l’esperta, è quello dei Shabab al-Muslim (gioventù musulmana) che conta sostenitori di organizzazioni jihadiste opposte. Il gruppo comprende individui ritenuti responsabili di svariati attentati in Libano. Un paio di generazioni di jihadisti risiedono nel campo, aggiunge.
La spinta jihadista ad Ein al-Hilweh preoccupa l’esercito essendo stato in passato, come altri campi palestinesi, utilizzato da gruppi estremisti. La crisi nella vicina Siria ha innescato un’emorragia di siriani palestinesi tra cui islamisti radicali, che si sono riversati maggiormente nel campo di Ein al-Hilweh aggiungendosi ad elementi integralisti già presenti.
Nella zona di Arsal, si sono spesso verificati scontri tra forze armate e milizie estremiste, preceduti da incursioni militari in campi profughi siriani dove, l’esercito afferma, miliziani siriani legati a gruppi terroristici si sono infiltrati.
Le forze di sicurezza libanesi operano regolarmente sulle colline al confine siriano contro i miliziani jihadisti, effettuando bombardamenti e operazioni di perlustrazione nell’area intorno ad Arsal, punto di arrivo per combattenti jihadisti che hanno brevemente invaso la città nel 2014, anno che ha visto uno dei più grossi flussi di siriani in Libano.
Alla fine di giugno, le autorità hanno arrestato centinaia di persone in alcuni campi profughi nel nord-est, con sospetti legami con lo Stato islamico e al Qaeda.
Negli ultimi due anni, l’offensiva di esercito e intelligence militare in chiave anti-terroristica ha mostrato tolleranza zero da parte del governo libanese che ha svolto un ruolo efficace nel rintracciare potenziali jihadisti, arrestarli in territorio libanese o vietarne l’ingresso dalla Siria, spiega Alami.
Alcuni attentanti terroristici in Libano sono legati alla guerra siriana che dura ormai da sei anni, dove il gruppo sciita libanese Hezbollah combatte in sostegno del presidente Assad. La studiosa osserva che, allo stesso tempo, molti libanesi sunniti sono partiti per lottare a fianco degli oppositori al regime siriano, e poi tornati radicalizzati.
La prigione di Roumieh ha avuto una funzione centrale nella promozione di ideologia estremista e formazione di cellule terroristiche, precisa la ricercatrice citando fonti militari che hanno parlato di ‘’centro operativo’’ per diversi gruppi militanti. Roumieh, un ponte tra Ein al-Hilweh e Tripoli per molti jihadisti.
L’anno scorso, dice d’altra parte, le forze di sicurezza hanno fatto un blitz nella prigione reprimendo severamente i detenuti islamisti, e confiscando i loro computer e telefoni cellulari.
A parere di Alami, la minaccia terrorismo rimane viva in Libano malgrado sia stata contenuta grazie alla risposta securitaria del governo, coordinamento con le forze di polizia, trasmissione di informazioni raccolte via telematica da parte del movimento Hezbollah, e alla collaborazione di famiglie e amici di terroristi.
Il ministero degli interni (tradizionalmente vicino al blocco sunnita) e l’intelligence libanese (più vicino a Hezbollah), continua l’analista, stanno oggi cooperando nella lotta al terrorismo. Il che avrebbe ridotto notevolmente le azioni dell’Isis, che sembrano far fatica ad operare all’interno del Paese appoggiandosi perlopiù a siriani e palestinesi, e meno libanesi secondo il ministero degli interni.
È vero che l’apparato militare ha funzionato efficientemente servendo ad indebolire la rete jihadista, e limitarne le operazioni a sporadici attentati di basso livello. Le forze armate hanno condotto ripetute azioni preventive nel nord-est per impedire arrivi di miliziani dalla Siria e sventare possibili attacchi terroristici, mentre Hezbollah ha continuato separatamente la sua offensiva contro gruppi ribelli al confine siriano.
Di recente, il gruppo sciita ha lanciato un’operazione congiunta con le truppe di Assad ai due lati del confine, nelle montagne di Qalamoun in Siria e attorno ad Arsal.
Tuttavia, sebbene piccole (fino a due-tre membri) e decentrate, vi sono ancora cellule dell’Isis e di al-Qaeda, attive o meno, sparse sul territorio libanese.
La specialista del Consiglio atlantico pensa che un approccio strettamente militare non basti a stroncare la presenza jihadista nel Paese. Per fare di una persona un terrorista, serve malcontento, un’ideologia e una società che ne crei le condizioni, argomenta Alami alludendo ad una città come Tripoli che presenta i tre elementi.