Tutti i mercoledì, fino a maggio, gli ambienti del carcere bolognese della Dozza continueranno a trasformarsi in un’Assemblea costituente, aprendo le loro porte a insegnanti, professori universitari, mediatori, imam ed esperti di cultura islamica. Tutti insieme per rileggere la nostra Costituzione e riflettere sui diritti e i doveri in essa elencati e condivisi.
Esperti e detenuti seduti fianco a fianco per comprendere, ognuno attraverso la propria cultura e i propri usi e costumi, l’universalità di diritti e doveri che travalicano i confini nazionali. Anche in quella che troppo semplicisticamente viene spesso descritta come la terribile sharia, ci sono infatti i semi di questi principi che i detenuti hanno sentito menzionare nel loro diritto islamico.
Per capire l’intima connessione tra diritti e doveri nella costruzione di una comunità civile e indicare nel principio costituzionale della “solidarietà” un valore etico ben attestato anche nelle fonti islamiche e capace di superare la logica strettamente contabile del do ut des, la nostra Costituzione viene letta in italiano e in arabo. Nella classe della Dozza, coordinata da Ignazio De Francesco, membro della piccola famiglia dell’Annunziata, la comunità monastica che ha sede a Monte Sole, la nostra Carta Fondamentale viene interpretata anche attraverso il ricorso a fonti arabo/islamiche antiche e moderne, ivi incluse le Carte costituzionali di alcuni paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.
Tra i docenti, alcuni anche esterni alla scuola del carcere, ci sono arabisti come Paolo Branca e Giuseppe Cecere, esperti di storia del mondo islamico come Caterina Bori, intellettuali musulmani come Adnane Mokrani e Abu Abd Al-Rahman, esperti di diritto islamico come Gianluca Parolin. Oltre alla disponibilità della direzione della Dozza, decisivi sono stati il ruolo del garante regionale dei detenuti Desi Bruno e l’apporto della scuola con la responsabile Filomena Colio.
Alla base della metodologia del corso c’è infatti la convinzione che si debba dare rieducazione a un uomo che ha violato la legge passando in primis attraverso i valori più alti delle sue tradizioni, le quali hanno su di lui una presa e un’attrazione incomparabilmente maggiori rispetto ai messaggi provenienti da altre culture. Ecco perché l’idea di fondo, alla base di un progetto educativo specifico per detenuti musulmani, è quella di fare leva sul loro patrimonio linguistico, religioso, culturale.
L’esperienza va però oltre la condivisione e la riflessione. Nel carcere della Dozza è nata una vera e propria Costituente. Una trentina di reclusi ha deciso di prendere carta e penna per stilare una personalissima Carta dei principi fondamentali. Rispettando le sensibilità di tutti, il documento che si cerca di redigere è anche uno strumento usato per integrare e integrarsi, evitando ogni forma di radicalismo. “Dal gruppo dei circa trenta ‘costituenti’ verrà selezionato un nucleo più ristretto che, insieme a qualche docente e al mediatore culturale, inizierà a elaborare qualcosa da presentare agli altri per discuterne. Bisogna chiarire bene che si tratta di una ‘simulazione’”, spiega Ignazio De Francesco, “cioè niente più di un’esercitazione di scuola, che nondimeno vuole essere un’esercitazione seria, un modo intelligente di riflettere come musulmani e membri della comunità civile sui principi supremi della convivenza tra credenti e non credenti, tra uomini di ogni etnia e cultura. Il carcere può essere un laboratorio di idee e impulsi a servizio dell’intera società”.
Ecco perché negli incontri si parla anche di primavere arabe, arrivando a trattare questioni sensibili come il ruolo della donna nella famiglia e nella società islamica. “Sin dall’inizio gli studenti sono stati aperti e interessati, l’imbarazzo iniziale della presenza della telecamera di Marco Santarelli che sta realizzando documentario sul corso è stato superato in fretta e ora tutti partecipano. Gli studenti apportano sempre contributi molto originali su quello che hanno visto nei loro paesi. Si parla di cose che sentono vicine: l’uguaglianza, la solidarietà, il diritto di associarsi, i partiti politici. Un giorno un detenuto algerino ha raccontato quando due fratelli in casa si sono affrontati pistola alla mano: uno era un poliziotto e un altro membro di un gruppo radicale. E il padre li ha divisi”, racconta ancora De Francesco. Gli incontri mirano anche a facilitare il reinserimento dei detenuti. Questo è possibile solo nella reciproca conoscenza, condizione imprescindibile per arrivare alla definizione di un patrimonio comune di valori condivisi.