Il ritorno del jihad nazionalista: l’ascesa di HTS e la fine di Assad

La vittoria lampo di Hayʼat Tahrir al-Sham (HTS) nella sua offensiva sorprendentemente efficace, che ha rovesciato la dittatura baathista guidata dalla famiglia Assad da oltre 50 anni in Siria, ricorda molto il modo in cui i talebani hanno fatto crollare il castello di carte del governo afghano durante il ritiro degli Stati Uniti dal Paese nel 2021. Ai talebani sono bastati dieci giorni per conquistare la vittoria, mentre HTS ha impiegato appena una settimana a destituire Bashar al-Assad. In entrambi i casi, le forze militari dei regimi esistenti si sono per lo più dissolte, praticamente senza combattere.

Ma l’eco è più profonda. La linea di continuità più significativa tra le vittorie dei talebani e di HTS è che segnano una nuova fase nel movimento militante fondamentalista sunnita radicale: un ritorno al passato, o almeno agli inizi degli anni ‘90.

Il “jihadismo nazionalista” è l’ordine del giorno in Siria, Afghanistan — e potenzialmente presto in altri Paesi della regione.

Siamo abituati a pensare al jihadismo sunnita radicale in termini di progetti terroristici internazionalisti o transnazionali. Ma non è sempre stato così. L’autodefinitosi movimento salafita-jihadista si è consolidato in Afghanistan durante la guerra per espellere gli invasori sovietici negli anni ‘80. Lì, varie correnti di radicalismo musulmano sunnita si mescolarono per creare il moderno movimento jihadista.

Con una certa ironia, questa nuova ideologia è stata direttamente e deliberatamente promossa da tre Paesi — gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e il Pakistan — che da allora sono stati tormentati dai suoi seguaci. Ma il progetto iniziale, la sconfitta degli invasori sovietici, fu realizzato con il ritiro dell’URSS dall’Afghanistan nel 1989.

I combattenti stranieri e i volontari provenienti dal mondo a maggioranza musulmana, e in particolare dai Paesi arabi, tornarono a casa, impregnati della loro nuova ideologia radicale e di un grandioso senso di autocompiacimento per aver abbattuto i comunisti atei della potente URSS. Molti continuarono ad aggrapparsi al loro fervore rivoluzionario e alle loro ambizioni, e alcuni iniziarono a lavorare per deporre gli Stati autoritari locali e creare nuovi governi “islamici” nei loro Paesi.

L’esempio più drammatico di questo jihadismo nazionalista si verificò in Algeria, dove negli anni ’90 vi fu un orrendo conflitto a tre tra il Movimento Islamico Armato (MIA) radicale, il più estremo Gruppo Islamico Armato (GIA) e il governo militare al potere che incarcerò brutalmente migliaia di sospetti islamisti algerini, tenendoli in campi di prigionia improvvisati, spaventosi e quasi insopportabili nel Sahara. Ci furono massacri e atrocità da tutte le parti, ma il GIA fu così brutale che alla fine il MIA dichiarò un cessate il fuoco unilaterale con il governo, che alla fine “vinse” la guerra.

Il progetto del jihad nazionale fallì.

Ma proprio in quel periodo, un altro degli “arabi afghani” (termine per i volontari del mondo arabo che combatterono in Afghanistan), Osama bin Laden, tornò in Afghanistan e iniziò a predicare la necessità di un jihad internazionalista contro l’Occidente. Unì le forze con il radicale fondamentalista egiziano Ayman Zawahiri — insieme a un’altra organizzazione egiziana e a una da Pakistan e Bangladesh — per creare Al Qaeda.

Questa nuova organizzazione rifiutò il jihad nazionalista che aveva subito il suo fallimento più emblematico in Algeria e iniziò ad attaccare interessi occidentali, e in particolare americani. Sostenevano che la battaglia contro il “nemico vicino” — i governi nei Paesi a maggioranza musulmana — non poteva avere successo fino a quando non fosse stata ottenuta una vittoria decisiva contro il “nemico lontano” — l’Occidente e in particolare gli Stati Uniti — allontanandolo dal mondo islamico e ponendo fine al suo sostegno cruciale a questi governi e società “apostati”, pseudo-musulmani. Questi attacchi crebbero in portata e scala, culminando negli attacchi terroristici dell’11 settembre.

La risposta degli Stati Uniti — in particolare la destituzione dei talebani in Afghanistan e l’uccisione, la cattura e la dispersione dei leader e dei combattenti di Al Qaeda, che resero l’organizzazione molto meno efficace — inflisse un colpo decisivo a questa forma di jihad internazionalista. Ma il terrorismo fondamentalista sunnita non era finito. La guerra in Iraq offrì invece agli estremisti sunniti fondamentalisti ancora più radicali l’opportunità di esplorare un nuovo progetto: il jihad del califfato transnazionale.

Un ex detenuto giordano chiamato Abu Musab al-Zarqawi formò Al Qaeda in Mesopotamia, che sviluppò un nuovo stile di jihad incentrato su atti spettacolari di crudeltà pubblica, come i video di decapitazioni, e specializzato in attacchi contro moschee sciite e persino obiettivi sunniti ritenuti insufficientemente “islamici”. Zarqawi e i suoi successori furono uccisi dagli eserciti statunitense e iracheno, soprattutto durante le offensive del 2006-07, ma ciò non impedì al gruppo di trasformarsi nell’ISIS.

Il nuovo leader dell’ISIS, Abu Baqar al-Baghdadi, fu in grado di inviare un gruppo di combattenti in Siria, incluso Abu Mohammad al-Jolani. Jolani fondò un gruppo chiamato Fronte Nusra, che inizialmente si identificò come un gruppo affiliato all’ISIS in Siria. Con questa alleanza, l’ISIS riuscì a formare un “califfato” nel 2014, collegando vaste aree dell’Iraq e della Siria e creando un proprio mini-Stato.

L’ISIS e il “califfato” vennero distrutti in una campagna internazionale guidata dagli Stati Uniti e, durante quel periodo, Jolani e il Fronte Nusra avviarono una serie di cambiamenti, di nome e trasformazioni ideologiche. Per prima cosa passarono dall’affiliazione all’ISIS a quella ad Al Qaeda. Nel 2016 ruppero del tutto con Al Qaeda, unendosi ad altri islamisti sunniti radicali in Siria per creare HTS.

HTS dichiarò di essere non solo separato da Al Qaeda, ma anche più moderato e nazionalista. Affermò di essere interessato esclusivamente a rovesciare la dittatura di Assad a Damasco e di non preoccuparsi degli eventi al di fuori della Siria. Fu un ritorno all’orientamento dei primi anni ’90, derivante direttamente dalla fine della guerra afghana: il jihad nazionalista.

Su questa base, riuscì a ottenere il sostegno di varie altre fazioni islamiste sunnite, alcune più moderate e altre più estreme, nonché di milizie siriane islamiste sostenute dalla Turchia e, in molti casi, della stessa Turchia (anche se ufficialmente la Turchia considera HTS un’organizzazione terroristica). Negli ultimi anni, HTS ha stabilito il controllo sulla provincia di Idlib, nel nord della Siria vicino al confine turco, da dove ha pianificato il crollo del regime di Assad.

Poco più di una settimana fa, HTS è uscita da Idlib e ha iniziato la sua corsa verso Damasco. Il regime di Assad è crollato sotto questa pressione, privo del sostegno militare diretto della Russia, di Hezbollah e dell’Iran che lo aveva salvato da una crisi simile dal 2015 al 2020. La Russia è distratta in Ucraina, l’Iran è riluttante a impegnare le proprie forze sul suolo straniero ed è stato avvertito da Israele che se le sue truppe fossero entrate in Siria, sarebbero state attaccate senza sosta dall’aeronautica israeliana, e Hezbollah è stato martoriato — ed è quindi privo della capacità di aiutare Assad — dalla sua guerra con Israele nell’ultimo anno.

La dittatura cinquantennale è crollata quando Assad è fuggito dal Paese senza combattere per la cruciale città di Homs, per non parlare di Damasco o della sua roccaforte alawita nel nord-est costiero e montuoso.

Tra i talebani, che hanno annunciato un progetto islamista sunnita strettamente nazionalista in Afghanistan, e la vittoria guidata da HTS in Siria, il movimento jihadista islamista sunnita sembra essere tornato alle sue origini nei primi anni ’90: il jihad nazionalista. Questo è il risultato diretto dei clamorosi fallimenti sia del jihad del califfato (ISIS) sia del jihad transnazionale (Al Qaeda).

I movimenti islamisti sunniti in tutto il mondo stanno certamente prendendo nota del successo dei Talebani e di Hayʼat Tahrir al-Sham (HTS) e cercheranno di imitare questo nuovo approccio, apparentemente efficace, al jihad islamista sunnita. Per questi radicali, si tratta di un ritorno al futuro e agli anni ’90, un metodo emerso direttamente dalla vittoria contro i sovietici in Afghanistan: il “jihad” nazionalistico.

 

Questo articolo è stato in origine pubblicato in inglese su MSNBC il 10 dicembre 2024.

Immagine di copertina: il leader del movimento islamista siriano Hayat Tahrir al-Sham, Abu Mohammed al-Jolani, nel primo discorso all’interno della Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco l’8 dicembre 2024. (Foto di Abdulaziz KETAZ / AFP)

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