Da Reset-Dialogues on Civilizations
All’interno del movimento artistico underground libanese, uno dei nomi più di rilievo è senz’altro quello di Mazen Kerbaj. Artista visivo e musicista, classe 1975, il 3 ottobre ha inaugurato in uno degli spazi espositivi della Mostra d’Oltremare di Napoli la sua prima personale italiana, “Medio Occidente”, dove il titolo sta a significare la tensione verso Oriente della città partenopea, che si rispecchia nella mediterraneità di Beirut. La mostra resterà allestita fino al 20 ottobre e fa parte di un progetto più ampio in cui l’artista libanese è stato coinvolto nella capitale campana a più livelli. Curata da Francesco Siviero con il Forum Universale delle Culture, l’esposizione raccoglie una bella e accurata selezione di fumetti, schizzi e quadri.
Nei disegni di Mazen Kerbaj, il suo volto (lui stesso si rende protagonista di diversi fumetti, impersonando il Libano e i libanesi) e quello dei personaggi è spesso stravolto: occhi, naso e labbra sono enormi, fuoriescono dalla geometria del viso, come in alcuni quadri di Picasso. Nei suoi fumetti c’è tutta l’ironia e l’amarezza di cui è capace un artista sensibile e critico che si interroga sul presente, sui problemi del suo Paese e su quelli della regione mediorientale. Insomma si ride, ma è un riso che spesso è amaro.
Artista a tutto tondo, nato a Beirut a distanza di pochissimi mesi dallo scoppio della guerra civile libanese (1975-1989), Mazen rappresenta alla perfezione quella energia e vitalità dirompenti che investono chiunque metta piede nella capitale libanese. È voglia di vivere, vivacità – non solo culturale – quella che si respira a pieni polmoni in ogni angolo di Beirut. Anche se Beirut non è bella, ma “è un tipo”. Anche se è lacerata, frammentata, “smarginata”, per usare un vocabolo del lessico della scrittrice napoletana Elena Ferrante.
La storia d’amore che lega Mazen Kerbaj alla sua città è di quelle tormentate. In una sua breve striscia scrive: “Ti amo. Ti amo quando mi abbracci. Ti amo quando mi respingi. Amo i tuoi occhi. Amo i tuoi occhi nei miei occhi. Amo gli occhi degli altri nei tuoi occhi. Ti amo…E ti odio più di quanto Satana odia Dio, mia Beirut”.
Durante la guerra dei 33 giorni del 2006, in cui Beirut e il Libano sono squassati dai bombardamenti israeliani, Mazen racconta la cronaca nerissima di quei giorni attraverso i disegni che pubblica sul suo blog (WAR’S) KERBLOG, poi diventato un libro (la stessa sorte capita all’attivista e artista Zena El Khalil e al suo blog “Beirut I love you”, che si trasforma in un libro, pubblicato anche in italiano da Donzelli). L’artista diventa un cronista inconsapevole ma prezioso per i media occidentali, che lo tempestano di richieste di interviste, investendolo di una responsabilità che forse non si aspettava: “Le persone muoiono sotto le bombe e io concedo interviste!”, scrive un giorno – “Comunque, continuerò a disegnare, a dar di matto, a suonare e a bloggare (odio questa parola!) finché non troverò qualcosa di più intelligente/utile da fare”.
È così che gli organizzatori della mostra napoletana lo conoscono: appena partiti dal Libano in quel 2006, dove erano stati per lavoro, allo scoppio della guerra si mettono a cercare su Internet qualcuno che “ci potesse restituire un immaginario di quello che stava succedendo” – come racconta Siviero. “Al tempo non c’era Facebook in Europa, ma cercando su Internet avevamo trovato le vignette di Mazen che ci avevamo impressionato. Da allora siamo in contatto e alla prima occasione (un bando europeo, nda) lo abbiamo fatto venire in Italia”.
Con Napoli è stato subito un amore, appassionato e bruciante. Perché in fondo, Napoli assomiglia un po’ a Beirut: “È peggio e meglio di Beirut. È la peggiore e migliore città che abbia mai visto, la più eccessiva” – dice Mazen. “Qui è come stare a casa senza stare a casa. Ma quello che non mi è piaciuto è proprio il fatto che sia troppo come Beirut. È troppo incasinata, non si riesce a fare nulla per tempo, proprio come a Beirut. Amo e odio la mia città allo stesso tempo e qui ho avuto la stessa sensazione. E comunque per me Napoli non è una città europea, è completamente mediterranea”.
Al capoluogo campano è dedicata una piccola ala della mostra, popolata di schizzi fatti sui menu della trattoria Nennella, del bar Perditempo o della storica pizzeria da Michele, di un quadro ispirato al cimitero delle Fontanelle e di un altro fatto di getto in albergo, dopo una notte passata fino all’alba a parlare all’aperto, dal titolo “Me? Felice?”.
D’altronde, in quanto a contraddizioni, stratificazioni sociali, felicità dirompenti e vivacità culturale, Napoli non ha proprio nulla da invidiare a Beirut.
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