Da Reset-Dialogues on Civilizations
I tunisini si stanno rendendo conto che costruire una democrazia autentica, genuina e duratura è molto più difficile che rimuovere un dittatore. Sia prima che durante la rivoluzione contro Ben Ali, l’opposizione e tutti i tunisini erano motivati dall’odio verso il vecchio regime e uniti dal desiderio di sbarazzarsene. Ma subito dopo la rivoluzione si sono spaccati sul modo in cui procedere e sulla tipologia di sistema politico, diritti, costituzione e riforme che volevano vedere attuati. Queste divisioni hanno reso difficile raggiungere e applicare le riforme e i risultati che erano stati auspicati abbastanza rapidamente perché la popolazione credesse nella transizione e la supportasse. Ciò ha inoltre consentito a coloro che avevano supportato il vecchio regime ed erano stati da esso favoriti di iniziare a coalizzarsi in varie forme e a tramare per determinare il fallimento del processo di transizione democratica.
Le spaccature sono riscontrabili in particolare in coincidenza con la divisione tra islamici e laici. Ciascuna delle due fazioni rappresenta approssimativamente il 40-50 percento della popolazione, malgrado gli islamisti costituiscano un fronte perlopiù unitario (la maggior parte di loro è infatti affiliata ad al-Nahda) mentre i laici si dividono tra più di 10 o 15 gruppi politici e correnti. Molti di loro sono ovviamente uniti contro al-Nahda e molti auspicano il fallimento del governo di coalizione (eccetto naturalmente Attakattol e Congresso per la Repubblica che fanno parte della coalizione di governo), ma sono anche profondamente spaccati tra diverse e radicate linee di pensiero ideologiche, economiche, sociali e politiche. Le aspre lotte intestine interne ai gruppi e ai partiti laici e l’attrito tra questi e al-Nahda hanno portato a un esacerbarsi delle tensioni nel Paese e a un indebolimento dell’unità nazionale, del dialogo e del consenso. Il forte sentimento di paura e in alcuni casi addirittura di odio tra irriducibili islamisti e irriducibili laici si è sviluppato e consolidato in oltre 30 anni di sfiducia, corruzione, oppressione e regime del terrore alimentati da Ben Ali per tenere divisi i tunisini e far sì che tutti si temessero tra loro.
Al contrario di quanto è avvenuto in Turchia o Egitto, nessuna delle due fazioni è in grado di imporre il suo punto di vista o la sua volontà all’altra. I laici non possono imporre leggi laiche e gli islamisti non possono imporre leggi islamiche. Ecco perché al-Nahda ha annunciato nei mesi scorsi (precisamente a marzo) che non avrebbe più insistito nel citare la shari’a tra le fonti di diritto nella nuova Costituzione. Il dibattito all’interno dell’Assemblea Costituente Nazionale ha portato al formarsi di un consenso su molte questioni (diritti delle donne, libertà d’espressione, diritti delle minoranze, rispetto dei valori islamici e dell’identità araba/islamica, eccetera) ma si è trattato di un processo arduo e difficoltoso. L’unico motivo di divergenza resta il tipo di regime politico che si sceglierà per la Tunisia (sistema parlamentare o presidenziale) e su questo argomento la popolazione tunisina e i partiti politici del Paese sono ancora divisi. Di recente la Troika di governo ha annunciato di aver convenuto sulla scelta di un “sistema presidenziale modificato” e di aver optato per un presidente eletto dal popolo, ma è chiaro che restano delle spaccature sullo specifico ruolo di vigilanza e sulle specifiche funzioni che verranno attribuite al capo di Stato e ai rapporti che lui o lei avranno con il Parlamento e il governo. La questione resta al centro di un dibattito altamente politicizzato e al momento sta rallentando le ultime fasi di elaborazione e approvazione della nuova Costituzione.
In Tunisia e in tutto il mondo arabo abbiamo due forti movimenti e correnti: un influente movimento religioso che ha fatto della religione una forza straordinariamente incisiva e una parte integrante dell’identità della maggior parte dei cittadini, e un fortissimo movimento democratico che ha convinto i tunisini (e gli arabi in generale) del fatto che il progresso, la prosperità e la dignità non si possono raggiungere in assenza di libertà e democrazia. Se queste due potenti forze entreranno in collisione assisteremo in Tunisia a episodi di violenza e forse anche alla guerra civile, ma se riusciamo a colmare il divario tra questi due popolari movimenti politici e sociali possiamo gettare le basi per una democrazia autentica e duratura. Per raggiungere questo obiettivo bisognerà “introiettare” i valori della democrazia e dei diritti umani nel sistema di valori e nella cultura islamica. I comuni cittadini devono convincersi che la democrazia non solo è compatibile con l’Islam (e con la loro cultura e con i loro valori islamici), ma è anche l’UNICO sistema politico compatibile con l’Islam. Su questo fronte, ci vuole ancora un fortissimo impegno e un enorme sforzo per persuadere la maggioranza dei cittadini del fatto che i valori della libertà, della democrazia e dei diritti umani sono effettivamente compatibili con l’Islam, ma tale impresa è spesso vanificata o rallentata dalle rivendicazioni di alcune libertà che ancora oggi sono al centro di un acceso dibattito e di grandi controversie anche in Occidente (come la pornografia, l’omosessualità, la prostituzione, il nudo e il mancato rispetto nei confronti di valori e simboli religiosi). A mio avviso, tali tematiche caldamente contestate e dibattute dovrebbero essere posticipate e trattate in un secondo momento, dopo che saranno state gettate e consolidate le fondamenta dell’edificio democratico, e a questo proposito dobbiamo ricordarci che né Roma né la democrazia sono state costruite in un giorno solo.
Per finire, la Tunisia ha fatto moltissimi passi avanti negli ultimi due anni, ma molto ancora resta da fare. I prossimi due o tre anni saranno cruciali per:
– finire di stilare e ratificare la bozza di Costituzione (auspicabilmente con una maggioranza di due terzi, che non sarà facile raggiungere) in modo da poter organizzare elezioni presidenziali e legislative libere e giuste, si spera entro l’anno prossimo;
– adottare e implementare un nuovo sistema legislativo per i tre Consigli Superiori permanenti e indipendenti (elezioni, sistema giudiziario e media);
– adottare un nuovo sistema di diritto per la giustizia transizionale;
– portare avanti gli sforzi di riforma ed epurazione nei settori della sicurezza, del sistema giudiziario e del panorama mediatico, che costituivano i pilastri fondamentali del regime di Ben Ali e restano tuttora pressoché intatti;
– aumentare e consolidare il consenso, il dialogo e l’unità nazionale tra tutti i tunisini su questi punti critici e cruciali e sulle modalità con cui tutelare e rispettare i valori e i principi islamici e democratici;
– in ultimo, cercare di garantire una qualche stabilità e crescita economica, ridurre la povertà e la disoccupazione e dare ai tunisini, specialmente ai giovani, la speranza di un futuro migliore affinché possano mostrarsi più tolleranti nei confronti delle iniziali instabilità e stravolgimenti “democratici”.
In effetti è un’impresa estremamente ardua. Sono comunque fiducioso che la Tunisia ce la farà, ma sarà necessario un maggiore supporto da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che hanno molto da guadagnare dalla riuscita del processo di transizione democratica. Entrambi non si sono ancora avvicinati al tavolo per offrire il supporto economico e finanziario necessario per aiutare la Tunisia a intraprendere questo difficile percorso. Spero non dovremo tutti pentirci – tra due, tre, cinque anni – di esserci fatti sfuggire una grande occasione storica in cui era possibile costruire pace, stabilità, democrazia e prosperità sulle coste meridionali del Mediterraneo, in una regione così cruciale e vitale come il Medio Oriente e il Nordafrica.
Perché la democrazia possa crescere nel mondo arabo, deve prima riuscirci in Tunisia. Ciò vuol dire cha la coalizione laico-islamista va mantenuta, e che bisogna garantire un maggiore sostegno economico e una maggiore assistenza per aiutare la Tunisia in questa complessa e impegnativa transizione.
Traduzione di Chiara Rizzo
Questo articolo riassume i punti centrali della relazione presentata da Radwan Masmoudi, presidente del Center for the Study of Islam and Democracy, al convegno “Pluralismo e democrazia: prospettive per il Medio Oriente arabo e il Nordafrica”, organizzato dal Consiglio Europeo per le Relazioni con l’Estero e dal Consiglio per una Comunità di Democrazie giovedì 6 dicembre e venerdì 7 dicembre 2012 a Parigi.
Nella foto: La moschea di Oqba a Keirouan, Tunisia
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Grazie Letizia!
ottimo e interessantissimo pezzo, come sempre