Casa sua è in un verde e ordinato quartiere residenziale alle porte di Francoforte sul Meno. La sua macchina luccicante ha gli interni foderati in metallo e i sedili che emanano un forte odore di profumo commerciale. Lo stesso di cui odora la sua lunga barba scura, tagliata a fin di pelle soltanto all’altezza dei baffi. “Guarda” mi dice con il suo accento da immigrato di seconda generazione mostrandomi una boccetta di profumo “questo è deodorante per la barba. È uno dei miei business. Lo importo in Germania e lo vendo insieme ad altri miei prodotti”.
Lui è Bilal Gümüs ed è considerato dalle forze di sicurezza tedesche come uno dei leader più influenti dei cosiddetti salafiti, gli islamisti radicali che considerano la sharia come superiore alla costituzione e sognano l’istituzione di uno Stato islamico senza confini e senza distinzioni di razza. Secondo Hans-Georg Maassen, presidente dei servizi segreti germanici, queste persone rappresentano oggi la più grande minaccia per la sicurezza nazionale, è per questo che da tempo le autorità si sono attivate per metterle fuori gioco. Il padre fondatore dell’islamismo radicale tedesco, il palestinese Ibrahim Abu Nagie, è dovuto fuggire in Brasile perché ricercato per truffa ai danni dello Stato; l’attuale numero uno degli islamisti tedeschi, il convertito Pierre Vogel, è tenuto costantemente sotto osservazione; il suo braccio destro, il convertito Sven Lau, è stato condannato a sei anni di reclusione per il favoreggiamento della partenza verso la Siria di alcuni foreign fighters; Bilal Gümüs verrà arrestato il tre marzo 2018, qualche mese dopo il nostro primo incontro, con l’accusa di “preparazione di un grave atto di violenza contro lo Stato” mentre tentava di espatriare verso la Turchia. Secondo l’accusa sono almeno 140 le persone che Gümüs e le persone a lui vicine hanno radicalizzato e spinto a partire per raggiungere gruppi terroristici in territori di guerra.
Chi conosce Bilal Gümüs sa che, se non fosse per la barba incolta, il suo stile e i suoi modi di fare socievoli non corrispondono allo stereotipo dell’islamista radicale. Nessuna larga toga, nessun copricapo. La sua corporatura è robusta, le mani inanellate, le sue felpe sono larghe, colorate e appariscenti come anche i suoi pantaloni e le sue scarpe da ginnastica, i suoi capelli corti e neri sono spesso unti di gel e pettinati lateralmente. Un Genny Savastano di periferia piuttosto che un terrorista. Secondo chi lo accusa sarebbe entrambe le cose.
È in periferia, in effetti, che Bilal si è fatto le ossa. Più precisamente nel malfamato quartiere di Sossenheim, sobborgo ovest di Francoforte. “Guarda qui” mi dice indicando una strettoia fuori dal finestrino mentre in macchina entriamo nel suddetto quartiere, “qui una volta abbiamo assaltato una gang rivale che veniva da un’altra zona”. Sossenheim sembra in realtà un ordinatissimo quartiere popolare. Gli alti palazzi sono circondati da prati ben tagliati, le strade sono ben asfaltate, i trasporti pubblici ben funzionanti, le case ben verniciate. Non c’è degrado, non sembra un ghetto. Bilal però non è d’accordo. “Per noi cresciuti qui è diventato un ghetto dentro le nostre teste” racconta “qui ci abitano solo stranieri e quasi tutti musulmani. Se vai in altre zone della città e dici di essere di Sossenheim la gente diventa come minimo diffidente, per cui preferivamo starcene tra di noi. Ci trovavamo qui in piazza, eravamo in circa 25 e ci comportavamo da gang: facevamo rap, bevevamo, fumavamo e ci battevamo contro i ragazzi di altri quartieri, anche loro tutti stranieri”.
La storia di Bilal è quella di tanti ragazzi di passaporto tedesco della sua generazione. Classe 1989, è nato a Mardin, cittadina turca a prevalenza curda situata lungo il confine turco-siriano. Da bambino si trasferisce con la famiglia in Germania dove ottiene lo status di rifugiato e, dopo una prima permanenza in un centro d’accoglienza, si stabilisce a Sossenheim. È qui che cresce ed è qui che inizia la sua carriera criminale.
“La mia gioventù è stata bella e selvaggia” racconta passeggiando tra i palazzoni, “eravamo un gruppo di amici tutti stranieri e quasi tutti musulmani anche se nessuno veramente praticante. Al massimo fingevamo di digiunare per non essere giudicati dai vicini (anche loro musulmani ndr). Non ci sentivamo benvoluti dai tedeschi e non ci sentivamo di appartenere a questa città e a questo Paese. E siamo diventati dei criminali”. Rapine, pestaggi, aggressioni. C’è un po’ di tutto nella fedina penale di Bilal finché nel 2010 non viene condannato a tre anni di reclusione per una serie di reati tra i quali il tentato omicidio. È in carcere che di colpo scopre la fede. “Ero in isolamento con solo due libri da leggere, la Bibbia e il Corano. È leggendo il Corano che sono rimasto folgorato. Da quel momento ho capito che la mia vita sarebbe cambiata e che l’avrei dedicata ad Allah”. Uscito di galera abbandona il mondo del crimine, si lascia crescere la barba ed inizia una nuova militanza nel radicalismo islamico. Comincia a distribuire copie gratuite del Corano per le strade per conto di Lies, un’organizzazione islamista sciolta dalle autorità dopo la partenza di molti suoi militanti verso lo Stato islamico. Poi entra a far parte di Die wahre Religion, gruppo nato dalle ceneri di Lies e a sua volta messo fuorilegge perché accusato di fare propaganda per l’Isis. Infine, aderisce a We love Muhammad ennesima organizzazione animata dalle stesse persone delle due sciolte precedentemente che oltre a distribuire copie del Corano si caratterizza per spiccate attività imprenditoriali.
In questo settore Bilal assume un ruolo di rilievo. Inizia a lavorare come manager per Bakkah Reisen, un tour operator che organizza viaggi alla Mecca in compagnia di predicatori radicali. Tra loro ci sono Pierre Vogel (“il mio migliore amico” dice Bilal) e Marcell Krass altro convertito ritenuto da alcuni investigatori come organico ad Al Qaeda. Nel suo cellulare, infatti, vennero trovati i numeri di telefono di due degli attentatori che nel 2001 colpirono le torri gemelle. Questi viaggi alla Mecca sono organizzati in collaborazione con l’ambasciata a Berlino dell’Arabia Saudita, Paese in cui vengono anche stampate le copie del Corano distribuite per strada. Parallelamente a tutto ciò Bilal ha fondato Muslim Mode, un brand d’abbigliamento per islamici i cui capi sono colorati in modo vivace e ricchi di scritte appariscenti, sembrando più adatti ad un rapper di periferia che ad un fedele ortodosso. Questo brand è collegato a IHED, una ong che porta aiuti umanitari alle popolazioni musulmane di tutto il mondo: dalla Somalia alla Siria, dal Bangladesh alla Birmania. Infine legata a questa rete di sigle vi è anche l’associazione Al Asraa che assiste legalmente ed economicamente i musulmani detenuti nelle prigioni tedesche prendendosi anche cura delle loro famiglie. Una sorta di Soccorso Rosso islamico che negli ultimi anni ha sostenuto molti tedeschi processati per terrorismo, tra i quali anche dei ragazzi di Sossenheim.
Come spiega Bilal, infatti, non sono pochi i giovani del suo quartiere passati dalla criminalità alla militanza radicale islamica. “La religione li tiene lontani dallo sbandamento. Oggi molti dei miei fratelli di fede sono ragazzi che in adolescenza facevano parte di gang rivali alla mia. Scoprendo l’Islam ci siamo allontanati da quella vita”. Se la militanza nell’Islam radicale allontana dal crimine essa ha però spinto molte persone ad aderire a gruppi terroristici, come Bilal stesso riconosce. “Tanti ragazzi che distribuivano con me le copie del Corano sono andati in Siria per arruolarsi nell’Isis. Prima di farlo si allontanavano però da noi. Noi con l’Isis non centriamo nulla”. In effetti il circuito islamista di Bilal risulta essere in attrito con lo Stato islamico. Se fino al 2014 Bilal e Pierre Vogel si facevano ritrarre pubblicamente di fianco ai simboli dell’Isis, col tempo hanno iniziato a condannare gli attentati, per questo Pierre Vogel è stato condannato a morte da Daesh.
A Sossenheim Bilal non vuole più essere identificato come un ragazzo difficile e malavitoso bensì come un missionario islamico. Arrivato davanti al vecchio portone di casa sua si accende una sigaretta che però butta rapidamente con l’arrivo dei suoi ex vicini di casa. “Devo essere un esempio, non voglio farmi veder mentre faccio qualcosa di haram” (peccato ndr)”. Poco lontano dalla sua vecchia casa ha aperto un centro di accoglienza per richiedenti asilo, soprattutto siriani, tra i quali Bilal e il suo gruppo fanno proselitismo. “Condividiamo la stessa religione” dice “e diamo loro l’opportunità di praticare la fede rimanendo lontani dalla criminalità”. Ha successo questa propaganda? Sì, secondo Bilal. “Chi scappa dall’Isis ha paura di noi perché vedendo le nostre barbe ci associa con i terroristi, la maggior parte dei siriani fugge però da Bashar al Assad e non ha alcun problema con noi”.
Il discreto successo nel reclutamento tra i profughi è confermato da alcuni rapporti dei servizi segreti tedeschi che ritengono tale attività una minaccia per la sicurezza nazionale e la coesione sociale. È probabilmente anche per questo che la magistratura sta usando la mano pesante nel decapitare i vertici islamisti. La severità applicata nella condanna a Sven Lau e nell’arresto di Bilal Gümüs è decisamente forte rispetto ai reati contestati . L’obiettivo delle autorità sembra essere quello di colpire attraverso le singole persone anche tutta l’organizzazione di cui sono parte come anche la loro Weltanschauung, che potenzialmente potrebbe trovare ampi spazi nella società tedesca.
Sì, perché non si tratta semplicemente di terroristi che uccidono gli infedeli. Sono invece persone che mostrano di avere colto le profonde debolezze della società tedesca e che pertanto indirizzano la propria attività propagandistica non solo verso i profughi o gli immigrati di seconda generazione bensì a tutta la società. Quasi nessuno di questi predicatori proviene da famiglie radicali. Così come essi accusano i propri genitori di avere dimenticato il “vero Islam” al quale vogliono tornare, allo stesso modo molti tedeschi accusano i propri genitori e rifiutano di accettare gli insegnamenti delle generazioni che li hanno preceduti, accusate di essere dei silenti portatori della cultura all’interno della quale il nazismo si è sviluppato. Questa mentalità, teorizzata soprattutto dalla Scuola di Francoforte a partire dal secondo dopoguerra, diffusasi a macchia d’olio con il Sessantotto e fatta propria da diversi gruppi terroristici dell’estrema sinistra tedesca (tra cui anche la Banda Baader-Meinhof) propone come soluzione a tutto ciò lo sradicamento dei tedeschi dalla propria cultura tradizionale e la negazione degli insegnamenti ricevuti in eredità dai propri antenati.
Tanto i musulmani radicali quanto ampie fette della popolazione tedesca condividono dunque la necessità di creare un nuovo tipo di uomo globale, globalizzato e libero dai vincoli delle proprie tradizioni nazionali. Paradossalmente chi sogna un ritorno all’ortodossia islamica promuove usi e costumi che perfettamente calzano all’uomo contemporaneo. Bilal Gümüs, con i suoi modi di fare affabili, con la sua linea d’abbigliamento da ragazzo di periferia, con il suo rifiuto ad ogni logica nazionale e ad ogni divisione su base etnica e razziale rispecchia perfettamente queste caratteristiche di islamico radicale ben integrato nei costumi e nella società globalizzata.
Oggi Bilal Gümüs attende il suo verdetto seduto in una cella. Il suo destino è quello di tanti ragazzi della sua generazione: di origini straniere; nati in un Paese per ovvi motivi storici ha sviluppato una sensibilità restia a imporre un forte radicamento nazionale tanto ai nuovi arrivati quanto ai propri figli; passati attraverso un’adolescenza turbolenta e alla ricerca di un’identità; infine riscoprendo improvvisamente l’Islam e aderendo a movimenti radicali. In molti sono partiti per il jihad morendo in Siria, in Iraq o in Libia. Altri, come Bilal , hanno capito che è ben possibile vivere in Occidente conciliando il proprio stile di vita con i valori della società globale. Oggi la magistratura sta decapitando i vertici degli islamisti tedeschi, le contraddizioni della Germania contemporanea però rimarranno. E con esse anche il terreno fertile per la propaganda dei terroristi e di chi viene accusato di essere tale.