Da Reset Dialogues on Civilizations
“Faccio un appello ai miei fratelli in Europa. (…) Non fate tre figli, ma cinque. Perché voi siete il futuro dell’Europa”. Con queste parole, pronunciate nel mese di marzo 2017, il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan ha rivendicato la sua volontà di incidere direttamente sul Vecchio Continente attraverso le comunità turche ivi presenti.
Questa è soltanto l’ultima di una serie di dichiarazioni fatte dal numero uno del governo turco. Negli ultimi 10 anni egli ha ripetuto di ambire a incidere sul processo democratico europeo, in particolare in Germania. Durante un suo discorso del 2011 a Düsseldorf, per esempio, invitò apertamente i turchi di Germania e mantenere il turco come propria prima lingua e a resistere all’assimilazione nella società tedesca. Inoltre consigliò di studiare e fare carriera in Germania, proponendo un piano che incoraggiasse gli immigrati a richiedere la cittadinanza tedesca. Nell’estate del 2016, invece, diede ordine di predisporre un maxischermo nelle piazze tedesche perché potesse rivolgersi ai propri cittadini che manifestavano a suo favore dopo il fallito golpe.
Questa tendenza non è una peculiarità turca ma interessa diverse altre comunità di immigrati residenti in Germania e direttamente collegate ai governi dei propri Paesi di origine. Paesi governati da movimenti spesso portatori di sensibilità e valori molto diverse da quelle della Repubblica Federale tedesca e che per questo mettono le autorità germaniche di fronte ad una sfida molto delicata. Che tocca le corde più delicate della sensibilità tedesca e che è strettamente connessa al fenomeno migratorio che negli ultimi anni sta interessando il Paese.
Immigrazione, una sfida delicata
La Germania ospita il più alto numero di richiedenti di asilo in Europa. Il governo federale ha predisposto l’apertura di centinaia di centri di accoglienza sparsi su tutto il territorio nazionale che ospitino i migranti appena arrivati e che forniscano loro gli strumenti necessari per permanere in loco: vitto, alloggio, assistenza legale psicologica e sanitaria, erogazione di un sussidio, corso di tedesco e registrazione presso appositi centri per l’impiego. Oltre a ciò vengono erogati altri servizi di politica attiva come la formazione professionale, i tirocini, l’apprendistato e dei lavori appositamente per migranti.
All’interno di questo apparato di accoglienza, però, è totalmente assente qualsiasi tipo di formazione valoriale e identitaria per chi viene accolto. L’integrazione viene considerata su basi completamente quantitative e il governo tedesco ha a più riprese ripetuto che non esiste alcuna unica strategia di integrazione delle masse all’interno di un unico sistema di valori germanici, ma che quelli integrativi sono percorsi individuali dei singoli all’interno di un contesto nazionale democratico e pacifico.
L’assenza dell’offerta di un insieme di valori autoctoni ai milioni di nuove persone in arrivo sta contribuendo a mutare il panorama politico tedesco. I migranti sono infatti oggetto di tentativi di conquista da parte di movimenti politici di origine non endemica ma già da tempo presenti sul territorio che sfruttano il vuoto di prospettive lasciato dai tedeschi. Negli ultimi anni le forze di sicurezza federali hanno riscontrato come ad essere attivi in questo senso sono movimenti turchi vicini al proprio presidente, associazioni legate ai Paesi del Golfo, gruppi di attivisti palestinesi curdi e siriani, organizzazioni eterodirette da Hezbollah e dall’Iran e movimenti salafiti.
Millî Görüş, la “lobby di Erdogan” in Germania
La primogenitura di questo processo di reclutamento e coinvolgimento dei migranti è attribuibile alla Turchia. L’immigrazione turca in Germania è un fenomeno esistente da decenni che fin da subito ha visto la nascita di associazioni di cittadini turco-tedeschi. Quella più potente in Germania è Millî Görüş (it. Visione nazionale). Movimento di ispirazione islamista nato in Turchia e diffuso in diversi Paesi del mondo, essa è molto attiva nel determinare il futuro politico, religioso e valoriale della diaspora turca e sostiene di controllare 514 moschee in Europa, 323 delle quali in Germania. I suoi iscritti ufficiali sono 87mila, 30mila dei quali in Germania, dove avrebbe circa 300mila seguaci. La sua dottrina è ispirata da quella di Necmetin Erbakan, intellettuale e già maestro di Erdoğan. Forse è anche per questo che a partire dalla salita al potere dell’AKP nel 2002 Millî Görüş ha guadagnato una sempre maggiore influenza politica sia in Turchia che in Germania, dove è stata definita la “lobby di Erdoğan in Turchia”.
Il pensiero di Erbakan fonde il nazionalismo turco con il senso di appartenenza all’Islam sunnita, che vede contrapposto ai valori e alle teorie economiche occidentali, alle quali oppone un concetto di “solidarietà islamica” e l’idea che tutto il mondo debba unirsi in una unica grande comunità islamica. Tutto ciò sarebbe realizzabile tramite un programma di educazione delle nuove generazioni che insegni la cosiddetta “sintesi turco-islamica”.
Millî Görüş esiste in Germania dal 1976, sostiene l’integrazione dei musulmani nella società tedesca ma non la loro assimilazione e promuove la riscoperta dell’identità islamica. Il suo primo obiettivo programmatico è quello di sviluppare un apparato di istruzione per i figli più giovani della diaspora in Europa. Per questo il movimento è osservato dal Bundesverfassungsschutz (BVS), i servizi segreti tedeschi, secondo i quali esso ha come obiettivo la graduale introduzione delle leggi della Sharia in Germania. Oggi sarebbe già responsabile di diversi casi di radicalizzazione e della creazione di “società parallele” e rappresenterebbe una minaccia per “l’Islam moderato”. Le autorità di pubblica sicurezza sostengono che non sia mai stato dimostrato un ufficiale legame tra Milli Gorus e il governo turco, ma che le azioni e le posizioni e la propaganda di Erdoğan siano de facto promosse in Germania da tale associazione.
Hezbollah, Fatah e Hamas in Germania
Un numero rilevante di profughi entrati in Germania dal 2015 ad oggi è composto da persone palestinesi nate e cresciute nei campi profughi di Libia e Siria, figli di coloro che abbandonarono la Palestina a partire dal 1947. Questi palestinesi, che non hanno mai avuto accesso alle nazionalità locali, hanno abbandonato i luoghi natii per spostarsi in Germania venendo registrati come cittadini siriani, libanesi o “ungeklärt” (“non chiarito”). Pur essendo queste persone effettivamente nate e cresciute in Siria o Libano esse sono di cultura ed etnia palestinese e pertanto portatori di sensibilità diverse. Soprattutto nei confronti di Israele.
Questo fattore è risultato essere evidente nel luglio del 2016, quando nel centro di Berlino si è tenuta una grande manifestazione anti-israeliana per celebrare la giornata del Quds, in opposizione al sionismo e a Israele. In quell’occasione scesero per strada diverse centinaia di manifestanti, tra i quali molto profughi, sventolando bandiere palestinesi, siriane e di Hezbollah. Secondo un rapporto del BVS in Germania sono attive diverse cellule dei movimenti palestinesi di Hamas (300 unità) e di Fatah, come anche di Hezbollah (950 unità). Questi erano già stati segnalati a partire dal 2012. Particolarmente attivi sarebbero gli Hezbollah, che agiscono in terra tedesca attraverso l’associazione Al Irshad. Nonostante il governo di Angela Merkel abbia messo fuori legge il braccio armato di tale movimento viene concesso alla sua ala politica di essere operativa. Il rapporto segnala anche l’esistenza di un gruppo di cittadini curdi chiamato Turkish Hezbollah, composto da circa 300 attivisti.
I salafiti tedeschi
Per le strade di Berlino non è raro imbattersi in banchetti di musulmani salafiti che distribuiscono dolci, giocattoli e copie del Corano ai passanti per le strade o di fronte alle moschee. Barbe lunghe e vestiti larghi, queste persone sono solo una minoranza tra i musulmani tedeschi ma secondo il BVS anche “il movimento più dinamico” mentre il radicalismo islamico “rappresenta il più grande pericolo per la Germania”. Secondo Ismail Tipi, parlamentare della Cdu di origine turca e esperto di integrazione “in Germania ci sarebbero più di 120mila islamisti, di cui 45mila salafiti”.
I gruppi salafiti tedeschi sono molto attivi nel campo della propaganda, soprattutto tra i richiedenti asilo. In un’intervista rilasciata al Rheinische Post il capo del BVS Maassen ha dichiarato che “molti richiedenti asilo hanno un background religioso sunnita. In Germania c’è un ambiente salafita che considera questo un terreno fertile. Stiamo rilevando che i salafiti si recano nei centri di accoglienza spacciandosi per volontari e aiutanti, cercando volutamente di entrare in contatto con i profughi per invitarli nelle loro moschee e reclutarli alla loro causa”.
I salafiti sono radicati sotto forma di organizzazioni benefiche e culturali nei diversi territori della Repubblica federale, mentre si uniscono a livello nazionali promuovendo dei progetti comuni. E’ il caso dell’operazione di propaganda Die Wahre Religion (“la vera religione”) che ha distribuito diversi milioni di copie del Corano in tutto il Paese. Dopo un blitz scattato nel novembre 2016 che ha interessato quasi 200 fra moschee, uffici e appartamenti tale organizzazione è stata messa fuorilegge accusata di fare proseliti per conto dello Stato Islamico. Dalle ceneri di “Die Wahre Religion” è nato il progetto “We love Muhammad”, oggi ancora attivo.
I principali leader del movimento salafita tedesco hanno ricevuto un’educazione religiosa in Arabia Saudita. È il caso per esempio di Pierre Vogel, predicatore convertito la cui missione è soprattutto quella di diffondere la sua visione dell’Islam tra i giovani tedeschi. Vogel ha ricevuto la sua formazione religiosa presso l’Istituto Islamico per stranieri della Università Umm al-Qura alla Mecca. È sempre in Arabia Saudita che Vogel organizza regolarmente dei viaggi di formazione per i giovani imam tedeschi.
Un futuro incerto
Il nuovo panorama politico tedesco vede componenti fino a poco tempo fa totalmente estranee. La presenza di nuove organizzazioni rappresentano una sfida centrale per Berlino in termini politici e di sicurezza. Ma soprattutto in termini valoriali di determinazione di una propria identità nazionale.
Per evitare paragoni col passato nazionalsocialista e con la sua esaltazione estrema della germanicità la classe dirigente tedesca è oggi estremamente attenta al rispetto e alla tutela delle identità dei migranti. Per questo le istituzioni hanno negli anni puntato alla creazione di una nuova identità condivisa fondata sulla tutela dei diritti umani e sulla vicinanza alla sensibilità ebraica. Il primo punto si è manifestato soprattutto con l’imponente apparato di accoglienza. Il secondo, invece, in termini soprattutto politici, tanto che Angela Merkel ebbe a dire di fronte alla Knesset che la difesa di Israele fa parte della ragion di Stato tedesca. Accoglienza e tutela di Israele rischiano però di essere due elementi in contrasto. I profughi mediorientali hanno importato sensibilità molto diverse, anche alla luce del fatto che i programmi di formazione a loro destinati sono quasi totalmente incentrati sull’insegnamento della lingua e delle competenze necessarie per rispondere alle esigenze del mercato, senza che vi siano invece riferimenti ai miti fondativi della nazione tedesca. Se da parte tedesca non esiste alcuna campagna propagandistica, questa esiste invece tra molte organizzazioni non endemiche. La sfida più grande dell’esecutivo è quello di mostrare che l’integrazione possa fondarsi su criteri essenzialmente economici (casa e lavoro) tramite i quali una persona possa considerarsi integrata nel sistema occidentale. Le organizzazioni non endemiche, nella loro eterogeneità, sostengono invece che l’identità individuale e collettiva dei popoli non sia prescindibile dal proprio retaggio religioso e culturale. Una sfida, questa, che potrebbe portare alla maggiore diffusione della sensibilità ebraica tra i nuovi arrivati, ma anche al mutamento profondo e radicale dell’identità e degli obiettivi politici del Paese leader dell’Europa.
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