Fratelli Musulmani spaccati in Egitto:
impossibile una svolta ‘alla Ghannouchi’

Da Reset-Dialogues on Civilizations

L’esito del recente congresso di Ennahda, il principale partito tunisino di ispirazione islamica, con la decisione del suo leader Ghannouchi di separare l’aspetto politico da quello religioso ha causato un ampio dibattito anche presso i Fratelli Musulmani egiziani. La Fratellanza egiziana, che rimane la casa madre, benché ogni ramo nazionale goda di totale autonomia, torna a porsi il problema dunque.

La “vecchia guardia” è apertamente nemica di questa opzione e Muhammad Sudan, un fedelissimo di Mahmud ‘Ezzat e del gruppo storico, in una intervista afferma che “questo non è il momento”, a causa della severissima repressione che a suo avviso ostacola il dibattito. Guardando alle posizioni interne che si articolano nella Confraternita ne emerge una nuova geografia politica: la “vecchia guardia” fedele a Mahmud ‘Ezzat, attuale Guida Suprema, fermamente contraria, i “giovani rivoluzionari radicali”, i quali ormai controllano la Fratellanza in Egitto guidati da Mohammad Kamal e Mohammad Montasser, che non si pronunciano ma rilanciano la lotta per il controllo dell’organizzazione con l’indizione di elezioni generali all’interno del corpo dei Fratelli, dall’ultima unità locale alla Dirigenza. L’unico segmento che guarda invece con favore alle vicende tunisine, pur alleatosi ai ”giovani egiziani radicali” in opposizione alla linea immobile e tradizionalista della “vecchia guardia” è il “gruppo turco”, composto prevalentemente da ex-parlamentari del partito creato dalla Confraternita, Hurriya wa ‘Adala, Libertà e Giustizia, come Amr Darrag, Gamal Heshmat, Ahmad Zouba, tutti oggi residenti a Istanbul, e dai fuoriusciti dalla Fratellanza degli anni ’90, che fondarono il partito Al Wasat, Il Centro, proprio sulla base di una posizione politica simile a quella cui approda oggi Ghannouchi, venendo sconfessati immediatamente dalla Confraternita, cui si sono riconciliati ufficialmente solo nell’anno di governo di Morsi, a dimostrazione delle alterne fortune di un dibattito che procede da lungo tempo.

La questione che tuttavia oggi effettivamente impedisce un franco confronto, sono le divisioni interne alla Fratellanza egiziana: la guerra per il controllo dell’organizzazione  è in pieno svolgimento e questo è tema che potrebbe dividere ulteriormente le parti in conflitto.

Infatti Mahmud ‘Ezzat è apparso per la prima volta dal 2013 con un audio, diffuso il 7 Giugno, in cui invia un messaggio volto a rassicurare sulla sua presenza, richiamando esplicitamente all’obbedienza alle direttive degli organi ufficiali: «Il più grande dei nostri doveri in questa fase delicata [è] il conservare l’unità delle fila, e la compattezza di questa Confaternita (…) che rappresenta il nocciolo duro del progetto Islamico di civiltà mondiale, che si scontra contro un sistema laico materialista e disumano ancora guidato dagli Stati Uniti d’America  e dal Sionismo globale, a cui sono alleate le forze colonialiste dell’Ovest e dell’Est (…) In verità la battaglia attuale rappresenta uno degli anelli della battaglia tra il Vero e il Falso, ed essa è una lotta continua i cui anelli sono legati».

La risposta dell’area egiziana è apparsa sul sito Ikhwanonline il giorno dopo il messaggio di ‘Ezzat, la voce ufficiale del gruppo di Mohamamad Montasser e dell’ala rivoluzionaria, con un comunicato ufficiale in cui annunciano nuove elezioni: «La Commissione Direttiva Suprema in conformità con le indicazioni concordate per le elezioni (…) sancisce lo svolgimento di elezioni “complete e integrali” a tutti i livelli, senza eccezione alcuna, dagli Uffici popolari alla Commissione Direttiva,  l’Ufficio della Guida Suprema temporanea, (Maktab al Irshad al muaqqata) dal Consiglio della Shura locale (Majlis al Shura) alla Consiglio della Shura Generale».

L’indizione di nuove elezioni sembra approfondire il solco delle divergenze, ma solo la “vecchia guardia” rappresenta un fronte unito, mentre tra gli oppositori esistono differenze rilevanti. Infatti il “blocco turco” ha senz’altro sensibilità diverse da quello “egiziano-rivoluzionario”, con cui è temporaneamente alleato per via di rivendicazioni comuni: dalla necessità del cambiamento di leadership a rinnovamento nel metodo, alla revisione ideologica, ma gli approcci sono diversi. Inoltre, nonostante le differenti opinioni sull’uso della violenza, il linguaggio usato da entrambi gli schieramenti in campo è di tipo dogmatico-religioso, il susseguirsi degli eventi viene letto alla luce dei testi religiosi e il mix tra religione e politica non potrebbe essere maggiore.

L’attualità è letta coma un confitto tra Islam e miscredenza, kufr, i comunicati che appaiono sulle pagine web della “vecchia guardia”, ikhwan.site, e su ikhwan.online del “fronte rivoluzionario”, non differiscono sostanzialmente nella retorica, per cui l’Islam sarebbe “attaccato dalle forze di Satana” rappresentate dai dittatori di turno, Al Sisi come Bashar Assad, in una cospirazione globale il cui ruolo centrale è svolto da Usa e Israele, secondo un tradizionale cliché. Se la Fratellanza egiziana proseguirà su questa strada, sarà molto difficile che possa convergere con le evoluzioni che hanno caratterizzato Ennahda in Tunisia, infatti, dopo aver avviato pioneristicamente il dibattito negli anni Novanta con l’esperienza del partito al Wasat, oggi sembra aver percorso numerosi passi indietro. Ghannouchi, da sempre tra i leader più acuti e pragmatici della famiglia  dei Fratelli, lancia una nuova sfida globale dalla Tunisia, ma non sembra che i Fratelli egiziani siano in grado di raccoglierla, rischiando di perdere una storica occasione per un cambio di paradigma verso quella cornice che oggi viene definita di “islam politico”.

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