Da Reset-Dialogues on Civilizations
A tre anni dalla caduta di Ben Alì la Tunisia è a un passo dall’approvazione definitiva della nuova Carta Costituzionale. La discussione degli articoli cominciata lo scorso 4 gennaio avrebbe dovuto concludersi il 14, anniversario della fuga del presidente rimasto al potere per 23 anni. Ma i tempi si sono allungati. Negli ultimi mesi sono state elaborate le bozze degli articoli per giungere oggi alla terza stesura. È il risultato della mediazione e della ricerca del consenso fra Ennahda, il partito islamico di maggioranza che pochi giorni fa ha votato le dimissioni del “suo” primo ministro Ali Larayed a favore di un governo tecnico sotto la guida di Mehdi Jomaa, e le opposizioni. Non senza difficoltà, divisioni politiche e un precario equilibrio messo a rischio due volte nel 2013 (prima con l’omicidio di Chokri Belaid, segretario del partito democratico, assassinato il 6 febbraio; poi il 26 luglio con l’uccisione di Mohamed Brahmi, leader della Corrente Popolare e voce critica costante nei confronti del Partito della Rinascita).
Dal 23 ottobre del 2011, quando il paese ha eletto i membri della Costituente, il processo di democratizzazione non si è mai fermato, e anche oggi il rinvio dell’assemblea plenaria in attesa di un accordo sugli articoli più controversi, come quello sul reato di apostasia, dimostra la volontà delle diverse correnti politiche di dotarsi al più presto di un documento condiviso. Perché la Tunisia si sta misurando con la democrazia giorno dopo giorno, sulla base dell’esperienza recente propria e dei vicini Libia ed Egitto che hanno vissuto la “primavera araba”. Tre anni fa i tunisini, in fila ai seggi, diventavano cittadini per la prima volta, dopo un cambiamento epocale, e ora il paese potrebbe tornare ad essere un modello nel mondo arabo.
Il 17 gennaio sono state definite le linee guida per dotare il paese di un sistema giudiziario moderno, con gli articoli appena approvati che vanno a risolvere le controversie in materia di indipendenza della magistratura, e che definiscono la necessità di avere, con la Carta, anche una nuova Corte Costituzionale e un tribunale militare che abbia competenza solo sui reati commessi dalle Forze Armate.
L’altra questione che ha fatto discutere a lungo, anche a livello internazionale, è stata quella della parità di genere. La scorsa settimana l’Assemblea Nazionale Costituente (ANC) ha approvato, con 159 voti a favore su 169, il testo dell’articolo 20 sull’uguaglianza fra uomini e donne. “Tutti i cittadini maschi e femmine hanno gli stessi diritti e doveri – si legge – e sono uguali davanti alla legge senza discriminazioni”. Successivamente l’articolo 45 ha definito anche “la realizzazione di parità di uomini e donne nelle assemblee elette”. I due articoli insieme potrebbero essere paragonati all’articolo 3 della Costituzione italiana, che mette insieme la norma di principio (uguaglianza) e quella programmatica (rimozione degli ostacoli che limitino il principio di uguaglianza), evitando che il primo possa rimanere solo sulla carta.
L’accordo raggiunto sulla definizione mette un punto al dibattito riaperto la scorsa estate sulle questioni di genere. Nel mese di agosto la Commissione dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà dell’Assemblea aveva formulato un progetto di articolo da inserire nella nuova Carta in cui si faceva riferimento al concetto di “complementarietà” della donna rispetto all’uomo, così come proposto dall’ala più conservatrice di Ennahda. Il 13 agosto migliaia di persone erano scese in piazza a protestare, e alcuni personaggi politici e membri della coalizione di governo avevano espresso parere negativo, a partire dal presidente Moncef Marzouki. Anche il Comitato Onu che vigila sul rispetto della Convenzione Internazionale sull’eliminazione delle discriminazioni nei confronti della donna (Cedaw) aveva invitato l’assemblea tunisina a riformulare il testo perché in contrasto con l’art. 2 della Cedaw. Così il 24 settembre la Commissione di coordinamento e di redazione ANC aveva deciso di reintrodurre il concetto di “parità” tra i sessi.
Il tema è stato affrontato sin dagli anni Cinquanta in Tunisia, quando il paese, sotto il governo di Habib Bourguiba, si caratterizzava come esempio di eccellenza legislativa nel mondo arabo sulle questioni di genere. Il Codice di Statuto Personale del 1956 aboliva la poligamia, il ripudio, e concedeva per la prima volta pari opportunità ai coniugi per ottenere lo scioglimento del matrimonio. Nei dieci anni successivi, la Tunisia si sarebbe dotata anche di politiche per il controllo delle nascite e nel 1965 avrebbe legalizzato l’aborto per le donne con cinque figli, oltre ad attivare campagne di promozione della contraccezione, impensabili nel resto del Nord Africa e del Medio Oriente anche nei decenni successivi.
La vittoria elettorale di una formazione islamica aveva fatto mettere in dubbio le conquiste raggiunte, nonostante le rassicurazioni di Ennahda prima e dopo il voto. Confermate poi parzialmente dalle concessioni ai moderati che hanno scongiurato ulteriori perdite di consenso interno e della comunità internazionale.
Sulla condizione delle donne restano dei dubbi nella società civile laica, anche perché l’approvazione della nuova Carta potrebbe richiedere più tempo di quanto ipotizzato finora.
Secondo Larbi Sadiki, docente di Politica del Medio Oriente all’Università di Exeter nel Regno Unito, la questione di genere come diritto diventa lo spartiacque per il compimento vero di una società democratica nella “nuova” Tunisia, che altrimenti rischia una ricaduta verso politiche di governo autoritarie. Ed è per questo che il dibattito su “parità” e “complementarietà” ha avuto tanta rilevanza, e soprattutto ha riaperto una questione d’identità e modernità che nel guardare al futuro ha ricordato tempi passati.